“Transizione energetica solo se pone le basi di profittevoli forme di business”, questo è il pensiero espresso da Claudio Descalzi, Amministratore delegato di ENI.
“Riteniamo che la transizione energetica possa essere realizzabile se genera ritorni adeguati e sostenibili, e pone le basi per nuove e profittevoli forme di business. Ed è proprio quello che stiamo facendo”, questa è la dichiarazione di Descalzi, Amministratore Delegato di ENI nel corso della presentazione del nuovo Piano Strategico di Eni.
Allo stesso tempo Descalzi sottolinea che ENI, il cui primo azionista è lo Stato italiano (32% della proprietà è il Ministero del Tesoro, ossia gli Italiani), ha distribuito negli ultimi due anni agli azionisti 11 miliardi di euro, di cui 4 miliardi sono finiti al Tesoro e il resto agli azionisti privati, grazie ai costi sostenuti, in questi due anni, anche dagli stessi italiani per il riscaldamento, la mobilità, l’energia per le imprese, ecc.
E’ noto che la transizione energetica, processo storico che mira a rendere la produzione energetica più efficiente e meno inquinante e strumento principale per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e di contrasto ai cambiamenti climatici, ha degli ovvi costi di ricerca e sperimentazione che dovranno essere sopportati da tutte le popolazioni per raggiungere un obiettivo condiviso da tutta l’umanità.
Le dichiarazioni di Descalzi rappresentano pertanto un brutto segnale soprattutto se pensiamo che il maggiore azionista di ENI è il governo italiano e che la popolazione italiana non ha certamente bisogno di avere suggerimenti così poco solidaristici.
Assomiglia a quanto accade in questi giorni per quanto riguarda il pagamento delle tasse, modo civile per partecipare attivamente alla costruzione e al sostegno della comunità, considerato dagli esponenti governativi come una iattura che può arrivare fino alla giustificazione dell’evasione.
Tale comportamento stride quando leggiamo, sulle riviste economiche, che sono in dirittura di arrivo i lavori di costruzione dell’impianto dimostrativo per il riscaldamento, mediante forni elettrici, di una unità di steam cracking di idrocarburi, per produrre olefine (Si, l’impianto che è stato chiuso a Porto Marghera con gravi danni per il Petrolchimico di Ferrara), presso il sito BASF di Ludwigshafen (Germania), progetto portato avanti dal gruppo chimico tedesco insieme con Sabic e Linde.
Il progetto da cui ci si attende una riduzione delle emissioni di CO2 di almeno il 90% rispetto alle tecnologie oggi in uso, è finanziato dal Ministero tedesco dell’Economia e della Protezione del clima (che evidentemente ha opinioni diverse rispetto al governo italiano) nell’ambito del programma “Decarbonizzazione nell’industria”, supportato dal fondo Next Generation EU dell’Unione Europea.