Il 12 giugno è stato presentato all’Università di Bologna il nuovo Rapporto annuale della Banca d’Italia sull’economia dell’Emilia-Romagna, rapporto che evidenzia alcuni dati senza dubbio positivi: l’economia regionale è stata in crescita nel 2018, per il quinto anno consecutivo, anche se ad un ritmo inferiore rispetto al 2017; l’Emilia-Romagna è terza in Italia dopo Lombardia e Veneto ed ha recuperato quasi del tutto i livelli pre-crisi, diversamente dal resto d’Italia che presenta ancora uno scostamento negativo intorno al 4%
Soprattutto, l’export regionale ha registrato nel 2018 un incremento del 5,7%, un dato questo che è superiore a quello della Lombardia, oltre che a quello nazionale (3,1 per cento).
Le imprese italiane, che sono molto frammentate, hanno reagito tuttavia in ritardo all’innovazione tecnologica e la loro spesa per ricerca e sviluppo è largamente inferiore rispetto al resto d’Europa, ma la regione si posiziona meglio anche in questo fronte, grazie ad aziende di dimensioni superiori alla media nazionale, talune delle quali hanno registrato aumenti continui dei fatturati in tutto il periodo di crisi economica.
Gli ultimi due trimestri del 2018 hanno registrato una fase di recessione a livello nazionale, e anche in Emilia-Romagna c’è stato un rallentamento, ma accompagnato dall’andamento molto brillante degli investimenti, grazie anche alla liquidità favorevole per le imprese, agli incentivi pubblici ed alla disponibilità di credito bancario. Il canale estero è stato il migliore per quasi tutti i settori merceologici e per tutto il mondo, sia Ue che extra Ue. L’export verso la Germania ad esempio ha superato il 6% di crescita nel 2018 e questo nonostante la fase di rallentamento che ha toccato anche l’economia tedesca. Il turismo è andato meglio del commercio, il mercato del lavoro è migliorato, sono aumentati gli occupati in tutti i settori e anche per i giovani, cosa che in passato non avveniva, provocando una espansione dei consumi anche nel comparto immobiliare (con qualche beneficio per il comparto costruzioni); il credito bancario è cresciuto, in particolare grazie ai mutui e al credito al consumo, quindi lato famiglie più che lato imprese, mentre il tasso di deterioramento dei crediti erogati, intorno al 2%, è sceso ai livelli fisiologici del 2007, cioè ai valori ante crisi. Un altro punto di forza è il basso grado di indebitamento delle famiglie emiliano-romagnole.
Per il 2019 le previsioni di crescita sono leggermente sopra lo zero per l’Italia, appena più favorevoli per l’Emilia-Romagna ma con l’export che è già cresciuto del 5% nel primo trimestre 2019 sul primo trimestre 2018, sebbene vi siano alcuni fattori esterni che giocano a sfavore, fra cui l’acutizzarsi delle reazioni commerciali Usa -Cina e la Brexit; l’esposizione al rischio Brexit, soprattutto ad un’uscita incontrollata degli inglesi dall’Ue, è peraltro maggiore nella nostra regione che nel resto d’Italia: anche per questo il rapporto ha dedicato un’attenzione particolare a tale questione (a pag.11).
Le imprese attive sul territorio sono diminuite di numero, il valore aggiunto sta tornando solo ora ai livelli pre-crisi, ma sono ben 3.800 le imprese che hanno almeno raddoppiato il fatturato (anche occupando spazi prima occupati da altre aziende che hanno risentito della crisi), e sono soprattutto industrie ad alta tecnologia e imprese di servizi ad alte competenze. Il sistema bancario ha messo in campo maggiore selettività, il credito non è mai mancato per le imprese sicure e ad alta crescita ma ci sono anche fattori di domanda che hanno ridotto la richiesta di nuove risorse finanziarie, magari per minori investimenti programmati, per cui il sistema è ora molto più solido di quanto non fosse nel 2007, anche se la redditività permane modesta soprattutto perché le famiglie sono meno indebitate rispetto ad altri paesi europei. Rimane tuttavia aperta, hanno osservato i relatori, la questione delle imprese meno solide ma con buoni progetti: il fondo di garanzie pubbliche, i canali di finanziamento alternativo non bancario (equity, obbligazioni, ecc.) coinvolgono ancora poche imprese, e spesso solo quelle di dimensioni medio-grandi. Tra l’altro, il livello elevato dello spread sui titoli pubblici e l’instabilità normativa disincentivano le emissioni obbligazionarie nel settore privato.
In ogni caso, nel 2008 avevamo imprese molto più indebitate, e tutte indebitate verso il sistema bancario che assumeva su di sé il rischio macroeconomico; il problema rimane ancora oggi quello di spostare una parte dell’intermediazione finanziaria dalle banche ai mercati, ma qui le dimensioni delle imprese giocano un ruolo fondamentale: le grandi imprese hanno fonti diversificate di finanziamento, mentre quelle piccole fanno più fatica. Ma bisogna anche dire che le banche sono quelle che hanno avuto la riforma regolamentare più significativa, e l’avversione al rischio è più accentuata verso le piccole imprese che sono anche quelle più difficili da valutare.
La questione demografica, che in passato era poco considerata, invece ora è diventata centrale perché l’Italia invecchia di più del resto d’Europa e in regione tale fenomeno è ancora più accentuato rispetto alla media nazionale, sebbene con tassi di occupazione più favorevoli (gli occupati in regione sono circa il 70% della popolazione, contro meno del 60% nel Paese).
Rispetto alle altre regioni europee emergono però due punti di debolezza, il livello di istruzione della popolazione e la diffusione di servizi digitali, che possono essere oggetto di miglioramenti. La quota di laureati in regione è più alta che nel resto d’Italia ma continua ad esserci un disallineamento fra le competenze richieste dalle imprese e la preparazione scolastica: è stato osservato come esista una sorta di “paradosso della formazione”, con disoccupazione alta e tuttavia imprese che non trovano figure adatte, molti giovani sono laureati in materie che non servono alle imprese che operano sul territorio, ed occorre rivalutare la cultura tecnica. La coesione sociale rende più facile fare impresa e rende più attrattivo il territorio, ed è questo che è avvenuto in Emilia-Romagna, dove ci sono subfornitori validi e scuole valide.
La qualità delle istituzioni, cioè i fattori di contesto che influenzano l’agire degli operatori economici, è ciò che rende più o meno attrattiva una regione per gli investimenti, anche da parte di imprese che si insediano da fuori. Da questo punto di vista, occorre assumere una prospettiva di analisi basata sulle eterogeneità, perché le medie contano sempre meno, specie dopo gli anni di lunga crisi; la dotazione di infrastrutture, i tempi per l’avvio di un’attività economica, per costruire, ecc., indicatori di contesto macroeconomico, fattori locali quali disponibilità di infrastrutture, sanità, numero di laureti, disoccupazione, R&S, brevetti depositati, ecc.: sono indicatori di natura qualitativa e quantitativa che sono utili per capire come sta evolvendo l’economia regionale; due indicatori qualitativi e quantitativi correlati fra loro, RCI (Regional Competitiveness Index) e EQI (European Quality of Government Index), evidenziano che l’Emilia-Romagna è quarta in Italia dopo Lombardia, Lazio e la provincia autonoma di Trento: bisogna però tener presente che Lombardia e Lazio hanno al loro interno due metropoli che ne favoriscono il posizionamento avanzato, l’Emilia-Romagna non ha centri di attrazione così forti come Roma e Milano, eppure evidenzia una forte attrattività. Questo è un elemento che più di altri ci fa capire quanto importante sia l’economia della nostra regione, il cui Pil è di poco superiore allo 0,2% del Pil mondiale, ma che cresce all’interno di un contesto europeo che, non bisogna mai dimenticarlo, supera il venti per cento dell’intero Pil mondiale: l’Emilia-Romagna come regione fondamentale dell’Italia, ma anche dell’Europa senza la quale la nostra economia non sarebbe diventata quella che è oggi.
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(l’immagine è tratta da Wikipedia: Map of region of Emilia-Romagna, Italy, with provinces-it.svg)