Sebbene la Cina della metà degli anni 60 viva un momento di ripresa economica, culturale ed ideologica, non bisogna dimenticarsi come il “Movimento per l’educazione socialista” mirasse a sostenere l’importanza del lavoro manuale nell’educazione. L’ideologia fondante del movimento si basa sugli scritti di Mao Zedong che hanno l’intento di diffondere la cultura proletaria all’interno del partito. Ed è proprio in questo periodo che la quarta moglie di Mao, Jiang Qing (poi parte della Banda dei Quattro) comincia ad avere un ruolo sempre più importante all’interno del PCC. Jiang Qing, affiancata dal suo collaboratore Kang Sheng, decide di trasformare ogni forma d’arte in uno strumento propagandistico del partito. A partire dal 1964 l’Opera cinese, fino a quel momento libera da ogni tipo di censura, viene riformata completamente e attaccata pubblicamente per i temi trattati : il ruolo di protagonisti non è più riservato ad imperatori e concubine, ma soltanto a contadini e membri dell’esercito di Liberazione (Theobald, 2017). Le riforme non si fermano solo al teatro, letterati, filosofi e artisti che non si sono occupati di temi rivoluzionari vengono allontanati dalla scena culturale e artistica cinese. Il marxismo e il leninismo diventano la fonte di ispirazione di qualsiasi forma d’arte e il materialismo storico è adottato come dottrina principale del movimento filosofico di metà anni ‘60.
E’ proprio in questo clima che nel 1966 inizia la Rivoluzione Culturale Cinese. L’origine del movimento è stata spesso attribuita alla “Circolare del 16 Maggio 1966”, riguardante l’infiltrazione all’interno del PCC di membri revisionisti e controrivoluzionari, spinti dall’obiettivo di fondare una dittatura borghese negli anni a venire (Phillips, 2016). La data dell’ 1 Giugno 1966 segna un punto di svolta: il Partito si rivolge direttamente alle masse per eliminare completamente i “quattro vecchiumi”, un termine che vuole indicare l’insieme delle vecchie idee, della vecchia cultura, delle vecchie abitudini e dei vecchi comportamenti (Balzarotti e Miccoluti, 2016). Mao comprende l’importanza delle masse e del movimento studentesco per la realizzazione della Rivoluzione Culturale, il cui obiettivo non è soltanto quello di trasformare la struttura sociale cinese, ma anche quello di perseguitare i nemici politici dello stato, attraverso il sostegno del Movimento delle Guardie Rosse (Bramall, 2009). Il Movimento studentesco fondato nel 1966 presso le scuole medie e le Università pechinesi si espande velocemente in tutta la Cina, portando ad una chiusura totale delle Università nel 1966 (Heaslet,1972). I primi interventi delle Guardie Rosse mirano non solo a saccheggiare le case della famiglie benestanti, distruggendo tutti i beni trovati, ma si rivolgono anche alla distruzione del patrimonio culturale cinese. I primi a cadere sotto i colpi inferti da una guerra ideologica senza precedenti, rivolta ad eliminare tutto quello che fosse stato creato dal “sacrificio del popolo” immolato alla causa imperialista, sono il tempio confuciano di Qufu e le moschee uigure nella regione dello Xinjiang (Bramall, 2009). Per salvare i siti storici dalla furia distruttrice del nuovo pensiero si poteva invocare una precedente visita di Mao, oppure era sufficiente dimostrare che fossero gli oppositori di Mao a sostenerne la distruzione. Per preservare la Città Proibita fu inventata la storia che Peng Zhen (allora sindaco di Pechino non visto di buon occhio dal Grande Timoniere) volesse raderla al suolo, e per evitare di essere associati alla figura di quest’ultimo, nessuna tra le Guardie Rosse portò a termine questo compito.
Alla fine del 1966 le Guardie Rosse hanno oramai le redini dello stato animate dall’obiettivo di perseguitare tutti coloro che prima del 1949 erano stati proprietari terrieri o membri del Partito Nazionalista Cinese. E’ scontato precisare che questo processo di epurazione colpisce in maniera diretta anche persone innocenti, che divengono vittime di soprusi e umiliazioni pubbliche. Il numero di persone perseguitate o imprigionate si aggira intorno ai 30 milioni mentre il numero delle vittime si crede appena inferiore a 1.5 milioni (Walder e Su, 2003). Tra questi non sono da dimenticare le persecuzioni verso Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, i quali sono allontanati dal partito, in quanto definiti capitalisti. Liu Shaoqi viene imprigionato nel 1968 e continuamente percosso in pubblico nello stesso anno. L’umiliazione dell’ex presidente della Repubblica Popolare Cinese non finisce qui, malgrado il diabete e la polmonite, le cure gli vengono negate dalle Guardie Rosse, causandone la morte nel 1969 (Bai, 2014). Anche Deng Xiaoping viene prima di tutto umiliato pubblicamente, dovendo confessare i propri peccati di capitalista di fronte ad una folla di studenti inferocita. Come diretta conseguenza degli atti del padre, Deng Pufang viene imprigionato dalle Guardie Rosse per poi essere torturato e gettato dal terzo piano di uno degli edifici dell’Università di Pechino. Negatogli l’accesso in ospedale per le cure urgenti richieste dall’incidente, Deng Pufang rimane paralizzato a vita (Stewart, 2001), a causa della direzione capitalista attribuita a Deng Xiaoping.
La vera ragione sociale che sta dietro il movimento delle Guardie Rosse risiede nel risentimento di classe e nella frustrazione di tutti quegli studenti delle medie che non avevano avuto la possibilità di entrare a far parte di un’Università a causa del ridotto numero di posti disponibili (Unger, 1982).
Seppure la RIvoluzione Culturale avesse l’obiettivo di restaurare il potere di Mao all’interno del partito, la violenza sfociata negli anni 1966-1968 non era parte del piano iniziale. Anzi, l’obiettivo principale di questo movimento era quello di aumentare la produzione (Bramall, 2009). Peccato però che negli anni 1967-1968 il valore aggiunto industriale cala drasticamente di circa il 20%, dai quasi cento miliardi di Yuan del 1966 (Maddison, 1998). Per fermare il crollo della produzione, ma soprattutto il dominio assoluto delle Guardie Rosse, Mao presenta nel 1968 la pratica della rieducazione. Il processo di rieducazione riguarda il trasferimento di quadri industriali, tecnici, giovani universitari, studenti di scuole medie presso le campagne. Lo scopo di questa iniziativa è aumentare la manodopera contadina per aumentare la produzione agricola e scongiurare una nuova carestia. E’ chiaro come l’insegnamento dei valori contadini e paesani fosse uno dei principi fondamentali dietro la rieducazione, ma in pochi hanno parlato di quanto questo sia stato importante per la riduzione della disoccupazione giovanile nelle città (Bernstein, 1977)
In più, il trasferimento della popolazione giovanile nelle campagne avrebbe potuto garantire lo sviluppo dell’ambiente rurale.
L’educazione durante la Rivoluzione Culturale deve creare coscienza politica tra gli studenti attraverso lo studio delle opere di Mao Zedong, integrare teoria e pratica in modo da poter rispondere ai bisogni produttivi del paese e infine rendere l’educazione e l’insegnamento accessibili anche a coloro che vivono nelle zone rurali del paese (Wang, 1975). Questo è reso possibile attraverso la creazione di una scuola elementare organizzata per squadra di produzione e di una scuola media organizzata per ogni Comune Popolare, incrementando quindi il numero di scuole soprattutto nelle zone rurali.
Come conseguenza, il tasso di analfabetizzazione calcolato secondo il completamento del ciclo primario di studi cala dal 40% del 1948-1952 tra le donne al 15% nel 1963-1967 e quello degli uomini dal 13% al solo 4% (Bramall, 2009). Va però sottolineata la scarsa qualità dell’educazione di quegli anni, dovuta non solo ad una sospensione delle verifiche e degli esami conclusivi, ma anche ad un approccio che permette alle scuole locali di utilizzare i propri libri di testo, sulla base delle esigenze lavorative e della limitata professionalità dei docenti. Ad esempio la materia “Fisica” è sostituita dalla materia “Conoscenza industriale” (Pepper, 1996). In più esisteva la pratica comune tra gli insegnanti di promuovere tutti quegli studenti che avessero come genitori contadini e non letterati.
Il fallimento del sistema educativo maoista si riscontra anche nel livello di educazione superiore e universitaria. Al termine della scuola secondaria il numero di caratteri della lingua cinese, conosciuto da uno studente durante la Rivoluzione Culturale è 2000, rispetto ai 3000 di coloro che frequentavano scuole nel periodo precedente (Pepper, 1996). Per quanto riguarda l’accesso alle università del Paese, questo veniva garantito solamente dalle raccomandazioni dei quadri del partito e in base alle relazioni sociali degli studenti stessi, mettendo la meritorietà in secondo piano (Bramall, 2009).
Alla fine del programma di rieducazione (1977-1979), 18 milioni di cinesi erano stati trasferiti nelle campagne (Shen e Tong, 1992).
La rivoluzione culturale è un movimento complesso le cui responsabilità non devono essere attribuite soltanto a Mao e alle Guardie Rosse, ma coinvolge tutto il Partito Comunista che per motivi di convenienza non ha espresso opposizioni, forse intimorito dal ruolo sempre più centrale della Banda dei Quattro, che sarà l’argomento del prossimo articolo.
Bibliografia
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