Criptovalute e Blockchain, ovvero: la nuova «corsa all’oro», di Livio Paciotti
Bitcoin, Ethereum, Ripple, Litecoin, Verge etc. Cosa sono, quale tecnologia c’è dietro, come comprarle / scambiarle / usarle per investimento. Quali opportunità e quali rischi comportano
Quarto capitolo
I maggiori fattori che influenzano il prezzo sono:
● La capitalizzazione di mercato della criptovaluta
● Il volume degli scambi
● Influenza di terze parti (soprattutto per quelle a bassa capitalizzazione di mercato)
● Costi di transazione
Gap tra Bid e Ask
Bid-Ask Spread. Differenza tra il prezzo bid (denaro) e il prezzo ask (lettera) praticato da un dealer. Il prezzo bid è il prezzo al quale il dealer è disposto ad acquistare uno strumento finanziario. Il prezzo ask è quello al quale il dealer è disposto a vendere uno strumento finanziario.
Codacons ricorda che: «Il potere del piccolo risparmiatore nel determinare il prezzo è praticamente zero in quanto sono i trader sui mercati professionali a dettare le regole e i rischi sono veramente molti»
Le monete alternative come quelle virtuali, non sono legate a Stati e quindi non hanno una convenzione o un corrispettivo sottostante, non vengono garantite da niente e da nessuno; né dal gettito fiscale, né dall’oro e neanche dai diritti sui beni. Possono «sparire» da un giorno all’altro con perdita di tutto il capitale investito
ICO di criptovalute, guadagni da sogno per chi rischia
L’economia delle criptovalute si è evoluta molto in fretta e sta attraversando ora una notevole fase di cambiamento
Tra le grandi novità degli ultimi tempi ce n’è un’altra che merita attenzione, vale a dire il fenomeno delle ICO
L’acronimo sta per Initial Coin Offering, che traslato dall’inglese diviene offerta iniziale di monete
È dunque assimilabile ad una IPO, ovvero ad un’offerta pubblica iniziale di azioni come avviene in Borsa? Non esattamente. Una IPO presuppone un preventivo avviso alla Consob unitamente alla specificazione di ogni dettaglio riguardante tale emissione: vanno forniti i nominativi dei soggetti che parteciperanno alla quotazione, il ruolo di ognuno, e le caratteristiche dell’offerta. La procedura è piuttosto lunga, vincolata a leggi molto precise. Non è minimamente possibile bypassarla al fine di distribuire equity a soggetti emettendo criptovalute.
Una ICO è invece una procedura non regolata. Tramite la procedura si possono vendere criptovalute o criptotoken. La differenza è che una criptovaluta (come bitcoin per esempio) rimanda all’uso di una Blockchain proprietaria. Un criptotoken invece si fa con una Blockchain terza come per esempio quella di Ethereum (per i criptotoken). Tale distinzione non è affatto banale: un criptotoken si può realizzare in poche decine di minuti e può essere emesso letteralmente da chiunque.
Una criptovaluta invece presuppone molto più lavoro: è necessario infatti programmare interamente una blockchain proprietaria.
Scelta delle ICO
I guadagni (o le perdite) dipendono dalla «volatilità» delle ICO
E’ importante comprendere che valutare una cripto in base al suo prezzo non è corretto, ma va valutata per la sua capitalizzazione
Ad esempio, se vedi una moneta con una capitalizzazione di mercato molto piccola e ritieni che sia un progetto davvero valido … pensi che le persone realizzeranno il potenziale della moneta in futuro … puoi comprare quella moneta. In futuro, quando più persone la comprano, aumenta la capitalizzazione e più valore avrà la tua moneta. Il prezzo è correlato alla quantità e ogni moneta ha una quantità diversa, quindi sarebbe sbagliato misurare una moneta in base al suo prezzo.
Prospettive delle criptovalute
Spesso si sentono frasi come “Il bitcoin rimpiazzerà le valute avente corso legale negli Stati, e ci renderà indipendenti dalle banche!”. Sicuramente è una possibilità, e molti ne sono profondamente convinti – e sperano che le crypto arrivino un giorno alla diffusione capillare dell’Euro o del Dollaro, sostituendole del tutto. Ma è davvero possibile? E se dovesse succedere, come sarebbe lo scenario risultante?
Nessuno possiede la sfera di cristallo, ma agli scettici bisogna sempre ricordare alcuni esempi: trent’anni fa sarebbe stato impensabile fare il check-in per il volo da casa propria (figuriamoci con il telefono), o fare la spesa spaparanzati sul proprio divano. La lista di cose che trent’anni fa sarebbero state fantascienza è potenzialmente molto lunga. Dunque, estrema cautela prima di dire “impossibile”.
Potrebbe anche essere, dunque, che le “nuove valute” sostituiscano quelle tradizionali. Proviamo a immaginare che cosa significherebbe. Un tale scenario sarebbe auspicabile? Porterebbe più pro che contro? Dove penderebbe la bilancia se non esistesse un controllo centralizzato?
Il ruolo della banca centrale
Innanzitutto è interessante puntualizzare che ci sono state epoche dove non erano presenti banche centrali, e non sono state esattamente periodi floridi ed equi per l’umanità. Le banche centrali comparvero nel XVII secolo. Inizialmente erano banche che facevano gli interessi del sovrano poi, progressivamente, si sono avvicinate sempre più ai mandati di oggi: garantire la stabilità dei prezzi, e possibilmente una crescita dell’economia.
Le banche centrali svolgono infatti un ruolo cruciale a livello macroeconomico: esercitano un diretto controllo sui tassi di interesse e la quantità di moneta in circolazione. E perché è importante controllare il quantitativo di moneta in circolazione? Perché l’economia, se lasciata operare in autonomia può creare forti disagi alle popolazioni.
Viene facile comprendere come mai: pensiamo alla crisi del 2008 scaturita dalle concessioni di mutui a clienti che non sarebbero mai stati effettivamente capaci di ripagarli, manifestatasi in tutta la sua violenza con il collasso di Lehman Brothers. Quest’ultimo evento catastrofico causò la diffusione di esternalità negative così forti da condurre in recessione prima gli USA, poi altri Stati del mondo. Immediatamente vennero presi provvedimenti, con tassi di interesse portati prima a zero e poi addirittura in territorio negativo, in modo tale da scoraggiare le banche commerciali dal detenere depositi presso la Banca Centrale di riferimento.
Oltre a ciò vennero adottate misure straordinarie come il Quantitative Easing (QE), manovra che – semplificando molto – consiste nell’acquisto di titoli di Stato con stock di moneta stampati ad hoc. L’idea era che così facendo le banche commerciali avrebbero avuto un forte incentivo ad investire tutta quella nuova liquidità nell’economia reale concedendo mutui e finanziando imprese, così da stimolare la ripresa economica.
Il grafico illustra la variazione del quantitativo di asset in possesso delle banche centrali durante i QE. Si nota come abbia assunto praticamente la forma di una retta con pendenza positiva, tale è stata la costanza di tale intervento di iniezione di liquidità. La Banca Centrale Europea ha acquistato per tutto il 2018 titoli per un controvalore pari a 30 MLD di Euro al mese.
Interventi di questo tipo hanno funzionato molto bene in determinate economie; quella tedesca per esempio si è ormai del tutto ripresa, quella statunitense ha un tasso di disoccupazione ormai vicino al 5%, quasi piena occupazione. Altrove hanno portato meno benefici, eloquente è il caso dell’Italia con un PIL ancora al di sotto del massimo registrato immediatamente prima della crisi. Ma contano anche dinamiche esterne alle politiche delle Banche Centrali e non ha senso approfondirle in questo luogo.
Dopo questa premessa, quel che bisognerebbe considerare è: in un’economia perfettamente decentralizzata senza controllo alcuno sullo stock di moneta che rimane totalmente indipendente da congetture economiche, si starebbe effettivamente meglio? Forse, ma sembra poco probabile.
Se le banche centrali non avessero messo in atto tali manovre la crisi avrebbe potuto rendersi anche più dolorosa e soprattutto perdurare più a lungo. Il problema può manifestarsi anche al contrario: in un’economia troppo “allegra” possono svilupparsi problematiche opposte come quelle relative ad aumenti repentini dell’inflazione, vero assassino silenzioso del risparmio e dell’investimento (ma che giova a ridurre il debito). Anche in tal caso una Banca Centrale può intervenire, questa volta nel senso opposto a quello descritto in precedenza.
Le nazioni le adotteranno ?
Veniamo ora all’attualità: è notizia di un po’ di mesi fa l’interessamento della Banca Centrale di Russia all’emissione di un “Cryptorublo”. Dichiarazione d’intenti seguita a quella che sanciva il ban delle altre criptovalute nel paese.
Ma perché questo ostracismo? La risposta è banale: non esiste banchiere centrale che non tema l’ascesa delle cyptocurrencies. Fermarle da un punto di vista tecnologico è molto difficile, forse impossibile, e le conseguenze sono o potrebbero essere quelle descritte.
La realtà è che una diffusione capillare di bitcoin, monero, litecoin o verge manderebbe in soffitta le possibilità di mettere in atto vere politiche economiche, lasciando dunque l’economia russa in balìa di sé stessa e del mercato.
La criptovaluta di Stato sarà 100% pre-mined e con tutta probabilità funzionerà su una Blockchain proprietaria realizzata ad hoc. Ciò consentirà allo Stato di conoscere in ogni momento la ricchezza di qualunque cittadino ed eventualmente di effettuare qualsiasi tipo di tassazione a costo zero alla quale non potrà opporsi nessuno.
Attenzione, non si tratta affatto di pura teoria economica: sotto il mandato di Margaret Thatcher ogni cittadino britannico venne tassato per il solo fatto di possedere la facoltà di votare ed essere iscritto ad una lista politica. Passò alla storia come “Poll tax”. Qui in Italia abbiamo avuto a volte le imposte “una tantum” – in molti ricorderanno il prelievo forzato a livello “predatorio” del Governo Amato fatto a danno dei nostri conti correnti, tra il 9 e il 10 luglio 1992.????
Certamente delle valute fiat su blockchain consentirebbero un azzeramento dell’evasione fiscale ed un’emersione di nero e sommerso, ma chi insegnerebbe come usarle e spenderle ai cittadini più anziani scarsamente a proprio agio con la tecnologia?
Petro: una criptomoneta in Venezuela (già fallita)…
Una criptomoneta per uscire dall’accerchiamento e sfuggire alle sanzioni finanziarie ed economiche volute dagli USA, che negli ultimi mesi hanno messo in ginocchio la moneta nazionale, il bolivar: è quanto ha annunciato durante la sua trasmissione domenicale “Los domingos con Maduro” il presidente del Venezuela Nicolas Maduro.
Negli ultimi mesi infatti a causa delle sanzioni la situazione economica del paese latino-americano è al tracollo, e il default è vicino. Il bolivar infatti come detto è stato vittima di una inflazione vertiginosa, 250% in più rispetto all’anno scorso, e non è quindi più’ utilizzabile per gli scambi internazionali. Dal primo luglio scorso inoltre il salario minimo mensile è crollato drasticamente, attestandosi a circa 97 mila bolivar, l’equivalente di 28 euro.
Da qui l’idea di affidarsi a una moneta virtuale, il petro, che dovrebbe essere garantita dalle risorse minerarie del paese: petrolio, gas, oro e diamanti. “Questo ci permetterà di intraprendere nuove forme di transazioni finanziarie internazionali, per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese”, ha annunciato Maduro, “e lo faremo con l’emissione di una criptomoneta, basata sulla riserva di ricchezza venezuelana”.
Annuncio fatto, ma non è chiaro con quale risultato a distanza di vari mesi…????
Infatti:
Dopo il fallimento della moneta virtuale Petro, presentata a febbraio, la Banca Centrale del Venezuela punta sui bitcoin per finanziare la crisi del Paese. Come rivelato da Bloomberg, l’istituto starebbe conducendo dei test per verificare la possibilità di incamerare bitcoin ed ethereum, che permetterebbero alla compagnia petrolifera nazionale Petroleos de Venezuela di pagare i propri fornitori. Anche se non è chiaro come la compagnia abbia ottenuto risorse in valute elettroniche, la speranza è che queste possano essere utilizzate e coperte dall’istituto nazionale, dal momento che le principali banche mondiali diffidano dal fare affari nel Paese a causa della sua instabilità.
Secondo fonti citate dalla testata, i tecnici della banca starebbero anche studiando la possibilità di annoverare le valute digitali (la cui unità di misura è il gettone, dall’inglese token), tra gli asset esteri del Paese, che hanno raggiunto il minimo storico di 7,9 miliardi di dollari. L’isolamento del Paese e le sanzioni inflitte contro Maduro dagli Stati Uniti hanno inciso profondamente sulla situazione in Venezuela, che sta oggi affrontando la più dura crisi economica della storia.
Anche rimanendo volatile, il bitcoin ha segnato quest’anno un aumento del 130 per cento del suo valore rispetto all’anno scorso, portandolo a 7,342.56 euro (al 30 settembre). Tuttavia, negli ultimi quattro giorni la valuta ha perso circa il 20 per cento. Un ethereum invece vale 157.26 Euro. Allo studio dei tecnici anche la possibilità di utilizzare le criptovalute su asset esteri – le riserve internazionali, composte da bond e depositi presso altri Paesi – che oggi ammontano a 7,9 miliardi di dollari, il punto più basso degli ultimi trent’anni.
Come spiega Bloomberg, la compagnia petrolifera sta avendo gravi difficoltà a essere pagata in modo convenzionale dai propri clienti, dal momento che le sanzioni scoraggiano le banche che dovrebbero fare da intermediarie. Il mese scorso, Petroleos de Venezuela ha ricevuto la gran parte di un pagamento di 700 milioni di dollari in yuan cinesi….