Ermanno Olmi, prima di diventare quel grande poeta del cinema, è stato un grande protagonista del cinema industriale. Il suo esordio lo si deve, infatti, nel 1953, ad appena vent’anni, nella Edisonvolta. Aveva iniziato come fattorino grazie alla madre che già lavorava in quella società , dopo che da giovanissimo, si era trasferito a Milano, ( era nato a Bergamo da famiglia contadina, un mondo raccontato nel capolavoro “L’albero degli zoccoli”, 1978) e man mano si era messo in luce organizzando spettacoli teatrali e poi cortometraggi grazie al fatto che la Società gli aveva prestato una cinepresa 16mm per documentare le produzioni industriali con dei filmati. e poi una Arriflex 35 mm.
Ermanno Olmi mette a frutto questo dono nel corso degli anni 1953 – 1961 dirigendo 18 cortometraggi e un mediometraggio e collaborando anche come supervisore o come montatore in altre opere: in totale una quarantina di opere. Fu per lui un’esperienza formativa importante che segnò la sua futura attività di regista, partendo dal primo lungometraggio, prodotto proprio dalla Edisonvolta che inizialmente era stato concepito come un cortometraggio. Il riferimento è a “Il tempo si è fermato” (1958) incentrato sull’amicizia tra un vecchio guardiano di una diga e un giovane compagno nell’isolamento dell’alta montagna. Un lungometraggio realizzato in un bianco e nero che ne accentua l’espressività dei volti dei protagonisti e della solitudine in cui essi vivono. Un lungometraggio coinvolgente che ci ha appassionato entusiasticamente nei dibattiti del Cineforum anni Sessanta.
Sull’attività della Edisonvolta è “La diga sul ghiacciaio” (1955), che segna il suo esordio nel cinema professionale avendolo realizzato in 35 millimetri. Fu girato nella diga di Morasco, situata nell’alta Val Formazza, alimentata dal “gigante millenario”, il ghiacciaio del Sabbione. Un’opera in cui ripercorre, in sintesi, la storia della Diga raccontandone in parallelo il lavoro faticoso degli uomini che la stanno costruendo.
In precedenza aveva girato “La pattuglia del passo San Giacomo” (1954) dove, per la prima volta, nei titoli di testa appare che è prodotto dal “Servizio Cinema Edisonvolta” che Olmi era stato chiamato a dirigere. Documenta l’attività della squadra di operai in un paesino montano, specializzata nel riparare le linee di alta tensione danneggiate da incidenti. Vinse nel 1954, al Festival della montagna di Trento, il primo premio della categoria “I problemi industriali della montagna”.
Il mondo del lavoro è poi in “Cantiere d’inverno” (1955) in cui coglie gli operai impegnati nella costruzione di una diga in Val Chiese, sottolineando anche il senso di solitudine che li pervade: un racconto in un’atmosfera da fiaba.
Nelle opere di Ermanno Olmi troviamo la precisa attenzione alle fasi tecnicistiche ma al centro del racconto vi è soprattutto l’uomo. Ne è testimonianza anche “La mia valle” (1955) dove racconta la vita di un uomo di mezz’età vissuto sempre in una valle e in parallelo quella della nascita di un impianto elettrico che gli permette di trovare un’occupazione stabile come guardiano. Ma anche “Buongiorno natura” (1955) incentrato sulla breve vacanza in campeggio trascorsa da tre fratelli in Val di Viù (sede degli Stabilimenti Edison), lontani dai ritmi abituali delle grandi città.
Caratteristica di molti lavori di Ermanno Olmi è l’uso della voce narrante. La troviamo anche in “Michelino I° B”, girato in due scuole professionali di proprietà dell’Azienda, dove racconta la storia di un ragazzino che entra nella scuola elettronica della Edisonvolta sognando di fare il marinaio.
Altri cortometraggi importanti di Ermanno Olmi sono: “Il racconto della Stura”, imperniato sulla costruzione di una centrale elettrica sul fiume Stura: un racconto che si avvale dei disegni animati del regista Luigi Turolla, ma soprattutto “Manon Finestra 2” (1956) che si avvale di un testo di Pier Paolo Pasolini e della voce narrante di Arnoldo Foà. Racconta la drammatica situazione esistenziale dei minatori che scavano le gallerie indispensabili per incanalare l’acqua della valle nella condotta forzata da cui sarà portata fino alle pale delle turbine, una vita dura riflessa sui loro volti e i loro gesti. Un’opera che, qualche anno dopo, entusiasmò anche il grande Maestro Roberto Rossellini che dichiarò di considerare Ermanno Olmi un suo degno allievo spirituale per l’impiego del mezzo cinematografico come strumento di autentica conoscenza.
Molto apprezzati dalla critica sono anche “Tre fili fino a Milano” (1958) e “Un metro lungo cinque” (1961). Il primo è incentrato sul montaggio dei piloni di una linea elettrica a 220,000 Volt, in Val Daone, per poter trasmettere l’energia elettrica alla città di Milano, mentre l’altro ripercorre le tappe della costruzione della Diga del Reno, tra Italia e Svizzera, ripresa in tutta la sua imponenza.
Film sul mondo del lavoro che, come dichiarava Ermanno Olmi, quando li girava aveva in mente come destinatari i lavoratori stessi. Documentari in cui si trovano l’aspetto tecnico ma soprattutto quello umano, cui il regista era molto sensibile. Ne è una testimonianza anche il cortometraggio “Il pensionato” (1955) , ritratto di un uomo che non riesce a dire addio al lavoro.
Un cinema, quello di Ermanno Olmi, che corrisponde, come da lui affermato, al suo modo di guardare la vita. Ed al centro della vita c’è l’uomo. “Per me, ha dichiarato, il volto di un uomo è non solo la sintesi dell’uomo responsabile di quel volto, ma è la sintesi della storia universale. L’uomo è la somma e il risultato ultimo di tutto un grande processo che si evoluto nella direzione dell’uomo. Quindi il volto dell’uomo è il massimo dell’espressività, non solo di colui che porta quel volto, ma di ciò che gli sta intorno”. Concetti che ha maturato sin dalla realizzazione, appunto, dei cortometraggi industriali.