Il quinto obiettivo di Agenda 2030 si propone di “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze” (Rapporto ASviS 2019). Ad impegnarsi per il raggiungimento di questo obiettivo, il gruppo di lavoro del CDS Cultura ha realizzato una brochure, quale integrazione monografica a sé stante, del consueto Annuario cui, dopo l’esplodere della emergenza Covid 19, ha fatto seguito una seconda documentazione allegata all’AEF 2020, presentato il 9 e 10 ottobre 2020.
Da questa seconda pubblicazione (Integrazione 2 “post lockdown” ) abbiamo ricavato alcune interessanti osservazioni da un intervento di Ilaria Baraldi, consigliera e vice Presidente della Commissione delle Pari Opportunità del Comune di Ferrara.
Il lockdown in tema del lavoro e del welfare, dal mondo della Politica, di Ilaria Baraldi Consigliera Comunale e VicePresidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Ferrara
Un sondaggio promosso dalla Fondazione Libellula e pubblicato su “La Repubblica” a metà giugno 2020 mostra quanto segue: durante l’isolamento la percentuale di donne che dichiara di non aver lavorato (20,0%), cassa integrazione, attività interrotta o congedo parentale, è maggiore di quella degli uomini (9,9%).
Al di fuori dell’orario lavorativo l’attività principale a cui si sono dedicate le donne sono state le faccende domestiche (47,7%, contro 37 il 30,4% degli uomini), mentre quella degli uomini è stata l’intrattenimento come musica, film, tv, giochi e hobby personali (63,4%, contro un 35,1% delle donne).
Le differenze tra i generi per queste attività aumentano sia in presenza di figli/e (faccende domestiche: 53,6% donne, 23,6% uomini) sia considerando chi vive con un/una partner (intrattenimento: 63,1% uomini, 31,3% donne).
I dati sull’organizzazione delle attività per chi vive in famiglia dimostrano che gli uomini danno la priorità al proprio lavoro più delle donne (38,3%, contro 28,3%) e che la presenza di figli/figlie modifica la priorità che le donne attribuiscono al lavoro (il dato femminile scende al 17,4%), mentre non intacca quella degli uomini (38,8%).
Mi pare evidente che si tratti principalmente di una questione culturale, con connotazioni specifiche del nostro paese. C’è un percepito, una sorta di destino predeterminato che accompagna le relazioni, tale per cui viene naturale all’uomo pensare di dover essere privilegiato nel proseguire nel lavoro prioritariamente rispetto alla donna.
Poiché non vi è nulla di “naturale”, e poiché in altri paesi la distribuzione del carico familiare è molto differente, a vantaggio della donna, è chiaro che dati così allarmanti in Italia derivino da una cultura sociale dalla quale non riusciamo a liberarci.
Pertanto, oltre e accanto a tutte le azioni necessarie di supporto alle donne per realizzare concretamente una adeguata conciliazione dei tempi vita-lavoro (orari flessibili, asili, asili condominiali, asili aziendali, congedi obbligatori per entrambi i genitori), occorre investire tutte le risorse necessarie per modificare la cultura main stream, a partire dalla giusta informazione e formazione nelle scuole.