Diventare madri in Italia è una grande sfida. La crisi economica e la mancanza di politiche a sostegno della maternità hanno portato ad un forte calo delle nascite. Secondo l’Istat la natalità in Italia è al minimo storico, nel 2022 ci sono stati meno di 7 neonati e più di 12 decessi ogni 1.000 abitanti. Secondo i dati dell’Eurostat, l’ufficio Statistico dell’Unione Europea, Il tasso di nascite medie si è attestato a 1,24 per ogni donna italiana, a fronte di un tasso medio Ue pari a 1,5. Siamo terzultimi in Europa per tasso di fertilità, dopo di noi, con un tasso più basso, solo Malta e Spagna.
Oggi l’età media delle donne che decidono di diventare madri è aumentata, del resto i percorsi di studi sono sempre più lunghi così come i tempi per trovare un lavoro che consenta di abbandonare la casa natale e un’abitazione in cui costruire una nuova famiglia. Molto spesso si fa pesare il fatto che in Italia le donne decidano di avere figli in età avanzata, ma se non ci sono le condizioni per diventare madri prima, trovo che sia davvero insensibile fare leva sull’orologio biologico.
Le donne risultano penalizzate sul mercato del lavoro dopo la maternità. Dal rapporto annuale del 2017 dell’Inps, emerge che ventiquattro mesi dopo l’inizio del congedo di maternità, la donna guadagna tra il 10 e il 35% in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto il figlio. Le lavoratrici madri sono costantemente in cerca di equilibrio per conciliare la vita professionale e le esigenze di cura dei figli. La vita di una madre che vive in Italia è un salto a ostacoli: difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro, una volta dentro, poi, ci sono le differenze retributive e un elevato divario tra uomini e donne in relazione ai carichi del lavoro e la cura della famiglia. Un’idea potrebbe essere quella di ampliare il congedo di paternità in modo che la cura del neonato sia condivisa. Per la cronaca: oggi in Italia è di 10 giorni, in Spagna fino a 112 giorni per entrambi, in Svezia 480 giorni da dividere tra i due genitori e in Germania fino a 1.095 giorni per tutti e due. Il congedo di paternità consente alle madri di tornare al lavoro prima, di sentirsi meno sole e ad eliminare il divario culturale rispetto all’idea che a occuparsi dei bambini e della casa è solo la donna, contribuendo alla costruzione di una società più equa.
Paura, incertezza e disagio socio-economico, oltre a costo dei figli, difficoltà nel conciliare maternità e lavoro, carenza di supporti per la cura, sono gli elementi che frenano le scelte genitoriali degli italiani. È necessario un dialogo costruttivo e di collaborazione tra Governo, famiglie e aziende private al fine di consentire una maggiore flessibilità per le madri lavoratrici, assicurando congedi e aspettative più lunghi, unitamente al potenziamento del sistema degli asili nido. Sono ancora pochi, infatti, i posti all’asilo nido, la copertura è inferiore al 33%, e la mancanza di un sistema fiscale che premi le famiglie con più figli riducendo la tassazione, fanno sì che ogni anno più di 2000 donne si dimettano dal lavoro (fonte Ispettorato Nazionale del Lavoro) per l’impossibilità di gestire una famiglia e al tempo stesso crescere professionalmente.
I Paesi Europei che hanno investito sulla famiglia hanno visto i tassi di fecondità risollevarsi. In Germania il punto forte, da anni, è il Kindergeld, l’assegno familiare: ammonta a 220 euro al mese per il primo figlio, senza distinzioni di reddito, 225 per il secondo, 250 per i successivi (e circa 160 euro in più per le famiglie povere). È inoltre possibile detrarre le spese per l’assistenza dei figli fino a 4.000 euro. Negli ultimi anni si è assistito ad un forte potenziamento dei servizi per l’infanzia e delle misure per la conciliazione vita-lavoro: l’accesso a nidi e materne è un diritto, l’assegno parentale consente 14 mesi a casa al 65-100% dello stipendio (il limite di reddito c’è ma oltre i 500.000 euro). Berlino spende per famiglia e figli, il 3,3% del Pil, circa 100 miliardi l’anno. In Germania gli aiuti spettano a tutti i cittadini, anche agli stranieri residenti. La Polonia ha introdotto dal 2016 un assegno universale per i figli, senza limiti di reddito, pari a circa 100 euro a figlio, in un Paese in cui lo stipendio medio è di 600 euro. Erogazioni aggiuntive sono previste per gli studenti che iniziano l’anno scolastico, per i nuovi nati, per pagare l’asilo nido o per le famiglie in difficoltà economica. La “Big Family Card” è invece un sistema di sconti e indennità aggiuntive per i nuclei con più di tre figli. La Polonia ha portato la spesa per famiglia e figli al 4% del Pil. Le misure ungheresi sono vincolate alla nazionalità oltre che ai matrimoni. Ogni coppia di sposi può beneficiare di un prestito di 30.000 euro, la cui restituzione si riduce fino ad azzerarsi alla nascita del terzo figlio, le coppie che hanno un quarto figlio non pagano più tasse per il resto della vita, chi compra la prima casa ottiene mutui scontatissimi con rate sospese alla nascita dei figli, ogni bambino ha diritto al posto all’asilo nido, i congedi parentali sono stati ampliati ed estesi anche ai nonni. La spesa per la famiglia in Ungheria è salita al 4,8% del Pil. Il calo demografico è la risposta delle donne italiane ad un problema che i governi dell’ultimo ventennio hanno ignorato non rendendosi conto che l’aumento delle natalità è strategico per la crescita sociale ed economica. Nel nostro Paese servono misure a sostegno della maternità, che non va solo tutelata, ma anche valorizzata.