“L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena l’avrai davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continua a cercare finché non lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato. Sii folle. (Steve Jobs).
Lisa lavora in una rivendita di pane. Tutte le mattine accoglie i clienti con un sorriso. Non solleva le palpebre alle richieste “a ruota” dei clienti.
Li saluta con un cortese “arrivederci e grazie”.
Claudia lavora accanto a Lisa. Risponde meccanicamente alle richieste delle persone che ha di fronte, evita il loro sguardo, non sorride. Sembra voler comunicare loro “Sono qui, davanti a te, ma vorrei essere da un’altra parte; sono obbligata dalla necessità di uno stipendio”.
Stessa presenza oraria per entrambe, stesso corrispettivo economico: questo è quello che le accomuna.
Cosa le distingue? La motivazione.
La prima, nell’attività che svolge, trova gli elementi giusti che possono soddisfare i bisogni personali di riconoscimento, identità e socievolezza, ma soprattutto un ambiente che riesce a valorizzare le sue potenzialità.
La seconda, probabilmente, vede represse queste sue capacità e non ritiene valga la pena impegnarsi.
Possiamo dire quindi che la motivazione non necessariamente è legata alla remunerazione o agli incentivi economici, ma spesso è collegata al “senso” di soddisfazione che proviamo in un determinato contesto. Un “senso” che a volte nasce in noi, altre volte è la “spinta” emotiva o emozionale che ci danno gli altri.
Il lavoro occupa almeno 1/3 del nostro tempo giornaliero, come si fa a non pensare che non possa essere espressione di noi stessi?
La spinta motivazionale porta a non limitare il quotidiano al “countdown” alla pensione, all’attesa delle ferie quale occasione di puro allontanamento dal luogo di lavoro.
Il dipendente motivato si ammala meno e sicuramente, qualora questo dovesse accadere, metterebbe in atto tutte le strategie per favorire un veloce ritorno al lavoro (nel caso si trattasse di una malattia che lo consenta, naturalmente).
Le persone demotivate si sentono sopraffatte, scoraggiate, inutili.
Ha senso scrivere di motivazione e soprattutto cercarla nel lavoro in un mondo dove le difficoltà a trovarlo e la facilità con la quale si perde sono inversamente proporzionali?
Si. La motivazione nasce innanzitutto dal lavoratore, ma anche dall’impresa, dalla “capacità” di fare impresa in questo campo.
“Sentirsi apprezzati fa meraviglie e cambia il nostro modo di agire. Ci permette di assaporare il senso di un potere tutto nostro. Che ci sentiamo o meno valorizzati e rispettati dai nostri pari o dalle aziende per cui lavoriamo, ci riempie di autostima. Adesso è considerato fuori moda, ma una volta si poteva godere di una “gestione degli affari cortese”, dove il profitto era sì l’obiettivo finale, ma non l’unico” Danny Wallace – La legge del cafone – u.e.f. settembre 2019.
Valorizzare le potenzialità del dipendente a conquistare la mente determinata è una capacità non necessariamente presente in un dirigente.
Riuscire a creare una squadra dove le persone si fidano l’una dell’altra (la fiducia è il collante che tiene unite le grandi squadre) è una grande sfida.
Per un dipendente è fondamentale lavorare in un ambiente leale, coerente, dove le progressioni di carriera sono chiare, basate sulle effettive capacità delle persone, sul loro curriculum, sui titoli. Questo è un terreno fertile per prevenire gli stati di demotivazione: lo fa sentire utile e soprattutto soddisfatto.
I lavoratori che rilevano una lealtà e una coerenza di azioni che nascono da idee, non slegate da premesse annunciate magari durante interminabili riunioni sterili che portano via tempo alla vita, saranno alleati della propria azienda, avranno un senso di appartenenza.
Spesso questo non accade. Chi dovrebbe promuoverlo non sempre ce la fa.
Quando chi dovrebbe prevenire il senso di frustrazione e favorire la promozione del benessere organizzativo, gestendo le risorse umane, fa esattamente il contrario, cosa possiamo fare se non ci è consentito abbandonare il lavoro?
Dobbiamo trovare tutta la forza in noi stessi e cercare parallelamente una attività che ci appassioni per incanalare tutta la nostra rabbia o la nostra desolazione.
La motivazione al lavoro è una giornata di sole, tiepida, profumata, luminosa … una melodia fischiettante, allegra, armoniosa.
La demotivazione è una lancia spuntata, un orologio senza lancette, un’auto senza marce, una canzone stonata.
Oggi, all’interno delle grandi aziende pubbliche e private, vengono promosse le indagini sul clima organizzativo per valutare la relazione tra il personale e l’Azienda stessa.
Per il dipendente spesso è l’occasione per lanciare tutti i sassi del proprio senso d’impotenza nel cambiare le cose, per l’azienda il pretesto per fingere un’attenta lettura di tale sentimento.