“Roma necessaria all’Italia” era stato il monito di Cavour il 27 marzo 1861; “Libera chiesa in libero stato” il suo programma. L’anno dopo Garibaldi provò ad unire Roma all’Italia, ma fu fermato e ferito ad Aspromonte. Ci riprovò a Mentana nel 1867, fermato dai volontari francesi. Mazzini fece un altro tentativo nell’agosto 1870, ma fu imprigionato a Gaeta. La situazione internazionale favorevole si concretò un mese dopo, quando cadde in Francia il governo di Napoleone III, che si appoggiava ad elementi clericali; il 4 settembre fu proclamata a Parigi la III Repubblica, l’Austria non si era ancora rimessa dalla sconfitta subita dalla Prussia. L’esercito italiano si mosse tempestivamente verso Roma. L’11 settembre Bixio era ad Orvieto. Il grosso dell’esercito, al comando di Raffaele Cadorna, si avvicinò a Roma per la via Salaria, come aveva fatto Alarico nel 410 violando le mura della città. 50000 soldati italiani erano fronteggiati da 13600 soldati pontifici. L’invasione dello Stato pontificio era stata preceduta da un breve scambio di lettere tra Vittorio Emanuele II che dichiarava di scrivere al Papa: “con affetto di figlio, con fede di cattolico, con lealtà di re, con animo di italiano” e la secca risposta di Pio IX: lettera “non degna di un figlio affettuoso, che si vanta di professare la fede cattolica e si gloria di regia lealtà”; egli “pone nelle mani di Dio la sua causa e invoca la misericordia divina della quale V.E. ha bisogno”.
Il papa chiuse le porte della città. Il 20 settembre alle ore 5 iniziò il cannoneggiamento, il primo colpo fu ordinato dal capitano ebreo, Giacomo Segre, che ignorò la scomunica intimata da Pio IX per chi prima osasse aggredire Roma. L’attacco avvenne da Porta San Giovanni, Porta Maggiore, Porta Pia, dal nome di Pio IV che ne aveva commissionato il progetto a Michelangelo. I pontifici si arresero alle 10. Gli ultimi a sparare furono i soldati della divisione Bixio; con l’esercito italiano vi era anche Edmondo De Amicis. Vi furono 49 morti e 141 feriti tra gli italiani, 20 morti e 49 feriti tra i pontifici. Il 23 settembre fu nominato un governo provvisorio guidato da Michelangelo Caetani di Sermoneta. Il 2 ottobre si svolse il plebiscito per l’annessione di Roma al Regno d’Italia: vi furono 134 000 si, 1500 no (poco più dell’1%). A novembre si tennero le elezioni politiche: furono ammessi al voto solo 10 000 cittadini, su base censitaria. L’1 novembre Pio IX aveva condannato l’occupazione di Roma come ingiusta, violenta e iniqua. Egli rivendicava anche la proprietà del Palazzo del Quirinale, in quanto bene personale del Papa. Il 3 febbraio 1871 Roma fu proclamata capitale d’Italia. Nel maggio seguente la legge sulle Guarentigie assicurava piena libertà al papa nell’esercizio del potere spirituale, ma sanciva la fine dello Stato pontificio: il Vaticano era concesso in usufrutto, non in proprietà. Pio IX rispose con il Non expedit, vietando ai cattolici di partecipare alla vita politica (1874). Questa proibizione rimase in vigore fino al 1919, quando Sturzo fondò il Partito popolare. Lo stato vaticano risorse nel 1929 con i Patti Lateranensi. Il governo Mussolini, come tanti governi autoritari di oggi (Erdogan e i Sunniti, Le teocrazie iraniana e saudita, Putin e la Chiesa ortodossa, Trump e i Protestanti bianchi, Orban e la Chiesa cattolica ecc.), faceva larghe concessioni di beni comuni, per accaparrarsi il consenso delle gerarchie. Vi furono però continue sopraffazioni dei fascisti nei riguardi delle organizzazioni di base dei fedeli.
Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, sembra essere venuto il momento della condivisione di obiettivi comuni di pace e di amicizia, tra persone di diverse fedi e posizioni politiche. Non lasciamoci sopraffare dalle nuove istanze autoritarie che vogliono dividerci per dominarci: Non prevalebunt.