Durante la pandemia del 1918 si rispose in Italia e nel mondo accrescendo l’insegnamento all’aperto che oggi si potrebbe fare in molti modi tra cui le tensostrutture (molte sono disponibili proprio nell’esercito e nella protezione civile), ma anche con attività fuori dall’aula (non necessariamente tutti i giorni): nei boschi, in campagna, nei parchi, negli orti, in musei e altri ambienti). In occasione della spagnola e della Tbc si scoprì che nelle classi all’aperto gli studenti imparavano di più per cui ci fu (anche in Italia) un riconoscimento ufficiale del ministro dell’istruzione nel 1910 diventando una pratica diffusa (si veda il libro di Mirella D’Ascenzo, Per una storia delle scuole all’aperto).
Ancora oggi non sappiamo esattamente come si trasmette il virus Covid-19 ma da uno studio (si veda anche Zeynep Tufekci, Apriamo le finestre su Internazionale del 14 ottobre) dell’Oms su 1.200 eventi superdiffusori solo uno è classificato come all’aperto e solo 39 come in parte all’aperto e in parte al chiuso, tutti gli altri 1.160 sono avvenuti al chiuso. Si sa con certezza infatti che il sole uccide i virus e che all’aperto si è molto più sicuri. Non a caso in molti locali se c’è una buona ventilazione (come sugli aerei) i rischi sono minimi. Ebbene, nonostante tutte queste informazioni non si è fatto assolutamente nulla per consentire alle scuole di svolgere un’educazione all’aperto (anche solo per alcune classi o solo per qualche giorno alla settimana).
Del resto che non si volesse innovare si è capito questa estate quando si poteva sperimentare almeno in alcune scuole pubbliche del Sud (dove i contagi erano assenti), in collaborazione con gli educatori dei campi estivi (privati che hanno invece sempre lavorato), una didattica mista (aula-all’aperto) che avrebbe potuto dare molte utili indicazioni alle scuole di tutta Italia alla riapertura in autunno.
Per gli studenti delle elementari una didattica all’aperto non è un mero rimedio (ai tempi del Covid), ma un vero e proprio potenziamento dell’attuale scuola, un passo meraviglioso sulla via di migliorare un apprendimento (oggi solo da Istruzione) con uno anche da Sperimentazione, entusiasmando i nostri alunni.
E’ anche un messaggio su quanto sia maestra la Natura, di quanto sia importante per l’apprendimento l’osservare (i concetti derivano dalla capacità di percepire) e di saper coinvolgere la “comunità educante” che vive attorno alle scuole fatta di artigiani, artisti, altri educatori, assegnando al maestro di classe non solo un ruolo di insegnante ma anche di coach (allenatore). E’ vero che una formazione in tal senso aiuterebbe, ma anche darsi da fare (da “soli”) è possibile. Si obietta che sarebbero serviti maestri aggiuntivi, ma se c’è una cosa che oggi bisogna assolutamente fare è investire sull’occupazione giovanile (e non mancano le risorse).
Un maestro elementare (anche assessore) di Torino negli anni ’80, Fiorenzo Alfieri, sperimentò proprio un scuola di questo tipo che andava verso le botteghe e viceversa, ispirandosi al principio di “zona di sviluppo prossimale” di Vygotskij in cui la scuola sa trovare un’area di crescita che, grazie alla prossimità, spinge oltre i suoi studenti nell’apprendimento. E sarebbe anche un rimedio per avere classi meno numerose e più sicurezza.
Alle elementari si è capito che la didattica online è una astrazione per i bambini che sono tutt’uno con la socialità, il sentire e il contatto.
L’online può essere semmai utile agli adolescenti (in dosi però limitate) come una «seconda didattica». Ma anche in questo caso è assurdo pensare di tornare alla didattica on line.
La vera innovazione per gli adolescenti, perlomeno negli ultimi tre anni delle superiori, sarebbe stato disporre (come diciamo da mesi) di una «terza didattica», un luogo di lavoro in cui svolgere uno stage di qualità, un tirocinio, un praticantato (con finalità non necessariamente professionalizzanti), sotto la guida di un esperto, dove, partecipando in modo legittimato a una comunità di adulti, si apprende.
Uno studente che diventa gradualmente in modo ambivalente anche un praticante novizio, che parte dalla periferia della conoscenza e viene aiutato da un’«impalcatura» (che via via diventa meno ingombrante), che apprende processi di lavoro e acquisisce competenze sociali che s’imparano solo sul lavoro. Ciò implica rilanciare l’«alternanza scuola-lavoro» (dimezzata negli ultimi due anni per quanto concerne numero di ore e fondi), dando alle scuole maggiori risorse e autonomia al fine di organizzare perbene il percorso con le aziende.
Da questo punto di vista sarebbe necessario (ora che i fondi finalmente ci sono) fornire le scuole di una «nuova figura specifica»: l’insegnante “di accompagnamento”. Questa nuova figura, che potrà servire anche più classi, è strategica per il successo di questa «terza didattica». L’insegnante di classe rimarrebbe il titolare della progettazione e dei risultati dell’apprendimento, e darebbe indicazioni all’insegnante di accompagnamento che dialogherebbe con i tutor aziendali.
Oggi è vero che le scuole hanno fondi specifici per queste attività ma sono troppo modesti per organizzare un lavoro complesso come quello della selezione delle imprese e di accompagnamento degli studenti in questo percorso aziendale. Se si fosse realizzato questo approccio oggi avremmo una didattica negli ultimi anni delle superiori che può vedere una parte di studenti nelle imprese (che svolgono stage di qualità), peraltro i luoghi più sicuri oggi, e una parte di studenti in aula.
Così non ci sarebbero i conflitti generati dall’assembramento sui bus (e nelle stesse classi quando diventano “pollaio”) che hanno portato il Governatore Zaia (ed altri, anche dell’attuale maggioranza) a chiedere di tornare alla didattica a distanza, la qual cosa sarebbe un disastro educativo, specie per i giovani italiani che hanno sofferto più di tutti in Europa per la chiusura più prolungata delle loro scuole. Il Governo è purtroppo del tutto privo di idee… un vero peccato per i nostri studenti che meriterebbero ben altro.
ndr. Dal “Blog di Madrugada”. Per approfondire il tema si segnala il libro di Andrea Gandini “Per una scuola di relazione”, Edizioni Lavoro e Macondo, 2020.