La fragilità del mondo nel quale viviamo era già, ed ora lo è più che mai, un’ acquisita consapevolezza di tutti e dunque, in modo del tutto trasversale, riguarda ognuno di noi: dallo scrittore allo scienziato così come dal produttore al consumatore, dal dirigente all’ operaio, dal decisore politico al cittadino. Dalle giovani alle più vecchie generazioni. Riguarda qualunque terrestre.
E proprio per questo, prima di introdurci nella proposta di Economia Circolare sulle mascherine chirurgiche, vorremmo segnalare un recentissimo articolo apparso sul Sole 24 Ore e che ci ha trovati attenti e interessati per via del ruolo di raccordo, informazione e formazione che il CDS (https://www.cdscultura.com/it) , per propria natura statutaria, si prefigge di perseguire.
L’articolo di ha per titolo Investire in formazione aumenta la produttività (C. Tucci, Sole 24 del 25/09/2020) e sebbene parli, esclusivamente, della formazione dei manager, può essere benissimo esteso alla formazione di tutti i soggetti coinvolti a fronteggiare le nuove sfide economiche, sociali ed ambientali che ci aspettano. Una formazione dunque sostenibile, circolare e, aggiungiamo, continua. Questo significa che a fianco di una presa di coscienza sempre più netta e diffusa sui mali e guasti ambientali prodotti (anche) da una vecchia concezione lineare della produzione, sarà sempre più necessario un lavoro di squadra che coinvolga, tanto amministratori pubblici che privati, quanto dirigenze aziendali e lavoratori: un lavoro circolare per circolare meglio il lavoro.
Detto questo, stabilito cioè la priorità della formazione e informazione del “capitale e capitalista umano”, passiamo ora al tema di interesse: L’economia circolare per una “città” sostenibile”. Casi e proposte e partiamo proprio da alcuni riferimenti insospettabili.
Sylvain Tesson è un autore e naturalista francese che nel 2019 con il suo reportage La pantera delle nevi (Sellerio, 2020) ha vinto il Prix Renandot. In uno dei passaggi chiave del suo libro lo scrittore dice:
“…è più difficile apprezzare quello di cui già si dispone che sognare novità mirabolanti… Le tre proposte – fede rivoluzionaria, speranza messianica, ricerca tecnologica – nascondono dietro il tema della salvezza una profonda indifferenza nei confronti del presente e, quel che è peggio, ci esonerano dall’obbligo di comportarci degnamente qui e ora e ci risparmiano il disturbo di preservare ciò che ancora resta in piedi. E intanto i ghiacciai si sciolgono, la plastica si accumula, gli animali muoiono…”, aggiungerei, i virus dilagano.
Forse questo paragrafo è il miglior svolgimento del nostro tema: SOSTENIBILITÀ. È ORA DI AGIRE. Soprattutto se, come è capitato all’autore, ci si imbatte nella plastica anche sul tetto del mondo, il Tibet, lì dove è ambientato il reportage di Tesson.
Eppure, secondo quanto ci ricorda l’autore, noi già disponiamo delle conoscenze e dei mezzi per agire e se pur questi mancassero, dovremmo tenacemente perseguire la volontà di perfezionarli perché come giustamente ci ricorda Einstein : il problema dell’umanità non è l’imperfezione dei mezzi ma l’ambiguità dei fini.
Ecco, il paragrafo di Tesson e l’aforisma di Einstein sollecitano un compito e un atteggiamento: perfezionare i mezzi per manutenere il mondo mettendo da parte ogni ambiguità. Ora e qui.
Perché proponiamo un progetto sul recupero e il riciclo (meccanico ma in un prossimo futuro anche chimico) di mascherine in Polipropilene?
Perché come ci ricorda l’antropologo britannico Tim Ingold “…noi dipendiamo dalle cose che dipendono da noi…” e la plastica è un esempio paradigmatico di questa interconnessione nella quale non possiamo fare a meno di ciò che abbiamo “creato” e, contemporaneamente, dell’ecosistema che ci tiene in vita.
Paradossalmente la plastica è quanto di più incorruttibile esista oggi nel mondo: così ebbe a dire anche Primo Levi in una lettera destinata a Italo Calvino che poco prima della sua morte si stava cimentando con le Lezioni Americane e con la traduzione del Canto del polistirene di Raymond Quineau. Probabilmente fu proprio la plastica ad ispirare i titoli delle sue lezioni.
Sono proprio queste le caratteristiche che nella cosiddetta Era dell’ Antropocene hanno decretato il successo della plastica quale materiale per i più svariati usi.
E l’incorruttibilità? Che dire della incorruttibilità? Caratteristica che per alcuni ambiti è sinonimo di correttezza, onestà…mancanza di ambiguità.
Sì, la plastica è incorruttibile. Davvero. È così tanto… trasparentemente incorruttibile che sappiamo dove è, dove si accumula, dove può essere raccolta, recuperata.
Sembrerà un paradosso ma sostituendo la parola “isola” con “giacimento”, le minacciose e temute discariche di plastica galleggianti nei nostri mari ed oceani potrebbero magicamente trasformarsi nelle future risorse energetiche per produrre carbone fossile, oli combustibili , monomeri, idrogeno in un’ottica di produzione davvero circolare e sostenibile.
Il successo del PP
Qui di seguito sono riportate alcune informazioni auto esplicative sul successo di uno tra i materiali plastici oggi più diffusi al mondo e sul perché di tale successo.
La demonizzazione della plastica
Raccogliere=estrarre la plastica dal mare. Ripulire=riutilizzare le discariche terrestri.
L’uguaglianza posta tra i verbi serve a predisporci a un modo di pensare diverso che nel tempo diventerà sempre più “naturale” perché maturato culturalmente.
Per quanto è stato detto precedentemente l’incorruttibilità delle materiale plastiche ne garantisce la loro visibilità per molto tempo. Lo sappiamo.
Ma sapere che la plastica altro non è che del gas solidificato aiuterebbe a indirizzare meglio il nostro modo di ragionare e di agire: se voglio eliminare le isole di plastica e svuotare le discariche (senza alcuna ambiguità sulla volontà di farlo) non ho che da perfezionare mezzi di raccolta e riciclo.
Questi veri e propri giacimenti a cielo aperto sono considerati, dalla vecchia mentalità estrai/produci/usa e getta, degli scarti. Ma nella nuova ottica di una economia circolare potrebbero essere quello che in realtà sono: materie prime di un nuovo ciclo.
Il futuro della plastica (o, se preferite, la plastica del futuro) è la plastica del passato.
La rivalutazione al tempo del Covid
Con l’arrivo della pandemia abbiamo scoperto che la plastica non “serve” solo a …”inquinare”.
Evidentemente il problema del fine vita dei prodotti, tipico di una produzione lineare, ha penalizzato moltissimo un materiale come la plastica che per sua natura è connaturato ad una economia di tipo circolare.
La ricerca di mascherine per proteggersi dalla diffusione del virus e le drammatiche immagini provenienti dai nostri ospedali ci hanno mostrato che la plastica è ampiamente utilizzata per altri settori come quello biomedicale: molte delle attrezzature e dei dispositivi di protezione, conservazione e trasferimento di medicinali liquidi e gassosi, sono fatti di materiali plastici come le poliolefine.
In particolare siamo stati costretti quasi tutti, chi più o chi meno, a studiare e comprendere quali fossero le migliori mascherine per proteggere noi stessi e gli altri dal rischio di infezione da Covid- 19.
Qui di seguito è riportato il vasto campionario di mascherine attualmente disponibili sul mercato.
Differenti tipi di mascherine: 1. Mascherina chirurgica in polipropilene triplo strato; 2. N95 maschera con valvola di espirazione; 3. Maschera in tessuto; 4. Maschera in polipropilene a due strati; 5. Maschera in cotone-polipropilene-cotone; 6. Maschera singolo strato Maxima AT; 7. Maschera in cotone a due strati pieghettata; 8. Maschera in cotone a due strati stile Olson; 9. Maschera a cotone due strati; 10. Maschera a singolo strato di cotone pieghettata; 11. Maschera tipo pile; 12. Bandana doppio strato; 13. Maschera doppio strato in cotone pieghettata; 14. N95 maschera senza valvola di espirazione.
Uno studio recente (Fischer et al., Sci. Adv.10.1126/sciadv.abd3083, 2020) svolto su tutte queste mascherine ha mostrato la grande efficienza di protezione e l’affidabilità di mascherine chirurgiche fatte di polipropilene secondo una tecnologia di trasformazione in grado di produrre un tessuto non tessuto e un confezionamento di un manufatto finale a triplo strato capace di garantire la permeabilità all’ossigeno ma l’impermeabilità alle piccole gocce di saliva che sono i veri e propri vettori del virus.
In questo studio si dimostra che le goccioline che attraversano le mascherine sono meno dello 0,1% utilizzando una maschera N95 mentre sono di gran numero maggiore quando si utilizza una maschera in pile. La maschera N95 con la valvola di espirazione risulta essere la più efficiente per l’arresto delle goccioline, le successive maschere migliori sono le tipiche maschere chirurgiche costituita da strutture di tessuto-non tessuto a tre strati contenenti polipropilene: tutte queste mascherine registrano una velocità di rilascio delle goccioline poco superiore allo 0,1%.
La raccolta differenziata e il riciclo meccanico
L’importanza della Economia Circolare per una “città” sostenibile