Il 24 novembre scorso si è svolto un interessante convegno, promosso dall’Associazione Koiné (sito web: http://www.e-koine.com/), sul tema “Molti, benedetti e subito o pochi, maledetti e tardi? Le risorse europee alla prova della capacità del sistema Italia“; l’argomento, come appare già evidente dal titolo, riguarda le imponenti risorse europee del Recovery Fund e come dovrebbero essere utilizzate per favorire la ripresa dell’Italia e la sua uscita da un lungo periodo di crisi che precede, e di molto, l’arrivo del coronavirus. L’evento si è svolto online, come d’abitudine in questo periodo di forzato “distanziamento sociale” (che sarebbe meglio ridefinire “distanziamento fisico”, o interpersonale); l’online ha lo svantaggio oggettivo di non consentire la prossimità fra i relatori, che in altri contesti “fisici” avrebbero potuto dialogare ulteriormente fra loro, ma consente altri indiscutibili vantaggi, ed in primo luogo di permettere a chiunque di ascoltare, anche a grandi distanze, quanto viene detto. Soprattutto se, come in questo caso, il convegno si può ascoltare anche successivamente, a questo LINK. Ma perché è importante quell’iniziativa? A mio avviso, per due ragioni fondamentali, per una ragione di merito e per una, anch’essa altrettanto importante, di metodo. Dal punto di vista del merito, questa iniziativa si è occupata di come poter utilizzare i fondi europei per la ripresa dell’Italia: è una discussione che fatica a partire nel Paese, e che consiste nel tradurre in programmi e politiche concrete le linee guida già tracciate dall’Unione. Non entro nel merito del “dover essere” suggerito da Koiné e poi dai vari interventi dei diversi relatori, perché invito ad ascoltare quello che si è detto, visto che il convegno è disponibile integralmente sul web; mi limito solo a fare un paio di considerazioni, per così dire, di “cornice”: anzitutto, che l’Italia sta già utilizzando imponenti risorse europee, perché sta emettendo grandi quantità di debito pubblico in disavanzo a interessi vicini allo zero, e questo grazie alla “potenza di fuoco” della BCE. Grazie agli imponenti interventi della Banca centrale europea, non solo in questo periodo ma dal tempo del “wathever it takes” di Mario Draghi, noi stiamo ampliando il nostro debito pubblico nazionale pagando oneri finanziari in misura inferiore a quanto pagavamo prima: due dati, tratti dalle tabelle delle Statistiche di finanza pubblica nei paesi dell’Unione europea della Banca d’Italia, ci dicono per esempio che nel 2002 l’Italia aveva un’incidenza del debito pubblico sul Pil pari al 106,4% e pagava interessi su quel debito con un’incidenza che era pari al 5,4% del Pil; nel 2019 (prima dello scoppio della pandemia e del lockdown), il debito pubblico italiano era già aumentato al 134,8%, ma gli interessi pagati sono scesi al 3,4% del Pil. Ad un maggior debito corrispondono cioè minori interessi da pagare, e questo perché siamo all’interno dell’area euro che è una delle aree economiche più importanti del mondo, con una Banca centrale (la BCE) che ci permette di mantenere queste performances, anche adesso che siamo in piena crisi economico-pandemica.
Il Recovery Plan, o Piano per la ripresa dell’Europa, è un programma complesso, di cui Next Generation EU è una parte, anche se assai rilevante; ma il Recovery Plan, e all’interno di esso in particolare Next Generation EU, si può considerare nei suoi effetti alla stregua di un secondo grande Piano Marshall che come Paese non possiamo permetterci di perdere: a partire dal primo Piano Marshall, quello americano, l’Italia del dopoguerra uscì dalle macerie avviando un circolo virtuoso che portò poi nel nostro Paese il miracolo economico, un “miracolo” che oggi abbiamo l’opportunità di ripetere, a seguito del nuovo Piano Marshall europeo. Ma quel primo miracolo economico fu possibile perché la classe politica e l’apparato burocratico dello Stato, che governavano all’epoca il nostro Paese, si rivelarono entrambi all’altezza del compito, tanto che le grandi opere infrastrutturali che consentirono poi all’Italia di diventare, negli anni Ottanta, la quinta potenza economica dell’Occidente e del mondo, furono realizzate in breve tempo, rapidamente, senza problematiche amministrative, conseguenze giudiziarie o altre problematiche. Noi oggi abbiamo bisogno di programmare e di realizzare il futuro del nostro Paese prendendo ad esempio quel periodo e ciò che in quel periodo fu realizzato. Eppure i contenuti di dettaglio del nostro programma sono ancora in itinere, mentre il tempo passa veloce: un tempo che qui è come un treno che passa ad alta velocità, e che non possiamo perdere se vogliamo arrivare a destinazione.
Ma la ragione di metodo utilizzata in quel convegno, per noi che ci muoviamo in un ambito che è prettamente locale, è a mio avviso ancora più importante, almeno dal nostro punto di vista: perché, se analizziamo chi sono i relatori di quel convegno, scopriamo che, in gran parte, sono o sono stati esponenti rilevanti dei tre sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) e del mondo accademico. Questa connessione, fra accademici e sindacalisti, è stata la forza del sindacato confederale nella sua fase di maggiore popolarità, che è stata anche una fase di grande proposta politica: citerei, ma solo per mia esperienza personale, l’impegno in tal senso di un grande esponente sindacale come è stato Pierre Carniti, che promosse associazioni, riviste, pubblicazioni per “remare contro corrente”, consapevoli tutti che il sindacato non può non occuparsi del Paese e del suo futuro, perché se la barca affonda non ci sarà alcun sindacato che riuscirà a tutelare davvero i rematori, cioè i lavoratori. Perché dunque è importante il metodo utilizzato in quel convegno per la nostra esperienza locale? Perché mettere insieme i protagonisti (di oggi ma anche di ieri) del sindacato, il mondo accademico, le forze produttive e imprenditoriali è il metodo giusto per poter elaborare un progetto condiviso che possa servire per il futuro, e che possa in particolare orientare i politici, se vorranno ascoltare (e se non vorranno, ne potranno pagare elettoralmente le conseguenze). Nel convegno di Koiné i politici non erano del tutto assenti, anzi: non possiamo dire che alcuni dei relatori non siano o non siano stati “politici”; ma sono tutti, e prima di tutto, accademici prestati alla politica, ed è il rapporto università-forze produttive che dovrebbe essere centrale nel disegnare il futuro, non solo del Paese, ma anche di comunità locali come la nostra: a mio avviso, infatti, non è possibile disegnare il futuro “macro” dell’Italia se questo non viene fatto anche sui territori e a partire dai territori. E non è una considerazione da limitare solo a qualche territorio, o a qualche campanile: perché l’Italia è, fra tutti i Paesi dell’Unione, quello con le maggiori differenze territoriali, che si sono aggravate in questi anni (e ben prima dell’arrivo della pandemia). Se dunque non partiamo dalle comunità locali, rischiamo con un discorso solo “macro” di fare un buco nell’acqua. E in questo contesto, nel nostro territorio, potrebbe giocare un ruolo importante un’associazione come il Cds, auspicando peraltro che da altre parti d’Italia analoghe esperienze possano concretizzarsi, e si possa in breve tempo anche arrivare a fare “rete”: è un impegno, questo, che sarebbe opportuno che Koiné e i suoi esponenti riuscissero a portare avanti, incentivando ed accompagnando iniziative analoghe alla loro sui territori, coinvolgendo le risorse che a mio avviso ci sono, ma che sono ancora troppo silenti. Per quanto riguarda noi, e la nostra esperienza associativa locale, è solo un piccolo sasso che possiamo provare a gettare nel nostro stagno, nella speranza che anche altri possano raccoglierne il senso: perché se l’Italia è un grande veliero che sta affrontando una tempesta dagli esiti incerti, molto incerti, non dimentichiamoci che Ferrara e il suo territorio sono, a loro volta, una scialuppa che, rispetto ad altre scialuppe vicine, ha il fondo bucato. Non ci possiamo salvare da soli, certamente, ma possiamo offrire un contribuito; impariamo da Koiné a farlo: anche qui, anche noi, e speriamo da un lato di riuscirci, ma dall’altro anche di non rimanere da soli a navigare in solitario in questa importante avventura.