21 novembre 2020
Il convegno di oggi dal titolo “La violenza economica sulle donne: lavoro-welfare-diritti. Analisi, riflessioni e azioni ai tempi del coronavirus” rappresenta l’evento centrale di questo progetto pensato e organizzato da CDS Cultura e Centro Donna Giustizia in occasione del 25 novembre 2020, “Giornata Internazionale per l’eliminazione della contro le donne”, con la collaborazione di UDI e CGIL CISL UIL, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Ferrara, di ASviS – Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile, e patrocinio oneroso della Regione Emilia-Romagna.
Inizio con una domanda retorica.
Perché noi di Cds Cultura, che da quasi cinquant’anni a Ferrara ci occupiamo di temi economico sociali e il Centro Donna Giustizia, un’Associazione vocata al contrasto alla violenza contro le donne abbiamo deciso di occuparci di violenza economica e, per farlo, abbiamo costruito questo percorso fatto di cinque incontri di approfondimento e il convegno di oggi. Una domanda, a onor del vero, che si fanno anche alcuni nostri soci, aprendo un interessante dibattito interno.
L’abbiamo fatto perché della violenza economica non si parla, o meglio, se ne parla troppo poco. Per noi di CDS Cultura, che stiamo indirizzando la nostra attività di ricerca, documentazione e studio basandoci sui 17 obiettivi di Agenda 2030 e, in questo, abbiamo come riferimento ASviS , è stato importante verificare che quest’anno tra le iniziative nazionali sviluppate in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, l’iniziava per il Goal 5 – parità di genere, è stata incentrata proprio sulla violenza economica.
Tornando a noi, l’dea di questo progetto è nata a giugno-luglio, quando ci siamo apprestati a rifare l’Annuario Socio-Economico cominciando ad indagare cosa fosse accaduto nei mesi immediatamente precedenti. Sul Goal 5 non avevamo dati a disposizione su cui basarci, ma avevamo alcune certezze:
la prima, quella più evidenziata anche dai media: l’incremento delle violenze domestiche nei confronti delle donne e anche dei minori in conseguenza della continua e forzata convivenza e della conseguente aumentata difficoltà a denunciare;
la seconda, l’allontanamento di molte donne dal mercato del lavoro, più degli uomini, perché l’occupazione femminile è più debole, sia per settore di appartenenza che per tipologia, caratterizzata da precariato e assunzioni a tempo determinato. E mentre l’occupazione stabile veniva protetta dal divieto di licenziamento, per molte donne e molti giovani era certa la disoccupazione. Di questo non se ne parlava; tutto si concentrava nelle polemiche e nelle denunce per i ritardi dell’Inps ad erogare la Cassa integrazione o gli altri aiuti economici;
la terza, le accresciute difficoltà delle donne a conciliare il lavoro, trasferito a casa, spesso erroneamente definito “smartworking” , con l’accudimento dei figli a casa da scuola, senza il supporto di reti parentali e, in più, dovendoli seguire anche nella didattica a distanza. Un lavoro a casa, spesso non supportato da strumentazione adeguata, a volte utilizzando computer o tablet propri (anche “i mezzi di produzione” sono stati forniti “dalla forza lavoro”, mandando definitivamente in soffitta il buon Carlo Marx), gli stessi utilizzati dai figli, determinando dilatazione e deregolamentazione dell’orario e del tempo di lavoro. Eventi trattati dai media in un’altalena tra l’esaltazione dello smartworking come la grande novità nel lavoro e la critica alla chiusura delle scuole, con una didattica a distanza impossibile per molti studenti a causa delle difficoltà economiche di molte famiglie ad acquistare tablet o computer.
A settembre sono arrivati i primi dati relativi a giugno 2020, impietosi nel confronto con lo stesso periodo del 2019.
Dei 26 milioni di lavoratori dipendenti e autonomi occupati, 840.000 hanno perso il lavoro; 650.000 disoccupati sono usciti dal mercato del lavoro portando il numero degli inoccupati a circa 27 milioni, un numero mai riscontrato in precedenza, a dimostrazione della sfiducia di tanti nella possibilità di ritrovare una occupazione seppur precaria.
Degli 840.000 che hanno perso il lavoro, 470.000 sono donne, che significa aver cancellato in pochi mesi i ¾ dell’incremento occupazionale femminile registrato negli ultimi dieci anni, dopo la pesante crisi del 2009 e portando il tasso di occupazione femminile nazionale al di sotto del 50% lontanissimi dagli obiettivi europei e da quanto sancito nella Strategia di Lisbona.
Perché è successo questo?
Come già detto, l’occupazione stabile è stata protetta con i reiterati divieti di licenziamento; non è successa la stessa cosa all’occupazione precaria e a tempo determinato a prevalente presenza femminile e giovanile, quella dei settori dei servizi, turismo e commercio che sono stati e sono i più colpiti dalle limitazioni.
Neanche l’Emilia-Romagna è stata risparmiata, anzi. Dei quasi 62.000 occupati in meno registrati a giugno, ben 52.000 sono donne e il tasso di occupazione femminile è passato dal 65% al 62%.
D’altro canto sono state soprattutto le donne a reggere l’onda d’urto del COVID 19, quelle occupate nei servizi “essenziali”, quali sanità, pulizie, sociale, commercio al dettaglio; e se la mortalità ha colpito soprattutto i maschi anziani, nella fascia di età tra i 20 e i 50 anni molte più donne che uomini hanno contratto la malattia , proprio perché impegnate in quei servizi.
Inoltre, come ci diceva nel suo intervento nel corso dell’iniziativa del 13 novembre, Debora Romano, presidente AIDM ( Associazione Italiana Donne Medico) in questi mesi, sia durante che dopo il lockdown e anche ora, gli atti violenti nei confronti delle lavoratrici impegnate nella sanità ( mediche, infermiere, operatrici sanitarie) sono aumentati, eventi completamente sottaciuti, prevalendo la rassicurante e retorica narrazione sugli eroi e sugli angeli.
Quello che nei mesi estivi avevamo ipotizzato è quindi avvenuto: il Covid sta riportando la condizione delle donne indietro di decenni. Occorre prendere consapevolezza che questa, oltre ad essere una crisi economica e sociale, è anche una crisi di genere. Mai in passato una recessione aveva colpito con tale forza un genere più dell’altro; uscirne avendo come obiettivo la parità di genere non è solo questione di “diritti”, seppur di per sé importante, ma è anche questione economica: se non si fanno investimenti per sanare il divario di genere non si contrasta la crisi.
Servono quindi azioni mirate ad agevolare l’occupazione femminile, rientranti in una strategia sistemica, con un approccio economico in cui il tema del lavoro femminile sia centrale per sostenere il rilancio nel suo complesso, a partire da una ridefinizione efficace ed efficiente del welfare della cura, della scuola, sanità e assistenza nel nostro paese.
Quindi un piano straordinario per le infrastrutture sociali, prima di tutto a supporto della persona (infanzia, anziani, non autosufficienti e disabili) ma anche come incentivazione del lavoro delle donne, perché avrebbero più tempo per dedicarsi al loro lavoro, perché avrebbero anche più spazi occupazionali trattandosi di attività a prevalente occupazione femminile.
Non interventi a spot, ma politiche integrate. In questo aiuterebbe se tante donne che da anni si occupano di questi temi fossero inserite là dove si prendono le decisioni.
Servono poi più sostegno all’imprenditoria femminile, formazione e riqualificazione nelle nuove competenze, supporto fiscale.
Non ci pare vadano in questa direzione le scelte che si stanno facendo sui finanziamenti europei, dove il 60% delle risorse è già desinato ad attività certamente strategiche quali il green e territorio, industria 4.0, infrastrutture digitali, attività a prevalente occupazione maschile, tant’è che da più parti le donne stanno richiedendo una valutazione sull’impatto di genere delle scelte fatte e in Europa sono nati movimenti che richiedono un’equa ripartizione delle risorse a favore di donne e uomini.
Non si tratta di rivendicazioni da relegare tra le “recriminazioni di genere”, ma di una necessità per l’Europa, e per l’Italia in particolare che ha bisogno più di altri del potenziale produttivo di tutte e tutti, cogliendo un’opportunità straordinaria per ripensare il modello di società e di economia negli e per gli anni futuri e, tornando a noi e al nostro progetto, per andare al superamento di quelle condizioni economiche che possono diventare causa di violenza sulle donne, come abbiamo evidenziato nel nostro primo incontro di approfondimento dedicato alla presentazione del Goal 5 Parità di Genere, Integrazione all’Annuario Socio Economico Ferrarese e che possiamo così sintetizzare:
· mancanza di autonomia economica e finanziaria che costringe a dipendere da “qualcuno”;
· differenziali salariali tra uomini e donne a parità di lavoro che oscilla intorno al 20%;
· penalizzazioni di carriera, dovendo dedicare meno tempo al lavoro anche ricorrendo al part-time per sostituire un welfare carente sia per l’infanzia che per gli anziani (grazie all’accresciuta aspettativa di vita sempre più donne adulte sono chiamate a farsi carico di “famiglie allungate” nel ruolo, spesso contemporaneo, di madri, nonne e figlie);
· perdita del posto di lavoro quando si diventa madri. Nel 2019 37.000 neomamme si sono “dimesse” dal posto di lavoro;
· marginalizzazione del ruolo quando è gravato da stereotipi culturali, per cui diventa “faticoso” anche solo volere la declinazione femminile a ruoli storicamente riservati ai maschi;
· difficoltà nell’accesso al credito quando si è impresa femminile;
· quasi totale mancanza di rappresentanza femminile nei luoghi della decisione;
· violenza fisica, mobbing e molestie sessuali nei luoghi di lavoro, a volte dovute ai colleghi di lavoro, più frequentemente a superiori gerarchici.
Il nostro progetto di lavoro, e il convegno di oggi in particolare, è finalizzato a questi approfondimenti e alle conseguenti proposte.
Per questo:
al tema della violenza nei confronti delle donne, del linguaggio e degli stereotipi di genere, abbiamo dedicato l’incontro di approfondimento di ieri sera nel corso del quale Graziella Priulla, autrice del libro “Violate”, ha conversato con Paola Castagnotto;
ai temi del lavoro dedicheremo i nostri tre prossimi approfondimenti: il 28 novembre con la presentazione del libro di Alessandra Pescarolo “Il lavoro delle donne nell’Italia contemporanea”, il 4 dicembre dedicato all’imprenditoria femminile mentre l’11 dicembre faremo un approfondimento sullo smartworking.
Concludo richiamando ad una consapevolezza:
“l’indipendenza economica attiva delle donne è la prima garanzia di libertà individuale e di sviluppo sociale”.
(Il video integrale del convegno è disponibile su YouTube).