La valorizzazione del patrimonio culturale: ruolo identitario, cittadinanza consapevole e governance partecipata in chiave europea
di Francesco Badia
(Docente di Progettazione e Management dei sistemi turistici e culturali, Università di Bari).
Il mio intervento raccoglie fondamentalmente cinque temi che cercherò di trattare collegandomi anche ad alcuni degli aspetti sviluppati dagli altri relatori.
Il primo tema che intendo sviluppare è un po’ il filo conduttore di tutto l’intervento ed è il concetto di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel corso dei miei studi mi sono approcciato a questo tema dalla prospettiva economico aziendale[1], utilizzata da tempo per approcciarsi anche allo studio di musei, teatri ed altri luoghi della cultura, vale dire di tutte quella realtà che si occupano di conservazione, trasmissione e promozione della cultura in generale[2].
Parlando di valorizzazione del patrimonio culturale cosa si intende? Non si intende solo la cultura materiale quella che è espressa dai monumenti, dai beni artistici e archeologici, ma anche quella immateriale, sempre più richiamata da linee guida e documenti internazionali, in particolare in ambito UNESCO[3] – la nota realtà istituzionale delle Nazioni Unite che si occupa di educazione, scienza e cultura. Nella cultura immateriale si trova il patrimonio intangibile che richiama alle tradizioni, alle pratiche di artigianato locale e a tutto ciò che esprime una cultura legata alle tradizioni e all’identità dei luoghi.
Ancora, il concetto di patrimonio culturale è sempre più legato al concetto di patrimonio naturale[4] e questo territorio delle aree interne è sicuramente una realtà che nel suo rapporto con la natura esprime la propria identità, sia per via delle sfide che ha dovuto vincere (pensiamo alle bonifiche), ma anche per alcuni degli elementi caratterizzanti dei suoi sistemi produttivi, dall’agricoltura, alla pesca. Il territorio di Comacchio, isolato per secoli e che è riuscito ad emergere e riscattarsi, grazie all’operosità e all’ingegno dell’uomo nel relazionarsi con le risorse naturali, ne è un significativo esempio.
Questi elementi di ricchezza del territorio in cui ci troviamo sono noti anche a livello internazionale, basti pensare al doppio riconoscimento UNESCO attribuito a queste zone. Da una parte, esse fanno parte del sito “Ferrara città del Rinascimento e il suo Delta del Po”, riconoscimento ottenuto dal territorio ferrarese in due momenti successivi, nel 1995 per la città di Ferrara e nel 1999, per il suo territorio. Questo riconoscimento, nel suo complesso, ha elevato Ferrara e la sua provincia, quasi nella sua globalità, come patrimonio “dell’umanità”, come si è soliti denominare, in italiano, il concetto di World Heritage[5].
Ferrara è dunque un sito UNESCO ed è importante leggere la motivazione di questo riconoscimento e quali sono i contenuti dello stesso, che comprende in primis i beni che hanno consentito di ottenere riconoscimento. Il sito di Ferrara viene iscritto per la prima volta nel 1995, come si diceva, come “mirabile esempio di città progettata nel Rinascimento, che conserva il suo centro storico intatto e che esprime canoni di pianificazione urbana che hanno avuto una profonda influenza per lo sviluppo dell’urbanistica nei secoli seguenti”; la già citata estensione dell’iscrizione, nel 1999, indica invece come motivazione: “Le residenze dei duchi d’Este nel Delta del Po illustrano in modo eccezionale l’influenza della cultura del Rinascimento sul paesaggio naturale e il Delta del Po è un eccezionale paesaggio culturale pianificato che conserva in modo notevole la sua forma originale”. L’attenzione è posta al patrimonio culturale e non naturale, quindi il Delta del Po è inserito non nella sua espressione naturalistica, ma attraverso la definizione di “paesaggio culturale”, che rende il sito di Ferrara un caso quasi unico al mondo, combinando l’aspetto artistico e urbanistico della città con quello di paesaggio culturale, appunto, del territorio.
Le residenze dei duchi d’Este di cui parla il riconoscimento sono quelle che vengono comunemente denominate “Delizie Estensi”[6]. Alcune di queste sono nel territorio coinvolto nel progetto “Fare Ponti”, in particolare Villa della Mensa e le Delizie di Zenzalino e Copparo nel Comune di Copparo, il Castello di Mesola, Palazzo Pio a Tresigallo e, se vogliamo, anche le inagibili Casa Vandini a Sabbioncello San Pietro, sempre nel Comune di Copparo, e La Tagliata a Marozzo di Codigoro.
L’idea di valorizzare, a fini culturali e turistici, il sistema di queste dimore, non è nuova per il nostro territorio e, in particolare, la Provincia di Ferrara, circa 15 anni fa ha promosso un progetto volto a questa finalità. Assieme al Professor Fabio Donato ho partecipato a questo progetto in quegli anni, ma purtroppo esso non ha dato i risultati sperati, principalmente per la difficoltà operativa di far convergere in un’unica direzione gli interessi di tutti gli interlocutori coinvolti.
Ciò non è così sorprendente, perché una delle motivazioni che è tra le più frequenti quando si hanno delle difficoltà nel portare avanti le politiche come quelle di cui stiamo parlando, è proprio la mancanza di collaborazione fra pubblico e privato, così come quella fra differenti attori pubblici[7].
Tornando al caso in esame, è avvenuto proprio questo, sia perché alcune delle Delizie sono di proprietà privata, sia perché, nonostante il colore politico di tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte (Provincia di Ferrara, Comune di Ferrara ed alcuni Comuni della provincia) 10 anni fa fosse lo stesso (oggi come sappiamo non è più così), si faceva fatica a sviluppare un progetto che mettesse tutto in comune, perché ciascuno voleva portare avanti il proprio pezzo.
Nel progetto “Fare Ponti” per il quale siamo qui, si intravede invece una positiva strategia di collaborazione nel piccolo, così come non si può valutare positivamente anche la realizzazione di alcune fusioni di Comuni avvenute in questo territorio, che è certo indipendente dal progetto, ma ne è al tempo stesso una delle componenti anche nella sua ideazione e sembrerebbe, anche dalle prime cose che abbiamo discusso oggi in questa tavola rotonda, andare invece una direzione diversa.
Tornando alla valorizzazione del patrimonio culturale ferrarese, prima si diceva che l’iscrizione nella World Heritage List non è un riconoscimento di patrimonio naturale, ma culturale, perché il sito di Ferrara è uno dei rari, pochi casi di elezione a patrimonio culturale di un paesaggio culturale; l’unicità del territorio ferrarese, anche del basso ferrarese, è quella della commistione uomo-natura, o, ancora meglio, del rapporto sempre esistito dell’uomo con la terra e con l’acqua, elementi che rendono questi territori e la loro storia speciali, se non unici. Un riconoscimento per il patrimonio naturale, che non rientra nella prima iscrizione, è avvenuto nel 2015 con l’iscrizione del Delta del Po come riserva della biosfera MAB[8], che è un altro importante riconoscimento dell’unicità del Delta del Po anche nel suo aspetto naturalistico, della sua importanza e della necessità di conservarlo. Il territorio coinvolto da questo riconoscimento è pienamente compreso anche nel progetto Fare Ponti.
Di fronte a tutto ciò, bisogna essere consapevoli di questi punti di ricchezza. Io ho la percezione che ci sia un po’ di ignoranza inconsapevole sulla ricchezza, che da altre parti viene riconosciuta, anche da certificazioni esterne di rilievo internazionale. Ma in concreto, come dovrebbe essere tradotta la valorizzazione di questo patrimonio culturale? Quando si parla di valorizzazione la prima cosa a cui si pensa è il turismo, ma se parliamo di turismo occorre tenere conto anche delle criticità del territorio: l’incompletezza delle infrastrutture e la lontananza dei collegamenti, perché comunque per un turista che viene a Ferrara non è così agevole andare a Comacchio o andare all’Abbazia di Pomposa. In questo senso, non siamo ancora organizzati perché storicamente Ferrara e il suo territorio, in passato non si sono parlate molto, anche se forse un po’ le cose stanno migliorando in questi ultimi anni, grazie anche alla crescita di consapevolezza sull’importanza di questi elementi, sia da parte dei soggetti pubblici, sia di quelli privati (penso ad esempio al ruolo esercitato dal consorzio Visit Ferrara). Dobbiamo quindi puntare sul turismo consapevoli dei punti di debolezza, provando a far leva sui punti di forza e considerando le opportunità che offre il territorio, magari sviluppando segmenti di nicchia che hanno forti margini di crescita.
Fra questi mi viene in mente in primo luogo il turismo naturalistico, che si deve qualificare per la sua stessa essenza come una forma di turismo sostenibile, legato cioè a comportamenti sostenibili del turista, che deve lasciare il territorio come lo trova, ponendo attenzione al legame fra l’uomo e la natura. Una seconda opportunità è il turismo enogastronomico che è una caratterizzazione importante dell’Italia e probabilmente rispetto ad altri territori il territorio ferrarese potrebbe fare ancora di più per valorizzare alcune delle sue eccellenze enogastronomiche. Un terzo tema è lo sviluppo del cicloturismo. Sul perché Ferrara e il suo territorio non siano ancora riusciti a valorizzare questa forma di turismo non riesco a fornire e fornirmi una risposta convincente. Ferrara, come noto, è una delle capitali europee per numero di biciclette quindi, forte di questo “titolo”, potrebbe essere il punto di partenza per percorsi cicloturistici nella provincia, che tra l’altro consentirebbero di far godere il patrimonio culturale e naturale nelle loro espressioni richiamate dai riconoscimento UNESCO citati. Tanti territori, forse anche meno dotati e con minori potenzialità delle nostre, hanno investito in questo. Ferrara fa un po’ fatica a investire sul cicloturismo come turismo esperienziale per il territorio. Infine, una quarta e ultima possibilità da sfruttare potrebbe essere il turismo fluviale legato al fiume Po, che per certi versi e aspetti differenti si potrebbe sovrapporre alle tre forme di turismo già citate.
La valorizzazione del patrimonio culturale non è però solo turismo: gli studiosi che si occupano di valorizzazione[9] individuano in essa anche la capacità di creare, attorno al patrimonio, iniziative imprenditoriali (non solo turistiche) che consentano l’attivazione di flussi economici e la creazione di ricchezza diffusa, per il miglioramento della qualità della vita della comunità tutta.
A questo proposito, forse una riflessione si potrebbe fare sul fatto che questo territorio, alla luce di alcune previsioni degli effetti del cambiamento climatico potrebbe, nel giro di qualche decennio, essere fortemente danneggiata dagli eventi atmosferici o, secondo le stime più negative, addirittura non esistere più. Questo è un punto davvero sfidante, perché vi è il rischio che i ragionamenti che stiamo facendo possano divenire inconsistenti se tali previsioni saranno confermate. In questo senso, è opportuno pensare anche al futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti e probabilmente siamo ancora in tempo oggi per cercare di investire su tecnologie in grado di evitare il peggio. Davanti agli occhi abbiamo l’esperienza negativa del Mose di Venezia, che ci mette in guardia sui rischi di investire male.
Lo sviluppo di iniziative imprenditoriali legate al patrimonio culturale materiale e immateriale e la necessità di salvare il territorio possono però convergere nella stessa direzione. Si può immaginare un futuro in cui questo territorio, anche alla luce dell’esigenza espressa, sia in grado di attirare investimenti, persone e anche poli di ricerca e di studio, con competenze tecnico-ingegneristiche di alto profilo, peraltro in parte già presente presso l’Università di Ferrara. Questa potrebbe essere una strategia per lo sviluppo futuro di queste zone, che porterebbe anche lavoro, lavoro di qualità o ad alta intensità di capitale umano, che è quello che serve per quei tanti giovani qualificati che invece scelgono di andare via perché questo territorio ha poco da offrire loro.
Il concetto di valorizzazione del patrimonio culturale può essere declinato anche come sviluppo della conoscenza, cioè nel senso in cui può essere intesa per migliorare e rafforzare il valore identitario del patrimonio per la comunità locale. Non dobbiamo pensare alla valorizzazione solo come a un portare delle risorse economiche perché arrivano i turisti. Ciò è limitativo e fuorviante. Si valorizza un territorio anche con lo sviluppo e la creazione di conoscenze legate alla sua storia e alla sua cultura, in altre parole alla sua identità. Questo è un tema, tra l’altro, molto vicino a quanto detto nei precedenti interventi dal dottor Lolli e dal professor Bruzzo.
Rimanendo su questo filone di pensiero, il secondo tema che volevo proporre richiama proprio il concetto di identità. In un convegno ad Argenta a cui ho partecipato alcuni anni fa[10] è emerso come sia importante la riscoperta di quella che è la storia, la tradizione, l’origine dei luoghi e la cultura del territorio, così come la necessità di condividerla e tramandarla. A questo proposito, una comunità può crescere nella sua valorizzazione identitaria, quando le persone più anziane, custodi dei mestieri e dei saperi, compiono uno sforzo per tramandarli alle generazioni più giovani. In quel convegno ad Argenta sono stati portati i risultati di un lavoro di questo tipo portato avanti nel territorio.
Esperienze di creazione di spirito di comunità come quelle descritte possono essere inoltre un fattore che consente ad alcune persone, che a volte sono lasciate un po’ ai margini, di essere integrate facendole sentire importanti, mettendo al centro le loro esperienze e le loro competenze, facendo parlare tra loro le generazioni e sviluppare ciò che sembra poco rilevante ma che porta a riscoprire l’identità dei luoghi.
Fra l’altro, volendo riaprire una piccola parentesi sul turismo, queste cose sono fattori di arricchimento dell’offerta turistica di un luogo e possono essere sviluppate in quest’ottica: si tenga conto, infatti, che il turismo è sempre più esperienziale[11], nel senso che oggi i turisti, in particolare quelli stranieri, sono spesso alla ricerca di esperienze uniche che possano vivere solo in un determinato luogo e che ne rappresentino elementi di tipicità e di irripetibilità.
Viviamo un periodo storico in cui il tema dell’identità è frequentemente richiamato, in senso nazionale o forse dovremmo dire nazionalistico, in un contesto di “prima noi degli altri”, secondo una tendenza diffusa non solo nel nostro paese, ma a livello internazionale. Questa sorta di riscoperta dell’identità sembra andare però nel senso opposto a quanto qui auspicato, perché nel nazionalismo l’identità tende a diventare un fattore di divisione, quando invece nella prospettiva di valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, nonché della trasmissione inter-generazionale e inter-comunitaria della cultura e delle tradizioni, deve diventare un valore di con-divisione. In questo modo, iniziative “identitarie”, che significa di trasmissione dell’identità, come quella di Argenta, possono diventare scuole di integrazione, aperte anche a persone provenienti da altri mondi ed altre culture, ma interessate a divenire parte attiva della nostra società.
Il terzo tema che intendo sviluppare è quello della cittadinanza consapevole. Questa iniziativa di “Fare Ponti” può essere una ottima occasione per arrivare a una cittadinanza consapevole. Forse nemmeno le persone che abitano questo territorio sono a conoscenza del progetto: questo è un limite che spesso abbiamo nelle nostre iniziative: è un problema che riguarda anche l’università, oltre che la politica e le istituzioni. Spesso a fronte di buone idee manca la capacità di trasmetterle e comunicarle efficacemente. Alla luce di questo, c’è un obbligo morale nostro, di chi ha ruoli istituzionali, o formativi, di creare consapevolezza non solo fra gli studenti, ma anche fra le loro famiglie e i cittadini in generale per promuovere certi valori. Iniziative come questa dunque devono avere lo scopo di formare e informare.
Legato al tema della cittadinanza consapevole vi è anche il quarto tema del mio intervento, quello della governance partecipata[12]. Anche su questo, credo, le istituzioni pubbliche devono fare un po’ di mea culpa. Per governance partecipata si intende il tentativo di promuovere delle forme di governo e di presa delle decisioni in campo pubblico, con il diretto coinvolgimento della cittadinanza. Questa cosa è stata uno slogan di alcuni movimenti e partiti politici che si sono affermati recentemente, che hanno recepito le istanze che c’erano, in alcune fasce della popolazione, di un maggiore coinvolgimento, poiché vedevano la politica come un po’ lontana, che diceva le cose nei palazzi e non coinvolgeva nelle decisioni. E c’è del vero in questo.
In realtà, la stessa UNESCO, nei suoi documenti ufficiali[13], a proposito ad esempio della gestione dei siti dichiarati patrimonio mondiale, richiama la necessità di promuovere metodi partecipativi, che prevedono quindi il coinvolgimento diretto delle persone.
Da un punto di vista operativo, la governance partecipata si attua con la convocazione di un’assemblea, che può essere un momento come questo incontro, nella quale si chiede a ciascuno cos’ha da dire su quello che è in discussione, sulle scelte e le proposte. In realtà, in un sistema democratico come il nostro non abbiamo utilizzato tanto questo sistema, soprattutto quando si parla di beni collettivi, di identità delle persone e di patrimonio culturale, elementi su cui una governance partecipata sembrerebbe indispensabile. Gli strumenti partecipativi consentono di avvicinare la popolazione[14]; si può fare qualcosa anche solo con delle assemblee pubbliche, o dei forum, o con strumenti più puntuali quali il bilancio partecipativo[15], che però richiede un po’ di lavoro. Con il bilancio partecipativo, si decide che una quota del bilancio viene destinata a progetti proposti e votati direttamente dai cittadini. Per far ciò si possono utilizzare varie metodologie, con alternative fra progetti proposti dall’amministrazione, oppure progetti proposti direttamente dagli stessi cittadini.
In sincerità, devo dire che non capisco perché si faccia così fatica, anche in realtà che dicono di essere molto vicine ai cittadini, a portare avanti esperienze simili, con continuità. Si sono verificati anche alcuni casi negativi, ma ciò di solito avviene quando un politico trasforma il bilancio partecipativo in uno strumento auto-promozionale e tale strumento viene così indissolubilmente legato alla figura di quel politico, nel bene e nel male.
Chiudo con il quinto tema di questo intervento che è la lettura di quanto detto in chiave europea. Ho inserito questo elemento anche alla luce del fatto che intervengo in questa tavola rotonda anche in rappresentanza del MFE (Movimento Federalista Europeo), sezione di Ferrara, che è partner nell’organizzazione di questo ciclo di incontri.
Spesso quando parliamo dell’Europa, sembra che la consideriamo come un’avversaria dell’Italia, un’entità che vuole mettere a repentaglio la nostra identità. In realtà, su questo tema, a livello internazionale, si discuta se si possa parlare o meno di una identità culturale europea.
Senza dubbio possiamo dire che c’è un’identità culturale del territorio ferrarese, probabilmente anche un’identità culturale italiana (seppure con molte differenze e difficoltà, derivanti dallo storico squilibrio fra nord e sud). Possiamo dire anche che esista un’identità culturale europea?
Non ho la risposta. Però, se ci poniamo in uno scenario mondiale, elementi come lo sviluppo della democrazia o lo sviluppo del welfare state, cioè alcuni dei principi che sono alla base della nostra cultura civile, sono tipici del nostro continente. Non so dire se questo significa identità culturale, perché se andiamo a vedere le espressioni della cultura italiana, esse sono certamente molto diverse da quelle di altri paesi europei, soprattutto del nord Europa. Quindi non so se ci sia un’identità culturale europea, però credo che i discorsi che abbiamo fatto, cioè la valorizzazione del patrimonio culturale, il ruolo identitario di quello che noi siamo, la cittadinanza consapevole e la promozione di strumenti di governance partecipata, siano argomenti che possono essere affrontati in chiave europea.
Sarebbe bello che dai territori partisse una spinta verso le istituzioni europee, spesso percepite come lontane – a questo proposito sottolineo come l’MFE sostenga un progetto di Federazione Europea e sia anch’esso piuttosto critico sul funzionamento attuale dell’UE – e che progetti come “Fare Ponti” potessero servire anche a creare percorsi di identità locale, cittadinanza consapevole e governance partecipata come nuovi elementi della cittadinanza europea del futuro.
Guarda il VIDEO dell’intervento di Francesco Badia al convegno “Fare Ponti. L’Area Interna del Basso Ferrarese”.
Bibliografia
F. Badia, Contents and Aims of Management Plans for World Heritage Sites: Managerial Analysis with a Special Focus on the Italian Scenario, in Encatc Journal of Cultural Management and policy, n. 1, 1, 2011, pp. 40–49
F. Badia, F. Donato, Governo partecipato e controllo relazionale in un management pubblico in transizione, in L. Anselmi, F. Donato, L. Marinò, A. Pavan, M. Zuccardi Merli (a cura di), Il declino del sistema dei controlli manageriali nelle pubbliche amministrazioni. Dal federalismo ai costi standard, FrancoAngeli, Milano 2013, pp. 119–167
F. Ceccarelli, M. Folin (a cura di), Delizie estensi: architetture di villa nel Rinascimento italiano ed europeo, Leo S. Olschki, Firenze 2009
F. Donato, F. Badia, La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio: una prospettiva economico aziendale, Leo S. Olschki, Firenze 2008
J. R. Grote, B. Gbikpi (a cura di), Participatory Governance. Political and Societal Implications, Leske & Budrich, Opladen 2002
J. Jokilehto, What is OUV? Defining the Outstanding Universal Value of Cultural World Heritage Properties, ICOMOS, Berlin 2008
D. Lowenthal, Natural and cultural heritage, in International Journal of Heritage Studies, n. 11, 1, 2005, pp. 81–92
M. Montella, Valore e valorizzazione del patrimonio culturale storico, Mondadori Electa, Milano 2009
A. Shah (a cura di), Participatory Budgeting, vol. XXVI, The World Bank, Washington D.C. 2007
B. Sibilio, F. Donato (a cura di), Governare e gestire le aziende culturali, FrancoAngeli, Milano 2015
W. L. Smith, Experiential tourism around the world and at home: Definitions and standards, in International Journal of Services and Standards, n. 2, 1, 2006, pp. 1–14
UNESCO, Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, UNESCO, Paris 2003
UNESCO, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, UNESCO World Heritage Centre, Paris 2016
Note:
[1] F. Donato, F. Badia, La valorizzazione dei siti culturali e del paesaggio: una prospettiva economico aziendale, Leo S. Olschki, Firenze 2008.
[2] B. Sibilio, F. Donato (a cura di), Governare e gestire le aziende culturali, FrancoAngeli, Milano 2015.
[3] UNESCO, Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, UNESCO, Paris 2003.
[4] D. Lowenthal, Natural and cultural heritage, in International Journal of Heritage Studies, n. 11, 1, 2005, pp. 81–92.
[5] J. Jokilehto, What is OUV? Defining the Outstanding Universal Value of Cultural World Heritage Properties, ICOMOS, Berlin 2008.
[6] F. Ceccarelli, M. Folin (a cura di), Delizie estensi: architetture di villa nel Rinascimento italiano ed europeo, Leo S. Olschki, Firenze 2009.
[7] F. Badia, Contents and Aims of Management Plans for World Heritage Sites: Managerial Analysis with a Special Focus on the Italian Scenario, in Encatc Journal of Cultural Management and policy, n. 1, 1, 2011, pp. 40–49.
[8] Per approfondimenti, si rimanda a: http://www.biosferadeltapo.org/.
[9] M. Montella, Valore e valorizzazione del patrimonio culturale storico, Mondadori Electa, Milano 2009.
[10] “La comunità racconta. Saperi e mestieri”, Argenta (FE), 28 marzo 2015, evento promosso e organizzato da Comune di Argenta, CAFCA – Centro Argentano formazione culturale adulti ed Ecomuseo di Argenta.
[11] W. L. Smith, Experiential tourism around the world and at home: Definitions and standards, in International Journal of Services and Standards, n. 2, 1, 2006, pp. 1–14.
[12] F. Badia, F. Donato, Governo partecipato e controllo relazionale in un management pubblico in transizione, in L. Anselmi et al. (a cura di), Il declino del sistema dei controlli manageriali nelle pubbliche amministrazioni. Dal federalismo ai costi standard, FrancoAngeli, Milano 2013, pp. 119–167.
[13] UNESCO, Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, UNESCO World Heritage Centre, Paris 2016.
[14] J. R. Grote, B. Gbikpi (a cura di), Participatory Governance. Political and Societal Implications, Leske & Budrich, Opladen 2002.
[15] A. Shah (a cura di), Participatory Budgeting, vol. XXVI, The World Bank, Washington D.C. 2007.