La didattica a distanza (DAD) è un tema che è diventato sempre più invasivo in questo periodo di coronavirus, poiché non riguarda solo gli aspetti legati alla formazione di milioni di giovani ma anche la loro socialità.
La Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, nei giorni scorsi ha dichiarato la sua preoccupazione, (Nelle regioni a fascia gialla tutto è aperto tranne la scuola superiore e questo creerà profonde cicatrici, i ragazzi hanno bisogno di sfogare la loro socialità. Sono molto preoccupata, oggi la DAD non può più funzionare, c’è un black out della socialità, i ragazzi sono arrabbiati, disorientati e sono preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica), per una situazione che sembra essere fuori controllo.
Dichiarazioni preoccupate anche da parte del Presidente dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari, sulla DAD (Stare in classe non è solo studiare. A questi giovani mancherà una palestra di vita, … la didattica online è meglio di niente ma è un palliativo: il guaio è che è stata portata avanti troppo a lungo).
Di seguito riportiamo il contributo della Prof.ssa Adriana Galvani, Rettore di Unipomediterranea di Nola (Na), – “a contatto con le più grandi associazioni educative internazionali” – come si presenta, che noi già conosciamo per il testo (I trasporti al tempo del Covid-19) presentato il 2 gennaio 2021 nel nostro Blog.
I trend educativi, di Adriana Galvani
Tra gli organismi plurinazionali che si occupano dei problemi dello sviluppo delle nazioni, si situa l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico- OECD in inglese), fondata nel 1961 da John Kennedy, per favorire l’interazione tra paesi sviluppati e non. Tra i numerosi campi in cui interviene, c’è anche quello dell’educazione, essendo questa uno degli elementi fondamentali dello sviluppo.
OCSE ed ha creato una specifica sezione per i problemi dell’educazione, denominata STI (Scienza, Tecnologia, Innovazione).
Già dal 2019 OCSE stava rivedendo le nuove opportunità di insegnamento ed aveva individuato un processo che, a nostro avviso, era avviato da parecchio tempo, ossia il percorso che, dall’insegnamento centrato sul docente, va a quello focalizzato sull’allievo e sull’ambiente. È un passaggio obbligato, dati i tempi moderni della socializzazione, della comunicazione multimediale, della propensione agli spostamenti, dell’economia che favorisce migliori stili ed ambienti di vita.
OCSE non disistima il potenziale digitale per offrire alternative educative che possono essere molto duttili, tuttavia valuta che l’emergenza scolastica innescata da Covid-19 sia arrivata in un momento in cui molti sistemi educativi non erano preparati (Ikeda, 2020).
Ora, non tanto l’insegnamento a distanza, ma la chiusura delle scuole è sul piano centrale dei dibattiti.
Secondo OCSE, questa chiusura ci richiederà dieci anni di impegno per colmare i gaps che si sono creati, anzi ci costerà una generazione persa. Questa occasione tragica può essere un’opportunità non tanto per incrementare esercizi on line già esistenti, o smart-working, ma per colmare le differenze a livello mondiale nell’utilizzo dei servizi digitali, per eliminare con la tecnologia l’analfabetismo che nessuna politica è riuscita a cancellare.
https://www.oecd-ilibrary.org/sites/9789264312012
La digitalizzazione è in continuo aumento da quasi mezzo secolo, si innova rapidamente, andando anche verso direzioni imprevedibili. L’accesso a grandi quantità di dati, elaborabili anche con uno smartphone apre nuove strategie di vita, lavoro, interazione economica, sociale e di governance.
Si voglia chiamare la nostra epoca, la seconda rivoluzione industriale, la terza onda economica, l’Industria 4.0 o la Società 5.0, nessuno nega che ci siano grandi trasformazioni in atto, sottolineate dalle Nazioni Unite che nei Goals dello Sviluppo Sostenibile considerano le vie digitali quali chiavi vitali di trasformazione del mondo.
Innegabile lo strapotere e il mondo di potenzialità aperto dalla rete, anche nel campo formativo ed educativo, ma ciò non può cancellare l’interazione tra studenti e docenti e tra studenti tra loro o docenti tra loro.
Sostenere l’educazione a distanza non significa chiudere le scuole, come implementare maggiori servizi on line non significa chiudersi tutti in casa. La chiusura delle scuole non può che essere temporanea e per il più breve tempo possibile. Molti ancora non capiscono perché debbano essere chiuse le istituzioni scolastiche, allorché il virus che impazza colpisce, per una percentuale altissima, le persone molto anziane con un debole sistema immunitario e altre malattie pregresse non curate e, se non curabili, non si può imputare ad un virus, che a tanti non dà nessun sintomo, la causa della morte che, inevitabilmente, giunge per tutti, soprattutto perché solo da poco tempo, abbiamo raggiunto traguardi di longevità inimmaginabili nel secolo scorso, e tutto ciò in tempi brevissimi, grazie ad uno sviluppo ultra rapido di tecnologia, a cui l’uomo, per struttura costituzionale, si adegua però solo lentamente.
L’educazione in pratica
Un gruppo di studenti universitari di Torino ha lanciato un’inchiesta in merito alla considerazione da parte del pubblico sulla didattica a distanza (DAD). Quei giovani prevedono che se anche gli istituti statali allargassero, definitivamente, il nuovo tipo di insegnamento, si frenerebbe lo strapotere di scuole e università private on line, che sono fin troppo costose.
L’ipotesi degli studenti è che l’allargamento della cultura conseguente a ciò, darebbe origine ad una erudizione finanziaria per un capitalismo di massa (Pelanda, 2021).
https://www.change.org/p/unidad
Come prima cosa, si può obiettare che in economia di libero mercato ognuno può iscriversi dove vuole, poi che la didattica on line era presente anche prima della pandemia o che forme innovative di insegnamento erano state adottate anche precedentemente, secondo diversificate formule. Si pensi alla didattica radiofonica che aveva raggiunto anche gli Italiani all’estero; la scuola Radio Elettra rilasciava diplomi che attestavano un ottimo livello di preparazione professionale; si pensi a quella televisiva con il noto maestro Manzi; si ponga attenzione agli ottimi programmi di Rai Storia, non dimenticando che oggi l’on-line è il pane giornaliero di ogni giovane o bambino.
Personalmente sono dell’opinione che anche i cartoons non violenti siano educativi, ma che la scuola sia ridotta alla sola comunicazione a distanza non può trovarmi d’accordo, probabilmente perché parto da una posizione di parte, tutta la mia vita è legata alle istituzioni scolastiche, da studentessa figlia di un maestro, all’insegnamento in 28 paesi del mondo …. a topo di biblioteca.
Per me, negare il valore del contatto umano tra docente e discepolo, significa negare la qualità complessiva della interazione tra individui, sminuire il pregio che lo scambio intellettuale ha per l’intero complesso dello sviluppo umano, vale a ridurre la complessità del vivente alla superficialità dell’immagine, al vedere il mare senza onde, al considerare i laghi come una superficie specchiante, senza misurare lo spazio in profondità che può essere di molte centinaia di metri, come nei più piccoli laghetti di montagna. È comparabile al vedere la superficie del mare senza valutare che la sua profondità è maggiore delle più alte vette montuose. Equivale a negare che tutta l’umanità si sia evoluta in un continuo contatto, anche negativo, di distruzione stessa di uomini e cose per eventi naturali o creati.
Vorrebbe anche dire cancellare uno dei più valenti programmi educativi della Unione Europea, lo scambio Erasmus, per il quale gli studenti trascorrono un periodo di studio in un paese estero e i profitti ottenuti, chiamati crediti, vengono riconosciuti e inseriti nel curriculum dell’università di origine. È un programma che ha molto successo ed è ricercato dai giovani, anche se devono possedere requisiti di un certo prestigio per accedervi.
Il passato educativo in Italia
Anche l’università statale poteva essere frequentata a distanza già tempo addietro, molte facoltà non hanno l’obbligo di frequenza, pur se è chiaro che certe materie, come medicina, fisica o ingegneria abbisognano di presenza in laboratori. Ne è una conferma il ruolo decisivo che hanno i libri, i migliori sostituti dei cattivi maestri, quando vi sopperiscono le biblioteche.
A tal punto offro la mia versione del tema, come insegnante che ha lavorato in ogni tipo di scuola e che continua a far la vita da allieva in ogni tipo di corso.
Anche gli adulti sono costretti in periodo di pandemia globale a meeting e conferenze on line, ebbene posso affermare, dopo aver trascorso ore con questo diversivo, che non ricordo nulla di ciò che molti importanti personaggi, a livello internazionale, hanno espresso da distanze ignote. Ricordo invece, come questi cosiddetti webinar inducano al sonno, come spesso ci si deve districare tra inconvenienti tecnici, come viene spontaneo rispondere contemporaneamente al telefono che ci squilla accanto, al postino che suona il campanello. Mi immagino pure dei ragazzi che avendo meno autocontrollo degli adulti, non lascino un minuto lo sguardo lontano dal cellulare, mentre mangiano un panino, sgranocchiano le patatine, chiedono alla mamma cosa sta preparando da mangiare, mentre il professore in linea spiega cose difficili, e incomprensibili, di cui si sentono ad anni luce di distanza. Non avevo figli da seguire in questo anno trascorso, ma ho saputo che, dopo le lezioni imposte, i ragazzi si devono scambiare le informazioni su ciò che non hanno capito, ma, in genere, sulle formalità, non sulla sostanza, semplicemente a che pagina del libro debbono fare gli esercizi, poi come passarseli di mano, perché non si sa chi di loro sarà interrogato dall’insegnante o quali compiti l’insegnante visionerà, così si salta l’eventualità remota di essere interrogati e si fanno male i compiti a casa a casa. Non rimane però nemmeno la soddisfazione che, a farli bene, i compagni ti ammirino, perché ognuno viaggia da solo.
Mi diceva una ragazza che la docente voleva vedere negli occhi i suoi ascoltatori, per individuare, dalle mosse degli sguardi sul video, se guardassero libri o quaderni o note varie durante le interrogazioni. Dubito che ci riuscisse sempre con tutti gli studenti; non è una battuta che i ragazzi la vincano sui più anziani; ricordiamo tutti nei nostri trascorsi di scuola, i foglietti scritti a caratteri minuscoli che nascondevamo nei siti più impensabili, le ragazze li mettevano sotto la gonna, nelle calze trasparenti di nylon. Qualcuno ha superato esami finali chiedendo di andare in bagno più volte, sia perché i corridoi sono vie di comunicazione, sia perché, come accaduto a chi scrive, che era presidente di commissione agli esami di maturità, ha saputo dai bidelli che, dalle finestre dei corridoi o dei bagni, gli esaminandi scambiavano noticine di traduzione o di calcoli matematici con l’esperto del momento, mimetizzato, o con compagni che si erano portati una scorta di libri, dietro la scuola, come ladri in attesa che uscissero i padroni di casa.
Nelle vecchie aule universitarie con le gradinate in legno, come nei teatri, si nascondeva sotto l’impianto ligneo l’amico che aveva superato l’esame l’anno precedente o la sessione precedente e col libro delle traduzioni, trovava la versione perfetta di latino per l’esame scritto di chi, in aula, stava solo aspettando l’ultimo foglietto.
Personalmente sono sempre rifuggita da questi mezzucci, ma sono stata coinvolta, a mia insaputa, da studenti che avevano richiesto una mia lezione privata on line, in tempo di lock down, ma che sarebbe servita loro come pacchetto di risposte ad un esame a distanza.
Erano studenti che avevano cercato la partecipazione di un insegnante noto per la materia, ma sconosciuto a loro, quindi trovato sul sito delle agenzie di lezioni in un’altra città. Hanno avuto poi la faccia tosta di dirmi, a lezione terminata, che da una parte parlavano con me su Skype, e con un altro computer rispondevano in contemporanea alle domande dell’esame per iscritto, un esame con uguali risposte per quattro studenti.
Questa esperienza è rimasta una ferita per la mia dignità, ma, al contrario, mi rimane una delle soddisfazioni più belle riservate agli insegnanti, l’amicizia stretta che continua da lunghissimi anni con alcuni ex studenti. Dico alcuni perché non è nemmeno possibile, per semplici questioni di tempo, oltre che di personalità, essere amici con tutti. I pochi, che continuano ad essere in contatto, sono studenti che hanno svolto con me la tesi e sono diventati professionisti di pregio, anche grazie all’averli seguiti post- laurea. Non è possibile esprimere a parole, se si è coinvolti, una affettività legata alla reciproca stima, commista di ammirazione da entrambe le parti, siano, i vecchi allievi, uomini o donne.
Ciò rappresenta il mio ideale di insegnamento, di interrelazione reciproca, costante, su un piano di parità, in cui si differenziano solo le funzioni. Mi sono sempre rifiutata di dare del LEI agli studenti universitari, come si usa ancor ora in tante istituzioni, anzi chiedevo il TU reciproco, che non molti riescono a ricambiare.
Il mio ideale di formazione è rimasto legato al ricordo di un dipinto che mi colpì moltissimo durante una conferenza in Svezia. Rappresenta una classe elementare di una scuola del XIX secolo, in cui i bambini stanno seduti dove vogliono, anche sul pavimento, fanno ognuno ciò che più gli piace, l’insegnante ne accetta il comportamento, pur che ciò non costituisca disordine, perché sono sotto il suo controllo e sono indirizzati ad una fine da raggiungere, ognuno con i propri mezzi, per ottenere il risultato migliore possibile.
E’ una emulazione, in chiave semplificata, del processo della ricerca scientifica.
Cercai di fotografare quel quadro, ma essendo coperto dal vetro, ne risultò solo una copia sfocata.
Ne vidi in seguito uno simile alla National Gallery of Scotland di Edimburgo, ma le foto erano vietate e non era riportata questa scena tra le cartoline del book shop interno al museo. Scrissi pure al museo stesso, ma non ricordavo più il nome dell’autore. Forse mi era rimasta impressa la situazione atipica per la nostra mentalità, in quanto ricordo che da piccola, mia madre dovette chiedere alla maestra di lasciare “libero” ogni tanto il mio fin troppo vivace fratellino, che non riusciva a stare fermo, così a lui bastava fare una corsa nel corridoio e poi tornava in classe a riprendere il suo dovere, seduto.
Tutto ciò fa intendere quanto io sia lontana dall’approvare l’educazione a distanza, sebbene sia una accesa sostenitrice della conoscenza on line e del preziosissimo ruolo di Intenet. Ammetto che la mia carriera professionale è dipesa dal forte ruolo che il computer ha avuto nella mia vita, ma usato in maniera attiva, altrimenti va ad abbinarsi ad un altro strumento che è altrettanto poco stimolante dell’attività, come la televisione.
Dagli anni Sessanta è iniziata una battaglia accesa degli intellettuali contro i danni di certe trasmissioni televisive che inducono passività fisica e mentale. La consorte del Presidente Pertini ebbe a dire che “la televisione è stupida”, creando grande imbarazzo a tutti i livelli politici e sociali. Si trattava tuttavia di una semplificazione ad effetto che ebbe la funzione di stimolare i dibattiti e forse di ridirezionare verso più intelligenti messaggi la comunicazione attraverso quel mezzo.
Il prevalere successivo di tante nuove emittenti ha peggiorato la situazione e, non solo certi programmi sono più stupidi, ma dannosi, volgari e diseducativi anche per gli adulti.
Ricordi personali
Non avendo figli, ho subito uno choc quando ho visto un nipotino che già all’età di 3 o 4 anni si dilettava con i giochi elettronici; suoni, immagini, sequenze intriganti e allettanti, anch’io venivo presa dal vortice di scene inimmaginabili nella realtà e mi chiedevo come avrebbe reagito quel bambino ad entrare nel giro di breve tempo in una tradizionale noiosissima scuola, dove non c’erano nemmeno i colori delle magliette dei bambini, coperti da anonimi grembiulini, dove non si poteva toccare un tasto per cambiare la scena, ma si era forzati ad assistere a scene in bianco e nero con insegnanti senza fantasia.
Nonostante tutto, la prese bene e gli arrise il successo scolastico. Il bambino aveva molti altri incitamenti, oltre ai giochi con il pad perché il padre credeva nel ruolo della varietà e molteplicità degli stimoli, come io credevo nel ruolo in generale della istruzione, qualsiasi tipo di istruzione. Suo padre gli comprava giochi componibili, sua madre gli faceva fare le parole crociate a cinque anni ed io gli compravo CD educativi in lingua straniera. Quindi le formule educative venivano moltiplicate e continuamente variate. Sia come sia, sia natura o costrutto, il ragazzo è divenuto un piccolo genio della fisica, con borsa di studio di dottorato alla SISSA di Trieste. Ce lo chiederemo sempre, ma non sapremo mai se dipende dall’educazione o dal DNA. Certo occorre avere dei neuroni, ma i neuroni devono essere stimolati e messi in interazione continua, per creare i circuiti elettrici della creatività, in un processo autoriprodotto, ed a ciò contribuisce la socializzazione.
Per creare feed-back intellettuali occorre anche che gli studenti siano seguiti dai genitori, non che questi svolgano i compiti al loro posto. Quante volte abbiamo sentito insegnanti che, con tono minaccioso, dicono che i ragazzi devono fare tutto per conto proprio; diciamo che non è una questione meccanica, è che i figli devono sentire che i genitori si interessano a loro, non che cerchino la formula chimica, la media matematica, o come si chiamava l’erede di Carlo V, anche se hanno un adeguato livello di istruzione; in questo caso, non è il bagaglio bibliografico che serve, ma l’amore genitoriale e la riconoscenza filiale. Finché la scuola e il doposcuola occupano gran parte del tempo dei ragazzi, genitori ed insegnanti devono sapere quali problemi i discenti affrontano, quali difficoltà incontrano, soprattutto a livello psicologico e i figli devono essere sicuri di avere una spalla su cui appoggiarsi, anche se la spalla non ha terminato il corso di studi.
Bibliografia
Ikeda, M. (2020), “Were schools equipped to teach – and were students ready to learn – remotely?”, PISA in Focus, No. 108, OECD Publishing, Paris.
OECD Digital Economy Outlook 2020, Doi:https://doi.org/10.1787/bb167041-en
OECD – Trends Shaping Education, Parigi, 2019.
Pelanda C., L’insegnamento on line è OK, Italia Oggi, 9 gennaio 2021, p.9.
https://doi.org/10.1787/4bcd7938-en
https://www.change.org/p/unidad
https://www.oecd-ilibrary.org/sites/9789264312012
Fig. 1 – Fonte: OECD – Trends Shaping Education, Parigi, 2019.