Da Newton ai Big Data (passando per Adam Smith).
La lezione che il Prof. Patrizio Bianchi ha tenuto il 22 maggio scorso al Dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara, nel contesto della VII Giornata Filosofica Interateneo sul tema “Pensare l’Europa”, era focalizzata sul pensiero di Adam Smith, ma è stata l’occasione per svolgere una profonda lettura dei grandi cambiamenti del nostro tempo alla luce di eventi cruciali del passato, a partire dalla prima rivoluzione industriale che fu a sua volta l’epilogo di una serie di rivoluzioni che nella seconda metà del Seicento cambiarono la visione che l’uomo aveva di se stesso e dell’universo: dapprima la rivoluzione scientifica (Newton, 1687), poi quella politica (Glorious Revolution inglese, 1688-89) e infine quella culturale (Locke, 1690). Newton utilizzerà per primo il termine competition come parola chiave per spiegare le dinamiche celesti e distinguere la teologia naturale dalla scienza, termine che poi diventerà concorrence in economia; dalle dinamiche celesti alle dinamiche sociali, Economics come Fisics, partì l’analisi micro dei fenomeni per giungere ad una visione macro. La lezione di Bianchi ha quindi ripreso temi di suoi precedenti interventi, all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, e al 59’ annual meeting della Società Italiana degli Economisti, quest’ultimo focalizzato sulle “Radici newtoniane della Ricchezza delle Nazioni”.
Adam Smith, partendo dall’Illuminismo scozzese che era focalizzato sull’analisi dei mutamenti sociali, teorizzò nel suo libro più famoso, il cui titolo iniziava significativamente con una domanda – An Inquiry – che la ricchezza delle nazioni è il lavoro, e che il lavoro è, anzitutto, skill, dextery and judgement: la ricchezza delle nazioni, e quindi la stessa dinamica sociale, dipende cioè dalla capacità di organizzare competenze, manualità e visione critica, in un contesto interattivo. La divisione del lavoro, che caratterizzerà la seconda rivoluzione industriale, non è qualcosa di dato ma è soggetta a capacità di miglioramento, e le funzioni dello Stato per Smith in questo contesto sono molteplici: esso deve garantire anzitutto le regole, ma anche le condizioni affinché le regole si realizzino (in primis l’istruzione), e inoltre servizi e un reddito soddisfacente per le persone. Il ruolo dello Stato è necessario, per spezzare il rapporto fra paura (di chi sta sopra nella scala sociale) e rancore (di chi invece sta sotto).
Ma l’autorità degli Stati è oggi più piccola dell’estensione dei mercati, il livello Europeo è quindi necessario e forse non è neppure sufficiente, al di sotto del quale infatti non esiste una vera sovranità e tutti siamo “autorità locali”. La quarta rivoluzione industriale vede infatti operatori economici globali che solo dieci anni fa non esistevano, nessuno dei quali peraltro è europeo, che si sono sviluppati nel periodo della grande crisi finanziaria internazionale ma che ora gestiscono imponenti quantità di dati. I Big Data sono la Grande Scienza, la capacità di gestire i dati è intelligenza aumentata, da Bologna passano attualmente il 70% dei dati della ricerca italiana, e con gli investimenti nei Tecnopoli sarà possibile farne l’hub europeo.
In un’epoca di grandi cambiamenti come la nostra, ha osservato Bianchi, la strategia di un Paese non può consistere in una mera riduzione di costi, ma in investimenti in ricerca, in educazione tecnica, in istruzione, “work to be done”. I dati statistici, che ancora oggi sono rilevati per nazioni, non rappresentano il quadro reale dell’economia; inoltre, mentre l’economia classica era legata alla produzione, dall’Ottocento l’analisi economica si è concentrata invece sullo scambio, ma oggi occorre riscoprire la Storia Economica, e riscoprirla come approccio multidisciplinare: Adam Smith rappresenta proprio l’esempio di come far dialogare saperi diversi. Filosofia-Economia-Politica è un trinomio che in origine era inglese ed è poco comune nel nostro Paese, ma è un percorso necessario in questa fase di discontinuità: occorre una riflessione congiunta fra i vari Atenei italiani, e la riscoperta delle “Scienze Umane” come possibilità di mettere insieme percorsi diversi, per fare le domande giuste. Esiste infatti un legame diretto fra ricerca scientifica e impatti politici: la gestione della complessità (chi controlla i numeri) determina chi ha il potere vero.