Quasi quotidianamente siamo subissati da continue notizie su come utilizzare i fondi messi a disposizione dalla UE per fare ripartire l’Italia, da impiegare però con una serie di vincoli per l’ambiente e per la tecnologia.
A questo proposito, vorrei far presente che con questi fondi potrebbe essere ripreso il progetto DESERTEC che naufragò circa 10 anni fa soprattutto per problemi geopolitici, piuttosto che per problemi tecnici.
Per chi non sapesse cosa è il progetto DESERTEC riporto alcuni passaggi tratti dai documenti del progetto originale.
1. Il Progetto
La fonte di energia di gran lunga più importante della Terra sono i deserti nella fascia subtropicale. Il progetto DESERTEC pone tecnologia e deserti al servizio della sicurezza energetica, idrica e climatica. A tale scopo proponiamo una cooperazione tra Europa, Medio Oriente (the Middle-East) e Africa Settentrionale (North Africa) (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Questi impianti sono in grado di coprire il fabbisogno crescente di desalinizzazione dell’acqua marina e di produzione di elettricità in tali paesi e inoltre di generare corrente pulita che può essere trasportata in Europa mediante cavi a corrente continua ad alta tensione (HVDC High Voltage Direct Current) con perdite complessive limitate al 10-15%. Per paesi come l’Australia, la Cina, l’India e gli Stati Uniti la realizzazione del progetto DESERTEC sarebbe,per ovvie considerazioni geopolitiche, considerevolmente più semplice.
Tutte le tecnologie per la realizzazione del progetto DESERTEC sono già disponibili e, in parte, già operative da decenni. Dati satellitari telerilevati e diversi studi del Deutschen Zentrums für Luft-und Raumfahrt (DLR, l’Agenzia Spaziale Tedesca) confermano l’abbondante disponibilità di energia solare. Le condizioni dell’approvvigionamento energetico e la situazione climatica impongono la necessità di sviluppare senza indugi questo progetto, per la cui realizzazione non mancano che la volontà politica e le necessarie condizioni al contorno (???????? N.d.R.).
2. Il Network TREC
La Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC) è stata fondata nel 2003 dal Club di Roma, l’ Hamburger Klimaschutz-Fonds e il Centro Nazionale Giordano per la Ricerca sull’Energia (NERC). TREC ha sviluppato e investigato, congiuntamente al DLR, il progetto DESERTEC. Compito del TREC è di tradurre ora in pratica questo progetto unitamente a rappresentanti della politica, dell’industria e del mondo finanziario. Per il rafforzamento di queste attività èattualmente in corso la creazione della Fondazione DESERTEC.
Una rete internazionale di scienziati, politici ed esperti nel settore delle energie rinnovabili e nel loro sviluppo costituisce il nucleo di TREC. I circa 60 membri, tra cui Sua Altezza Reale il Principe Hassan bin Talal di Giordani svolgono, presso governi e investitori privati, un’azione di diffusione delle informazioni relative alle possibilità di utilizzazione congiunta dell’energia solare ed eolica e si fanno promotori di progetti concreti in tale settore. Network regionali s’impegnano per la diffusione di queste idee nei propri paesi.
3. Tre studi del DLR
TREC è stato fondato con la finalità di assicurare all’Europa e ai paesi della fascia del sole, rapidamente e a buon mercato, energia pulita mediante la cooperazione dei paesi dell’ EU-MENA.
L’immissione dell’energia dal deserto nella rete europea, in aggiunta alle sorgenti europee di energia rinnovabile, è in grado di accelerare il processo di riduzione delle emissioni europee di CO2 e può contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento europeo di energia. Allo stesso tempo può assicurare, oltre al proprio approvvigionamento di energia elettrica, posti di lavoro, profitti, un miglioramento delle infrastrutture per i popoli del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA) e una fonte inesauribile di energia esente da emissioni di CO2 per la desalinizzazione.
TREC ha partecipato alla realizzazione di tre studi che hanno stimato il potenziale delle fonti rinnovabili nei paesi MENA, le necessità energetiche e idriche tra la data attuale e il 2050, nonché lo sviluppo di una rete elettrica che colleghi i paesi europei con quelli della sponda meridionale del Mediterraneo (Collegamento EU-MENA). Questi studi sono stati commissionati dal Ministero tedesco dell’Ambiente, della Protezione della Natura e della Sicurezza Nucleare (BMU) e sono stati svolti dal Centro tedesco di Ricerca Aerospaziale (DLR).
Lo studio ‘MED-CSP’ è stato realizzato nel 2005, mentre lo studio ‘TRANS-CSP’ è stato completato nel 2006.
Nel 2007 è stato altresì completato lo studio ‘AQUA-CSP’ sulle necessità, il potenziale e le conseguenze della desalinizzazione mediante energia solare nei paesi MENA.
Gli studi svolti dal Centro tedesco di Ricerca Aerospaziale (DLR) sulla base di dati satellitari telerilevati hanno dimostrato che centrali a energia solare termodinamica, disposte su meno del 0.3% dell’intera superficie dei deserti dell’area MENA, sarebbero in grado di generare elettricità e acqua potabile in quantità tale da coprire la domanda attuale dei paesi EU-MENA e della stessa Europa, nonché gli incrementi stimati di tale domanda nel futuro. La produzione di energia eolica è particolarmente conveniente nel Marocco e nelle zone intorno al Mar Rosso, sarebbe possibile generare ulteriori forniture di energia.
L’energia solare ed eolica così prodotta potrebbe essere distribuita nei paesi dell’area MENA e trasmessa in Europa attraverso linee di corrente continua ad alta tensione (High Voltage Direct Current, HVDC) con perdite limitate al 10-15%.
Paesi come l’Algeria, l’Egitto, la Giordania, la Libia, il Marocco e la Tunisia hanno già dichiarato il loro interesse alla collaborazione in quest’ambito.
4. Le tecnologie
La tecnologia solare più efficiente per la produzione di energia è quella termodinamica a concentrazione (Concentrating Solar Thermal Power, CSP).
In tale tecnologia è previsto l’uso di specchi per concentrare la luce solare e creare così del calore utilizzato per produrre il vapore necessario per il funzionamento delle turbine e dei generatori. Quantità di calore in eccesso rispetto alla domanda possono
essere immagazzinate in serbatoi di sali fusi e utilizzate per azionare le turbine nelle ore notturne o in corrispondenza di un picco della domanda. Per garantire la continuità del servizio in caso di cielo coperto, è possibile alimentare le turbine anche con combustibili fossili o derivati dalle biomasse, senza bisogno quindi di costosi impianti di backup.
Il calore residuo del processo di generazione dell’energia può essere utilizzato (in cogenerazione) per desalinizzare l’acqua marina e produrre termico di raffreddamento – sottoprodotti preziosi per il benessere delle popolazioni locali.
Le centrali a concentrazione sono da preferire a quelle più costose fotovoltaiche in quanto sono in grado di produrre nell’arco di tutte le 24 ore (qui aggiungo che magari con i nuovi sistemi questo sarebbe un passaggio da rivedere. NdR).
L’immissione nella rete europea di corrente fotovoltaica fluttuante dai paesi del MENA richiederebbe sistemi di pompaggio in Europa per l’immagazzinamento e quindi un maggiore quantità di linee elettriche a fronte di un numero minore di ore giornaliere d’uso.
Mediante l’uso di corrente continua ad alta tensione (HVDC), è possibile limitare le perdite di potenza legate alla trasmissione a circa 3% per 1000 km. L’intensa radiazione solare nei deserti dell’area MENA (pari al doppio di quella nell’Europa del Sud), supera ampiamente il 10-15% di perdite di trasmissione tra l’Europa e i paesi dell’area MENA. Ciò significa che le centrali solari nei deserti dell’area MENA sarebbero più economiche di quelle eventualmente costruite nell’Europa meridionale (un altro punto da “ricalcolare”. NdR).
Le fluttuazioni stagionali dell’insolazione sono inoltre sensibilmente minori nei paesi del MENA rispetto all’Europa. Benché in passato sia stato proposto l’idrogeno come vettore energetico, questa forma di trasmissione è molto meno efficiente delle linee HVDC (anche questo da rivedere. NdR).
Le tecnologie necessarie per realizzare lo scenario DESERTEC sono già sviluppate e alcune di esse sono già impiegate da decenni.
Le linee di trasmissione HVDC fino a 3 GW di capacità sono già state realizzate da ABB e Siemens da diversi anni. Nel luglio del 2007 la Siemens ha vinto una gara per la costruzione di un sistema HVDC di 5 GW System in Cina. In occasione del ‘World Energy Dialogue 2006’ di Hannover rappresentanti delle due compagnie hanno confermato che la costruzione delle linee previste dal progetto DESERTEC è, da un punto di vista tecnico, perfettamente fattibile.
Centrali solari a concentrazione solare sono già sfruttate commercialmente a Kramer Junction in California dal 1985. Altre centrali solari termodinamiche con una capacità totale di oltre 2000 MW sono già in fase di pianificazione, di costruzione o già operative. La Spagna ha creato adeguate condizioni normative, assicurando una remunerazione di circa 26 Eurocent per chilowattora immessa nella rete.
Grazie alla più intensa insolazione, è possibile, nei paesi del MENA e negli USA, produrre energia già oggi in maniera ancora più vantaggiosa. Il DLR ha calcolato che se le centrali solari termodinamiche venissero costruite in numero elevato nei prossimi anni, il costo dell’energia solare scenderebbe a circa 4-5 EuroCent/kWh. Poiché i prezzi delle materie prime necessarie per la costruzione delle centrali solari attualmente cresce in misura inferiore a quello dei combustibili fossili, esse potrebbero diventare competitive prima del previsto. Attualmente le limitate capacità produttive limitano, in presenza di una crescente domanda internazionale, la riduzione dei prezzi.
5. Modalità di realizzazione del progetto DESERTEC
E’ già iniziata in Spagna e negli Stati Uniti la costruzione di nuove centrali a concentrazione solare (Andasol 1 & 2, Solar Tres, PS10, Nevada Solar One). Altre iniziative sono in corso in Algeria, Egitto e Marocco. Ulteriori impianti sono previsti in Giordania e in Libia. In Marocco è stata approvata una legge per l’immissione in rete dell’energia da fonti rinnovabili (in particolare dal vento). Sono iniziate discussioni a livello europeo per la costruzione di una Supergrid (Euro-Supergrid). Inoltre stanno prendendo forma i piani per la costruzione di parchi del vento offshore.
L’Unione per il Mediterraneo intende realizzare un Piano Solare per il Mediterraneo e potrebbe costituire l’ambito in cui realizzare il progetto DESERTEC nella regione EU-MENA.
Per realizzare entro il 2050, in aggiunta alla copertura del fabbisogno dei paesi della regione MENA, una capacità di esportazione pari a 100 GW (la corrente generata da circa 100 centrali nucleari), sono necessari aiuti finanziari di avvio da parte statale per rendere attraente, nella fase iniziale, la costruzione di centrali e linee di trasmissione da parte di investitori pubblici e privati.
Secondo le valutazioni del DLR, sarebbero sufficienti sovvenzioni statali dell’ordine di grandezza di qualche miliardo di Euro, (quindi assai poco dati gli attuali finanziamenti dovuti al Covid. NdR) perché lo sviluppo di centrali solari raggiunga un livello tale da essere competitivo senza ulteriori sovvenzioni entro il 2020 (sigh..NdR) .
Alla luce dell’attuale dinamica dei prezzi di gas e petrolio e, conseguentemente, dell’elettricità, questo traguardo potrebbe essere raggiunto anche in una data anteriore.
Gli investimenti nella costruzione di centrali e linee elettriche non devono tuttavia essere necessariamente di carattere pubblico. Come è risultato evidente nella manifestazione “10,000 Solar GigaWatts” organizzata dal TREC alla Fiera di Hannover 2008 anche banche e investitori privati a livello internazionale sono disponibili a finanziare queste opere, non appena siano state realizzate le necessarie premesse.
Sono cioè necessarie e urgenti le assicurazioni di acquisto della corrente, così come, nel caso di alcuni paesi, di garanzie per il finanziamento delle immissioni della corrente in rete a prezzi opportuni per le energie rinnovabili (fino ad arrivare appunto alla cifra prevista di qualche miliardo di Euro). I paesi dell’Europa meridionale potrebbero ad esempio offrire le condizioni per l’immissione in rete previste dalla normativa tedesca (Erneuerbare Energien Einspeisegesetzes, EEG).
Sarebbe altresì ipotizzabile, che le condizioni di immissione in rete siano finanziate da “Renewable Energy Credits”, sottoscritte da paesi europei per raggiungere (e possibilmente superare) gli obiettivi previsti dalle convenzioni sul clima. Naturalmente ciò non deve andare a scapito dello sviluppo delle energie rinnovabili in Europa, che costituiscono anche nello scenario TRANS-CSP 2050 una componente importante del mix energetico.
Circa l’opportunità che la produzione di energia da fonti rinnovabili debba servire al fabbisogno interno o, principalmente, all’esportazione, ciò dipenderà dalla scelta di ciascun paese: il fabbisogno interno del Marocco è tale da richiedere innanzi tutto un sistema di crediti per impianti eolici e solari. Tunisia e Algeria appaiono invece interessati all’esportazione.
Non appena i paesi dell’Europa meridionale cominciassero a importare corrente dalla regione del MENA, si avrebbero conseguenze anche per i paesi, come la Germania, che esportano attualmente energia verso l’Europa meridionale. Ci sarebbe così più energia disponibile per la stessa Germania, circostanza questa che ridurrebbe la spinta alla costruzione di centrali termiche a combustibili fossili e consentirebbe di disporre del tempo necessario allo sviluppo delle energie rinnovabili.
Anche se gli stessi paesi dell’Europa centrale potrebbero importare corrente pulita dal sud utilizzando le linee esistenti, è tuttavia imperativa la costruzione di linee HVDC, in grado di limitare le perdite. Poiché la progettazione, l’approvazione e la costruzione di tali linee può richiedere molti anni, i relativi studi debbono iniziare al più presto.
Conclusioni e proposte
Da quanto esposto sopra si comprende come la “visione” del progetto sia veramente “grandiosa” ed ineccepibile dal punto di vista tecnologico, (pur con i dovuti aggiornamenti tecnologici maturati nell’ultimo decennio, evidenziati nei commenti) ma il vero punto debole (che poi ha decretato l’affossamento del progetto) sono state le fragilissime condizioni geopolitiche di molti dei paesi interessati, uniti ad ostacoli burocratici etc.
Basti solo pensare a cosa andremmo incontro in Europa se il progetto fosse già in funzione od in fase di realizzazione visto quello che succede nel sud Mediterraneo in questo periodo.
Quindi la “idea” (se così si può dire) sarebbe quella di “ripensare” questo progetto in scala minore, da costituire solo in paesi stabili, e quindi quale posto migliore del Sud Italia?
Certo le “densità energetiche” non sarebbero come quelle del Sahara ma considerando anche la maggior efficienza dei sistemi attuali il tutto potrebbe tranquillamente essere realizzato tecnicamente, anche se opportunamente aggiornato. Anche qui però vedo una serie di enormi ostacoli, (tipicamente italiani) a cominciare dai vari “NIMBY” , comitati per l’ambiente, burocrazia etc. etc.
Sarebbe comunque un ottimo “biglietto da visita” per tutti, non certo contestabile dalla UE e permetterebbe di far partire un imponente “volano” per la economia del Sud Italia e non solo. Ultimamente, proprio in questi giorni, si sono aggiunte nuove “opportunità” che possono cambiare lo scenario sopra descritto.
Snam è tornata a Cernobbio per presentare H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia, lo studio realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con il gruppo guidato da Marco Alverà.
E’ stata l’occasione per esaminare, più in profondità, le opportunità che l’idrogeno può offrire sia nel percorso di decarbonizzazione che l’Italia vuole raggiungere, in base al Piano Energia e Clima nel 2050, sia per valutare le potenzialità della filiera industriale italiana in questo settore.
Come emerge dallo studio, grazie alla posizione geografica, alla forza del settore manifatturiero ed energetico e a una capillare rete di trasporto gas, il nostro Paese ha le potenzialità per diventare un hub continentale dell’idrogeno verde e un ponte infrastrutturale con il Nord Africa, assumendo un ruolo importante nella Hydrogen Strategy europea”.
Ecco quindi che si viene a creare una valida alternativa a quanto ipotizzato in precedenza, ovvero fare dell’Italia un “Hub” per l’idrogeno verde prodotto da fonti rinnovabili in Nord Africa (sempre che sia possibile per i problemi accennati in precedenza) e trasportato attraverso la rete di tubazioni già presenti (visto che l’idrogeno può essere miscelato al gas naturale all’interno dei 34.000 km di tubi che Snam possiede e separato in opportune stazioni di arrivo), oppure l’Italia potrebbe contribuire con una massiccia produzione in loco.
I costi di produzione dell’idrogeno da fonti rinnovabili diventeranno sempre più competitivi rispetto alla produzione da petrolio.
Secondo gli scenari di penetrazione per l’Italia, l’idrogeno ha il potenziale di coprire il 23% della domanda energetica nazionale al 2050. Tale aumento della quota di idrogeno nei consumi energetici finali permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2eq, corrispondente a una riduzione di circa il 28% rispetto alle emissioni climalteranti (sostanzialmente i gas serra) italiane odierne.
Proseguendo nei “ragionamenti futuristici”, vorrei inserire in questo contesto un altro argomento (che potrebbe essere correlato a questo progetto), ovvero il futuro della ex Ilva.
Indipendentemente da tutte le rimostranze e i dibattiti politici che si sono concentrati negli ultimi tempi sulle acciaierie di Taranto, quello che sembra emergere, da un punto di vista economico, è che l’acciaio è in crisi, in quanto se ne consuma sempre meno, per varie motivazioni.
Tenendo per buona questa amara constatazione, occorrerebbe far fronte freddamente e da un punto di vista distaccato, alla problematica del settore, per tentare le vie di una possibile “riconversione industriale intelligente” e cambiando, anche drasticamente, paradigma.
A questo punto ecco una proposta che definirei “audace”, ma possibile.
Noi spendiamo molto per mandare i rifiuti all’estero, in luoghi anche molto lontani, per essere smaltiti in impianti di termovalorizzazione o peggio in discariche a cielo aperto; tra questi luoghi c’è anche la Cina che non accetterà per sempre le migliaia di tonnellate di rifiuti plastici dall’Europa e quindi dall’Italia.
Quindi, visto che Taranto ha le infrastrutture adatte come ferrovie e porti etc. per fare da “collettore”, perché non investire nella area ex ILVA in un sistema integrato di compostaggio, riciclaggio e termovalorizzazione di rifiuti con impianti modernissimi ed all’avanguardia, “replicando” quelli già in uso in Giappone e Danimarca?
Il sito potrebbe quindi fungere da collettore per i rifiuti dell’Italia Centro Sud e non solo e si eviterebbero tutte le trasferte all’estero dei nostri rifiuti o i vergognosi misfatti che tutti abbiamo visto nella “Terra dei Fuochi”, a Roma e più in generale in giro per l’Italia con gli incendi di vari capannoni di stoccaggio rifiuti, strade ingombre etc.
In ogni modo le migliaia di tonnellate di immondizia sparsa in vari siti d’Italia in qualche modo prima o poi dovranno essere gestite e le aree bonificate.
So che per Ferrara che convive da anni con un grosso termovalorizzatore l’argomento è “delicato”, ma occorre avere coraggio, determinazione e pensare a qualcosa di “diverso”.
Sfruttando anche qui opportunamente i fondi europei (con gli opportuni controlli prima durante e dopo la realizzazione), dopo aver affrontato una difficile parte iniziale, col tempo si creerebbe un “circolo virtuoso” che potrebbe veramente riqualificare l’Italia agli occhi dell’Europa e del mondo, ottenendo nello stesso tempo, dal riciclaggio dei rifiuti, pulizia ed energia elettrica o acqua calda per diverse regioni.
Magari il sito potrebbe essere integrato in un parco per il recupero di batterie di auto elettriche esauste o di materiali nobili, da cui si potrebbero poi ricavare altre batterie, oltre ad esempio ad un impianto per la generazione di idrogeno da fonti rinnovabili etc.
So che questo va contro il pensiero di chi vuole una economia “circolare “pura”, la quale sarebbe giusta in sé come idea, ma che in assoluto non potrà mai essere realizzata per il II° principio della termodinamica, secondo cui non si possono fare lavorazioni senza scarti.
La soluzione potrebbe permettere di reimpiegare buona parte delle persone in esubero dalla Ex ILVA (anche se non tutte e non subito), ma in prospettiva si avrebbe un impiego forse anche superiore all’attuale (pur se diversificato), in termini di forza lavoro tra addetti diretti ed indiretti.
In definitiva, la zona non diventerebbe più inquinata di quanto già non sia, anzi subirebbe una riqualificazione notevole, naturalmente utilizzando le tecniche più moderne e all’avanguardia per il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti, magari incentivando la pulizia delle nostre città con l’uso di cassonetti intelligenti etc.
In poche parole, le idee e le possibilità per riqualificare e riconvertire certe aree si trovano, basta applicarle con proattiva determinazione e senza falsi pregiudizi, affrontando man mano le sfide che il mondo in continua evoluzione ci prospetta.
In pratica una impresa “titanica” per chi volesse solo “pensarla”, ma tant’è … immaginare un futuro migliore non costa nulla.