Le regioni si possono valutare sulla base di un parametro molto importante che è quello delle Usca realizzate. Le Usca sono le Unità speciali di continuità assistenziale che avrebbero dovuto curare i malati Covid meno gravi a casa per evitare la pressione sugli ospedali. Sono state istituite il 9 marzo col lockdown anche se poi sono state finanziate il 19 maggio con 61 milioni. Ogni regione ne doveva fare una ogni 50mila abitanti con circa 50mila euro a disposizione per coprire l’onorario del medico (40 euro lordi) e le attrezzature (trasporto, tamponi,…ma soprattutto con ecografi che costavano poco e altre attrezzature portatili come ha fatto l’eroico dottor Cavanna -primario di oncoematologia a Piacenza- che curava a casa i pazienti). Lo Stato non ha però previsto alcun reclutamento ma solo l’adesione volontaria del personale sanitario. E questo è stato il primo clamoroso errore: come si poteva pensare in una situazione così drammatica e di “stato di emergenza” di far leva sui soli volontari ?
Chi pensava di usare i medici di famiglia li ha trovati sul “piede di guerra” avendo avuto metà dei 192 medici morti per Covid, per cui, tranne alcuni eroici volontari, la maggioranza ha disertato. Le Usca sarebbero state (e sono) un presidio territoriale fondamentale e chi le ha istituite l’ha pensata bene ma, come sempre, chi legifera non dà poi alla Pubblica Amministrazione gli strumenti per realizzare ciò che legifera. Il tipico difetto è infatti quello di fare “leggi o patti (con le parti sociali)” salvo poi non attivare le figure organizzative (che non ci sono) affinchè tali processi siano effettivamente implementati. La figura del responsabile di procedimento istituita da Bassanini nel 1990 è infatti una figura spesso apicale che si occupa di formalità (accesso agli atti,…), mentre sarebbe necessario istituire una figura di vero “responsabile di processo” (sempre interna all’amministrazione pubblica) che si occupa di presidiare costi e tempi previsti. Una figura che risponde in tempo reale (e non dopo anni) e che, nel caso in cui costi e tempi siano disattesi, interviene sulle figure apicali (anche al di là del proprio capo). Solo in questo modo avremo una PA che funziona.
Un altro aspetto che ha ostacolato la formazione delle Usca riguarda la carenza di personale sanitario. Ma quando si è in emergenza (o addirittura in “stato di emergenza”) occorre introdurre procedure di emergenza come l’assunzione a tempo degli specializzandi ma anche di neo laureati che andando a svolgere le mansioni di base, consentono ai colleghi di “spostarsi” sulle mansioni più complesse e, in questo modo (già sperimentato in imprese private), di potenziare l’attività dei colleghi e dei senior. Abbiamo 12mila specializzandi a spasso che potrebbero essere occupati: non è una priorità l’occupazione giovanile?
La figura allegata mette in luce il comportamento delle varie regioni sulla base delle Usca realizzate (in percentuale di quelle che dovevano fare) e della mortalità per abitante. I dati sono riferiti a fine luglio quando in Italia erano state realizzate 590 Usca sulle 1.200 previste (49%). Da questo schema risulta che alcune regioni sono state virtuose (buona % di realizzazione seppure con molti morti) come Val D’Aosta, Liguria ed Emilia-R.; alcune sono state pessime: Lombardia e Piemonte (molti morti e poche Usca); altre sono state virtuose pur avendo pochi morti (Basilicata, Trentino, Abruzzo, Umbria, Marche, Sardegna); infine alcune come Campania e Lazio, pur avendo pochi morti (e questa è una scusante) hanno realizzato pochissime Usca.
NB: per leggere il grafico: l’ascissa indica i morti per 100mila abitanti, l’ordinata la % di Usca fatte, Val d’Aosta e Basilicata hanno superato il 100%, Liguria 97%, E-R. 91%, Campania 15%, il minore in Italia.