Il conto alla rovescia verso le elezioni europee è davvero cominciato. In Italia si andrà alle urne l’8 e 9 giugno 2024, e il grande gioco delle strategie e delle alleanze è entrato nel vivo. Oggi l’Unione europea è impegnata a costruire una democrazia sussidiaria che, senza disconoscere le identità e le sovranità nazionali, rafforzi le istituzioni comunitarie affinché siano capaci di gestire fenomeni epocali di portata sovranazionale, dall’economia alla politica estera. La grande sfida europea dei prossimi anni sarà quella di promuovere uno sviluppo sostenibile in grado di creare occupazione, ridurre le disuguaglianze e proteggere l’ambiente. A questo si aggiunge il fatto che il Parlamento europeo uscente ha avviato la procedura per la convocazione di una convenzione ex articolo 48 del Trattato dell’Unione. La Conferenza sul Futuro dell’Europa ha rappresentato un momento democratico fondamentale che ha coinvolto i cittadini in una riflessione sulla natura e sul futuro dell’Unione europea.
Le elezioni europee del 2024, secondo alcune previsioni, potrebbero vedere la nascita di una coalizione tra il Partito Popolare Europeo (PPE) e i Conservatori Europei (ECR). Tuttavia, per quanto si possa ipotizzare un forte incremento di consensi, soprattutto dei conservatori, anche grazie alla crescita del partito della premier italiana Meloni, è difficile immaginare contemporaneamente una sensibile caduta di consensi sia delle forze euroscettiche di destra e di sinistra, sia dei socialisti, dei liberali e dei verdi. Ma man mano che l’Europa ha acquisito una soggettività politica autonoma, processo necessario e fondamentale, è diventato sempre più importante che la sua guida assuma una connotazione politica chiara. In Europa, come nei singoli Stati, occorre una precisa assunzione di responsabilità politica. È necessario un approccio realistico e pragmatico sul futuro dell’Europa. La questione che si pone è la seguente: dato l’attuale contesto politico-elettorale, quale via è in concreto possibile percorrere per proseguire nel difficile cammino dell’integrazione europea?
In questa prospettiva, il raggruppamento liberale può essere chiamato a svolgere un ruolo significativo. Si pensi, dunque, a Renew Europe, il gruppo politico del Parlamento europeo formatosi dopo le elezioni europee del 2019. Si tratta di un grande contenitore politico che permette a diversi eurodeputati di centrodestra, centro o centrosinistra, che si definiscono “liberali”, di votare in modo unitario nelle commissioni e in Aula, dopo aver concordato di volta in volta una linea comune. È lo stesso Parlamento europeo a spingere gli eurodeputati a unirsi in macro raggruppamenti per evitare che i parlamentari votino in base a interessi nazionali. Sono 70 anni che gli eurodeputati liberali si riuniscono in un gruppo comune al Parlamento europeo, ma col passare del tempo è cambiato più volte il nome in base a esigenze politiche. Si è passati dal “Gruppo dei Liberali e Apparentati” del 1953, al “Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa”, denominato così dal 2004 al 2019. Dal 2019 questo eurogruppo si chiama Renew Europe e al suo interno è formato da altri due grandi raggruppamenti: Alde e Partito democratico europeo.
Questa articolazione politica esiste per rappresentare le diverse posizioni che ci sono all’interno del mondo liberale. Ad esempio, alcuni partiti liberali dei 27 Stati membri hanno un approccio più laico, altri si rifanno alle radici cristiane, altri ancora vengono dalle esperienze radicali. Il Partito democratico europeo nato nel 2004 su iniziativa di François Bayrou e Francesco Rutelli, allora leader de La Margherita, si ispira ai valori di un europeismo centrista con forti radici cristiane i cui componenti si definiscono né conservatori né socialisti. Dal 5 maggio 2021 il segretario generale del Pde è Sandro Gozi, eletto eurodeputato con La République En Marche, il partito centrista di Emmanuel Macron. Fanno parte del Pde l’Unione dei Centristi. Anche Italia Viva e Azione hanno deciso di aderire al Pde. Mentre l’Alde, il Partito dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa, nato nel 1973, riunisce i partiti liberaldemocratici classici che vengono anche dalla storia radicale o laica. Come il Partito liberale tedesco, i centristi spagnoli di Ciudadanos o i liberali radicali svizzeri. Non a caso anche PiùEuropa e i Radicali italiani hanno aderito all’Alde. Inoltre, il Pde e Alde hanno una vita propria al di fuori del Parlamento europeo, organizzano eventi e convegni transnazionali, coordinano l’attività dei partiti aderenti alle elezioni nazionali. All’interno di Renew Europe ci sono anche alcuni partiti che non fanno parte né di Alde, né del Pde come Renaissance, il nuovo partito di Emmanuel Macron nato sulle ceneri de La République En Marche o il partito polacco Polska 2050. Così come hanno aderito singoli eurodeputati provenienti da altri gruppi del Parlamento europeo. I Liberali europei, in vista delle elezioni del 2024, si stanno organizzando tramite un memorandum d’intesa tra il Partito democratico europeo, l’Alde, Renaissance e altri partiti affiliati per raggruppare le diverse anime della famiglia politica liberale europea. Il memorandum – firmato dal segretario generale dell’Edp, Sandro Gozi, il presidente di Renew Europe e segretario generale di Renaissance, Stéphane Séjourné, e i co-presidenti dell’Alde, Timmy Dooley e Ilhan Kyuchyuk – prevede un marchio comune “Renew Europe” utilizzabile per le elezioni europee; l’eventuale designazione di uno o più candidati leader congiunti; l’organizzazione di eventi comuni per la campagna elettorale e l’impegno ad adottare strategie con valori e principi condivisi.
Le prossime elezioni europee del 2024 cadono in una delle fasi più complesse nella storia della Unione europea. In pochi anni, abbiamo assistito alla sequela di Brexit, Covid, invasione dell’Ucraina da parte della Russia e vicende giudiziarie che hanno scosso la solidità delle istituzioni europee. Siamo nel mezzo di una situazione economica di difficile prospettiva. La Commissione europea ha messo sul tavolo il Recovery Plan, approvato definitivamente dopo il Consiglio Europeo del luglio 2020, quando i 27 Leaders hanno trovato l’accordo su NextGenerationEU e sul nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, per quello che è stato soprannominato un “bazooka” economico da 1.824,3 miliardi di euro, una cifra mai vista nel panorama europeo. L’emissione di debito comune europeo per finanziare il Recovery, accordata dopo una lunga negoziazione volta a convincere gli Stati Membri più “rigoristi”, ha rappresentato una svolta che non può essere archiviata, neppure dalle prossime elezioni europee e a prescindere dal risultato elettorale che ne scaturirà.
Questo Piano va attuato compiutamente, e noi italiani sappiamo bene quante difficoltà stiamo attraversando per implementare il nostro corposo PNRR. E andrà velocizzata anche la spesa dei fondi previsti nella programmazione 2021/2028, andrà riscritto il Patto di Stabilità, e servirà un impegno più deciso per un piano di pace in Ucraina. Va accelerata la adesione dei Paesi Balcanici e della stessa Ucraina all’Unione europea, ma non senza aver stabilito regole precise e chiare di funzionamento interno che garantiscano la celerità dei processi decisionali. E vanno proseguite le due transizioni, energetica e digitale, oltre a riprendere l’esame per la costituzione di un fondo sovrano che finanzi una politica industriale in grado di reggere la competizione internazionale. La particolare situazione che vive l’Unione europea richiede, nei prossimi anni, una direzione politica molto solida.
Il Parlamento europeo ha visto il proprio peso crescere notevolmente nel corso del tempo, passando da un ruolo marginale, e di mera rappresentanza delle istituzioni europee, ad attore di grande rilievo. Questo processo è stato formalmente sancito con vari Trattati, da ultimo quello di Lisbona entrato in vigore nel 2009. L’evoluzione della macchina legislativa europea – con Parlamento e Consiglio che insieme adottano la legislazione sulla base delle proposte della Commissione – ha suscitato un interesse sempre maggiore da parte dei tanti gruppi di interesse operanti a Bruxelles, al punto da spingere alcuni di loro a trasferire gli uffici dalla zona intorno alla Commissione – un tempo il luogo istituzionale in cui esercitare pressione – alla zona vicina al Parlamento. Il recente scandalo del Qatargate, purtroppo, ha ulteriormente confermato, in senso negativo, l’importanza dei poteri di cui il Parlamento dispone.
Ad aver compreso le potenzialità offerte dal co-legislatore europeo non vi sono però solo i gruppi di interesse. Negli ultimi anni, diversi partiti, in particolare quelli euroscettici, hanno incorporato il Parlamento nella loro strategia di politica interna. In Italia, il Movimento 5 Stelle di qualche anno fa rappresenta un caso esemplare. Nel giugno 2014, i 17 neoeletti europarlamentari pentastellati entrano nel gruppo euroscettico che aveva tra le sue fila il principale promotore della Brexit, lo Ukip di Nigel Farage. Il comportamento di voto degli eurodeputati a cinque stelle, destinati all’emarginazione politica da parte dei principali gruppi a causa di quella affiliazione, raramente è stato allineato a quello dei parlamentari più euroscettici. Nel gennaio del 2017, con i sondaggi che lo danno primo partito in Italia e probabile partito di governo, il M5S tenta – senza riuscirci – di traghettare se stesso verso il tanto deprecato gruppo dei liberali.
L’attenzione mostrata dal M5S alla questione delle affiliazioni politiche all’interno del Parlamento europeo non rappresenta un caso isolato. Negli ultimi mesi, media italiani ed europei hanno riportato diversi retroscena sulle interlocuzioni tra Giorgia Meloni e Manfred Weber, leader del gruppo dei Popolari europei e dell’omonimo partito transnazionale. Incontri ai quali Meloni partecipa non solo in quanto primo ministro di un Paese fondatore e leader di Fratelli d’Italia ma anche in qualità di presidente del partito transnazionale dei Conservatori e riformisti europei (ECR), rappresentato a Bruxelles e Strasburgo dal gruppo politico che porta lo stesso nome. Da questi bilaterali passa una parte importante della ridefinizione dei futuri equilibri europei. Benché l’Unione europea non disponga di un governo parlamentare, i risultati delle elezioni europee e la composizione del Parlamento influenzano diverse posizioni di rilievo, cariche importanti come la presidenza della Commissione. Non è poi da sottovalutare l’impatto che una riconfigurazione delle maggioranze parlamentari avrebbe su dossier legislativi centrali, da quelli sullo Stato di diritto in Polonia e Ungheria a quelli sulla transizione verde, Recovery Plan compreso, solo per fare alcuni esempi.
C’è un altro aspetto da considerare. Fratelli d’Italia non è il solo partito di ECR a ritrovarsi al governo di uno Stato membro. In Lettonia, il partito nazionalista Associazione nazionale (Nacionālā Apvienība) è rappresentato nel governo da ben quattro ministri; rilevante poi che il suo unico europarlamentare ricopra una delle vicepresidenze del Parlamento Europeo. In Europa centro-orientale, il liberal-conservatore del Partito democratico civico (Občanská Demokratická Strana) è alla guida del governo ceco, mentre Diritto e giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) dei fratelli Kaczyński si trova al potere in Polonia. Spostandoci più a nord, si ricorda il caso dei Democratici svedesi (Sverigedemokraterna) che hanno ottenuto il secondo posto nelle elezioni di settembre 2022. A questa lista vanno poi aggiunti il partito spagnolo Vox, e il partito separatista belga Nuova alleanza fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie), il primo al governo con il Partido Popular nella regione di Castilla y León ma uscito ridimensionato dalle elezioni anticipate spagnole del luglio 2023, il secondo al potere nelle Fiandre.
Va tenuto presente che ECR non è un gruppo raffazzonato di partiti messi insieme per ragioni di tattica parlamentare. Ciò che li unisce è più forte di ciò che li divide. Sull’integrazione europea, la posizione del gruppo ECR non può essere etichettata come semplice euro-scetticismo. Essi stessi preferiscono definirsi “euro-realisti”, dichiarandosi favorevoli all’integrazione economica ma contrari, ad oggi, ad una evoluzione in senso federale dell’Unione europea. Questa posizione li differenzia sia dagli europeisti del PPE, sia dal gruppo euroscettico Identità e democrazia, a cui aderiscono, tra gli altri, la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen. A distinguere il gruppo ECR da questi ultimi c’è, poi, la posizione in politica estera, decisamente pro-Nato, pro-Usa e, come nel caso di Fratelli d’Italia, apertamente schierato contro la Russia.
La situazione politica europea è, dunque, fortemente dinamica. Sono superati i tempi in cui il Parlamento europeo veniva bollato come rifugio per politici nazionali consumati o, nella migliore delle ipotesi, palestra politica per politici in formazione. Tutto questo testimonia la rilevanza del Parlamento europeo nel panorama politico. Il ruolo del co-legislatore europeo non è più quello di istituzione di secondo-livello. Al contrario, oggi il Parlamento di Strasburgo assume una centralità indubbia nella politica europea, sia come spazio aggiuntivo a disposizione dei partiti per perseguire obiettivi nazionali, sia come vera e propria estensione sovranazionale dei processi politici in atto negli Stati membri. Riguardo quest’ultimo aspetto, l’attenzione data al gruppo dei conservatori rispecchia e accredita a livello sovranazionale la crescente base elettorale di queste formazioni negli Stati membri. Ciò dimostra che la politica europea, che si svolge nel Parlamento europeo, e quella degli Stati membri non seguono più percorsi paralleli ma sono strettamente interconnesse.
A questo punto va presa in rapida considerazione anche quanto sta avvenendo negli USA e le possibili ricadute sui nuovi equilibri europei che si stanno definendo. Negli USA è in corso una crisi sociale, seguita da una crisi economica. Mentre, in passato, le questioni sociali si attenuavano prima che emergessero guai letali nel sistema economico, oggi le rivendicazioni sociali sono al massimo della loro intensità, sul piano religioso, morale e culturale. I fallimenti bancari si sommano a questi problemi. L’incapacità di attenuare le questioni sociali, inclusa l’esplosione fallimentare della società multirazziale ed il fenomeno gender fluid, i problemi economici e gli attriti tra le istituzioni federali rendono il quadro odierno molto diverso rispetto al XX secolo. La rabbia tra americani, cui assistiamo ogni giorno, sono un’anomalia. Noi europei dobbiamo considerare le proporzioni: negli Stati Uniti ci sono 335 milioni di abitanti, ovvero oltre 5 volte e mezza la popolazione italiana. L’impatto del conflitto in Ucraina sarà probabilmente amplificato. Certamente il prossimo Presidente, che sarà eletto a novembre 2024, dovrà affrontare una difficile situazione interna. Tuttavia, storicamente, la politica statunitense si è basata sulle capacità dimostrate dai vari presidenti di risollevare il Paese dopo le crisi degli anni Trenta del XIX secolo con Andrew Jackson, poi dopo la crisi succeduta alla guerra civile con Rutherford Hayes; con Franklin Delano Roosvelt che, assecondando il rifinanziamento del sistema bancario, rimise in piedi la società. E Reagan, invertendo la strategia di Roosvelt, aumentò la moneta in circolazione per gli investimenti delle imprese, contenendo l’inflazione e dando una spinta fondamentale alle imprese. Molti analisti ritengono che la prossima innovazione, grazie alla quale l’America troverà il modo per rialzarsi, sarà legata alla medicina e alla demografia. Effettivamente, da almeno due anni, tutti i segnali sembrano andare verso queste due direzioni. Non è detto che ogni innovazione venga messa a disposizione del bene comune, perché nel sistema occidentale vediamo come spesso il fine sia il bilancio degli Stati, il mezzo sia la tecnologia e l’uomo esiste se può essere complementare al sistema di riassetto economico.
In questo scenario, e nel rapporto privilegiato con gli Stati Uniti d’America, si colloca l’Unione europea, alle prese, per la prima volta, con il possibile superamento del meccanismo di grandi coalizioni, e quindi di convivenza, tra popolari e socialisti. Le valutazioni che andranno fatte riguarderanno non solo chi otterrà più voti e più seggi nel nuovo Parlamento europeo, ma anche chi in quel momento governerà nei singoli Stati. I voti, infatti, non solo si contano ma anche si pesano politicamente. Anche se possiamo immaginare una riduzione dei seggi popolari e un incremento significativo per ECR, dovuto al fatto che parecchi partiti conservatori stanno avendo successo sul piano nazionale, in ogni caso i numeri per una maggioranza politica rimangono incerti. Da un lato, i conservatori di ECR non sono più quelli nati dall’iniziativa politica dei conservatori britannici, e, in questo senso, oggi sono più credibili nel ruolo di alternativa ai popolari perché somigliano molto a un’idea che spesso è ricomparsa all’interno del dibattito dei popolari europei; dall’altro, va rilevata la grande difficoltà dei socialisti, che hanno perso il Comune di Berlino dopo vent’anni di dominio incontrastato, sono usciti sconfitti in Finlandia, Bulgaria, e Grecia, mentre hanno limitato i danni in Spagna. C’è un ambito della vita politica in cui i socialisti hanno rivelato la propria fragilità, e riguarda una cultura di governo spesso autoreferenziale e una difficoltà di interpretare i cambiamenti della società europea. In questo senso, ad esempio, il pegno che si prepara a pagare la socialdemocrazia tedesca assume un certo rilievo perché se a vincere le elezioni europee in Germania saranno Cdu e Csu, questo intaccherà in modo significativo il peso politico del Cancelliere. Sul versante italiano, invece, il fatto che Giorgia Meloni sia l’unica premier europea al contempo presidente di un partito europeo, i conservatori di ECR, rappresenta un’intuizione politica formidabile per due ragioni. La prima perché il vestito su cui era costruito il modello dei conservatori non è quello strettamente tradizionale della destra italiana, e Giorgia Meloni ha dovuto fare un percorso, un passaggio strategico, che le ha consentito di non rimanere ferma ad esperienze politiche passate; la seconda ragione è che oggi quella formula politica, originariamente nata in una coabitazione con i britannici, è cambiata perché Londra è fuori dall’Unione europea e diventa un prezioso strumento nelle mani della premier italiana per fare una proposta politica nuova nel contesto europeo.
Ne consegue che il piano del PPE è piuttosto ambizioso, ossia staccare i partiti più moderati del gruppo dei Conservatori europei, inclusa Fratelli d’Italia, da quelli più estremisti come il Pis polacco o Vox spagnolo, per portarli, nel tempo, dentro il gruppo parlamentare dei popolari europei. Un’impresa per nulla facile, ma Meloni è consapevole che posizioni nazionaliste, reazionarie, populiste di alcuni alleati (tra i più aggressivi ci sono i lettoni di Alleanza Nazionale e i Democratici Svedesi) rappresentino un serio rischio per futuri accordi con il PPE. Da politica navigata, la premier italiana riconosce che anche da questi nuovi equilibri passa la possibilità di avere un ruolo importante nel futuro dell’Europa. Giorgia Meloni, dunque, sa di essere dinanzi ad un’occasione irripetibile: spostare a destra l’asse del prossimo Parlamento europeo ed essere determinante per la composizione della nuova Commissione. Sul fronte dei cristiano-democratici d’Europa l’apertura agli “ex nemici” populisti e nazionalisti è nei fatti. Da mesi, si è costruita una rete che parte dalla Germania, dal leader del PPE Manfred Weber e da quello della Cdu Friedrich Merz, passa dal Belgio e da Malta attraverso il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e finisce in Grecia con il premier Kyriakos Mitsotakis, riconfermato alle urne con la sua Nea Dimokratia che vuole includere Fratelli d’Italia. Nell’intenzione dei promotori ci sarebbe anche la volontà di risolvere lo squilibrio di una coalizione italiana di governo che, dentro il Parlamento europeo, siede su banchi diversi, Forza Italia dentro il PPE e la Lega con Identità e Democrazia insieme a Marine Le Pen.
Dunque, le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo rappresentano una nuova tappa nel difficile cammino dell’integrazione europea. Occorre un’Unione europea capace di rispondere alle aspettative dei cittadini europei, che sia anche dotata di una sfera pubblica solida, fondativa di una nuova legittimità politica. Partecipazione, democrazia, pluralismo ed Europa stessa devono essere intesi in questo senso come processi e non come un qualcosa di acquisito o di statico. Si tratta di realizzare un quadro sovranazionale entro cui contestualizzare le singole politiche di questo nuovo millennio, completando il processo di integrazione attraverso istituzioni in grado di garantire una vera cittadinanza europea, il rispetto della solidarietà generazionale, una risposta strutturale ai fenomeni migratori, alla crisi del welfare e alle sfide ambientali. Abbiamo bisogno di una chiara riforma istituzionale in senso federale, come richiesto dai cittadini consultati attraverso la piattaforma della Conferenza sul Futuro dell’Europa e, successivamente, dal Parlamento europeo. Alcune politiche, in particolare, non possono più aspettare, affinché l’Unione europea possa diventare un’alternativa chiara in un ordine internazionale sempre più caotico e diviso tra potenze in competizione. La guerra in Ucraina ha mostrato per l’ennesima volta la necessità di decidere a maggioranza qualificata in politica estera e di creare una difesa unica. Un percorso di riforme non può limitarsi ad accettare i veti contrapposti e i compromessi al ribasso del Consiglio europeo. Non bastano nuove regole, va alzato il livello della democrazia per evitare che soffochi dentro i confini dei singoli Stati.
Le Elezioni europee del 9 giugno 2024, pertanto, servono a rilanciare un’idea di Europa coerente e credibile. Non sono un mega sondaggio ma sono destinate a cambiare l’Europa, in un momento di grandi trasformazioni planetarie. La democrazia americana è debole, l’Asia acquista sempre più centralità, India e Africa conoscono un incremento demografico senza precedenti, il mondo arabo sta conoscendo una nuova stagione.
In questo quadro l’Europa deve cambiare passo, altrimenti diventa un semplice ricordo del passato.