È notizia di qualche tempo fa che le Nazioni Unite hanno accolto la denuncia degli abitanti dell’arcipelago di Vanuatu, certi che l’innalzamento del livello degli oceani avrà come risultato la scomparsa di gran parte del loro territorio già da ora vessato da cataclismi naturali di ogni sorta. Pertanto, l’ONU chiederà alla Corte Internazionale di Giustizia di esprimersi circa l’obbligo degli Stati membri di attivare azioni di contrasto al cambiamento climatico; il parere sarà poi utilizzabile in caso di contenzioso.
Lì per lì ho condiviso la soddisfazione degli abitanti di questo Stato a me sconosciuto, piantato da qualche parte agli antipodi e costituito da 83 isole, che leggendo qua e là apprendo essere strategico per gli equilibri fra Stati Uniti e Cina nell’Indo-Pacifico. Bene.
Poi, un tarlo si è fatto avanti, anche perché purtroppo è storia nota. Dal celebre e dotto: “Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata” (e siamo alle guerre puniche) al più recente ed irriverente “blablabla” di Greta Thunberg, il dubbio è che si continui a prendere/perdere tempo quando invece le decisioni dovrebbero essere repentine. Questo, in fondo, è un paradigma classico dell’agire umano: concordare delle norme per fare giustizia dei comportamenti che le trasgrediscono. E’ ancora con la legge, non di Natura, ma umana, che si pretende di ovviare al disastro che in questo ultimo battito di ciglia della lunghissima esistenza del Pianeta, da quando la nostra specie è comparsa, abbiamo creato. È cosa nota che a giudizio di tanti scienziati effettivamente ci siano le basi per affermare che i comportamenti umani hanno avviato una nuova era geologica. E giù discussioni se proprio è così, e se sì da quando datarne l’inizio, eccetera eccetera eccetera.
Ora, che la Terra sia ancora nell’Olocene o che sia già entrata nell’Antropocene, comunque una cosa chiara c’è: per la nostra sopravvivenza bisogna invertire la rotta, e velocemente.
Piove. A Ferrara c’è una bella occasione di incontro con una classe di 3° liceo che, assieme ad alcune insegnanti, presenta una ricerca condotta l’anno scorso sulla plastica e, inevitabilmente, sul “Petrolchimico” di Ferrara, vincitrice di un premio al Politecnico di Milano. I lavori degli studenti sono poi proseguiti in tema di smaltimento della plastica, ricerca, economia circolare. Al termine, oltre a complimentarsi per il lavoro svolto, è stato loro chiesto se veramente ritengono che ci sia una soluzione possibile all’abnorme accumulo di plastica, e la risposta data da una studentessa è stata che lei, come tutti, non sa se la soluzione sarà vicina o lontana, ma un lumicino c’è già, la ricerca procede, basta continuare ed arriverà.
Cosa c’entra questo con tutto il discorso precedente? Beh, mi ha rincuorato la pacatezza e la tranquillità di questi diciassettenni, che non si aspettano l’intervento di super-eroi per ovviare ad uno dei tanti disastri che stiamo producendo, ma si affidano alla ricerca ed ai comportamenti consapevoli, quelli che ognuno di noi può mettere in atto e che fanno la differenza per avanzare nella soluzione.
Piove ancora. A chi toccherà questa volta? Tempo qualche ora, e si impara che è capitata vicino, nell’argentano, nel ravennate, nel bolognese, nel cesenate, nel forlivese…Due persone morte e danni ancora da valutare, un territorio massacrato da alluvione e frane.
Faccio un po’ fatica, ma riesco a non imprecare leggendo un illuminato articolo che individua la causa del danno nelle tane degli istrici che indeboliscono gli argini; al comportamento umano, nemmeno un cenno. È un segno che sono ancora con quei ragazzi, ben assestati sulla terra ferma della conoscenza e della ricerca di un equilibrio ancora per poco possibile e lontani mille miglia dall’isola che non c’è dell’immaginario, della fantasia, dell’utopia che certamente frequentano ma non per questo aspetto della loro vita. Però, non essendo più giovane, temo di leggere altre notizie delle isole di partenza, quelle che presto potrebbero non esserci più. Sempre che, una volta tanto, non arriviamo prima noi.