La scuola media nella quale insegno, situata in provincia di Bologna, è ben gestita e all’avanguardia a livello di dotazione tecnologica e informatica, pertanto è stata tra i primissimi istituti ad attivare la DAD (Didattica a distanza): già dall’inizio della prima settimana di chiusura abbiamo preso contatti con alunni e famiglie inviando materiali didattici tramite registro elettronico e classroom e all’inizio della terza settimana abbiamo iniziato le lezioni in videoconferenza tramite Meet. Naturalmente, seppure la situazione sanitaria si è presentata fin da subito di estrema gravità, nessuno poteva sapere quando e se la scuola sarebbe potuta ricominciare, quindi l’obiettivo primario è stato quello di continuare ad avere una consuetudine con i nostri ragazzi, creando una parvenza di quotidianità e di normalità, perché la fascia d’età più penalizzata dal lockdown è stata sicuramente quella degli adolescenti, che non avevano la motivazione indispensabile per uscire, costituita dall’andare al lavoro o a fare la spesa, ma che sono sufficientemente maturi per essersi resi conto di quanto fosse diventato allucinante il mondo che ci circondava.
È stata stranissima ma bellissima la prima volta che ho rivisto i miei alunni di 12 – 15 anni, e con soddisfazione ho constatato quanto anche loro fossero contenti di rivedere i compagni (ovvio!) e (addirittura!) anche gli insegnanti. Abbiamo parlato molto dei loro stati d’animo, delle loro emozioni, di come trascorrevano quei giorni che apparivano sospesi in una sorta di limbo: era tangibile il bisogno che avevano di esprimersi e di ritrovare le relazioni sociali che erano state così di netto troncate. Abbiamo ripreso anche a scherzare (mi è sempre piaciuto cercare di realizzare con i ragazzi un rapporto armonioso nel quale qualche battuta allegra faccia da contrappunto alla pesantezza della grammatica o alla complessità della storia). A volte alcuni alunni mi hanno chiesto di scambiare quattro chiacchiere in privato al termine delle lezioni, altre volte al termine delle interrogazioni, che facevo al pomeriggio a gruppi di quattro o cinque alunni, ci siamo soffermati a chiacchierare o a “giocare” installando estensioni di Meet. Alcuni colleghi si sono inventati cose molto carine, come ad esempio il “pigiama party letterario” in collegamento alle 21 una volta alla settimana.
Fin qui tutto sembra quasi paradisiaco ma…
Quanti problemi organizzativi! Abbiamo dovuto fronteggiare una situazione nuova e in tempi rapidi: non tutti avevamo le necessarie competenze informatiche, anche se devo dire che c’è stata grande disponibilità da parte dei colleghi più tecnologici ad insegnare a quelli un po’ trogloditi (che tornerebbero quasi a scrivere sulle tavolette cerate, come la sottoscritta!). Dall’alto, ad ogni ora del giorno e della notte, piovevano ordini e contrordini: il massimo del disorientamento, alla faccia anche del diritto alla disconnessione. Ossessionati ed ossessivi, e a centinaia al giorno, i messaggi nei gruppi di Whats App… I problemi di connessione, forse anche a causa dello spropositato aumento della fruizione delle app di Google… Inoltre non tutti gli alunni avevano a disposizione il pc o il tablet, specie nelle famiglie con più fratelli: la mia scuola, anche in questo si è dimostrata molto solerte, avendo messo a disposizione dei ragazzi che ne erano privi tablet e computer e in più la Dirigente ha tenuto costantemente monitorate, per mezzo di noi coordinatori di classe, la frequenza degli studenti e le criticità che di volta in volta emergevano, in modo da intervenire anche contattando i genitori. Uno dei grossi limiti della DAD, in generale, è stato quello di penalizzare le famiglie meno abbienti, per non parlare dei ragazzi meno autonomi o diversamente abili o affetti da DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), nonostante gli sportelli tenuti per loro dagli insegnanti di sostegno e dagli educatori.
Col trascorrere dei giorni senza che si intravvedesse uno sblocco di questa situazione sono subentrati altri obiettivi: pur mantenendo come primario quello di tenere agganciati i ragazzi, si è compreso come si dovesse altresì proseguire consolidando conoscenze e competenze, ma anche affrontando nuovi argomenti e, va da sé, somministrando anche verifiche sia scritte sia orali, col conseguente problema della valutazione per il quale abbiamo frequentato corsi di aggiornamento: questa infatti è stata molto complessa, in quanto basata su criteri diversi rispetto a quella riguardante la didattica in presenza.
Col trascorrere delle settimane è subentrata anche la stanchezza: i ragazzi avevano un po’ perso il senso della novità, le ore di lezione in videoconferenza, pur essendo in numero inferiore rispetto a quelle in presenza, sono state molto intense e pesanti: diversi alunni hanno continuato fino alla fine dell’anno scolastico a partecipare con impegno, aiutando anche gli insegnanti a “sostenere” la lezione, ma alcuni sono caduti in una sorta di processo di mummificazione e altri, fortunatamente pochi, hanno ceduto completamente. In videoconferenza per gli insegnanti è stato talvolta difficile rendersi bene conto se tutti comprendevano e seguivano, in quanto, nonostante ci fosse la disposizione di tenere accese le telecamere, molti facevano orecchie da mercante, adducendo un sacco di scuse, quindi occorreva frequentemente richiamarli affinché si facessero vedere, altrimenti noi prof avremmo potuto pensare che dormissero o facessero, ispirati dalla loro fervida fantasia, tutt’altro: dal giocare alla Playstation al guardare i cartoni animati, passando magari nei pressi del frigorifero per qualche goloso spuntino… (Dimenticavo: abbiamo avuto il piacere di fare conoscenza anche con pelouche, gatti, cani e fratellini piccoli!)
E, a proposito di stanchezza, anche per noi insegnanti è stato un periodo massacrante, invasivo: la DAD, impietosa, non ha dato tregua, è stata un’ossessione h 24 tra imparare tecnologie, seguire gli interventi della ministra, controllare ed inviare quantità esorbitanti di mail più volte al giorno, preparare materiale didattico informatico (power point etc.), preparare e correggere verifiche sul monitor (per la gioia degli oculisti e degli ottici e, per chi vuole, anche degli psicologi!).
È ovvio e giusto che la scuola sia stata presente (anche se purtroppo non penso dappertutto), ma la DAD è ovviamente un surrogato: ho scelto di fare l’insegnante per cercare di trasmettere l’amore per la cultura e perché, per citare Terenzio, “homo sum, humani nihil a me alienum puto” (“sono uomo, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me”) e tutto ciò non può prescindere dal parlarsi e guardarsi negli occhi senza il frapporsi di uno schermo.
(Maria Gabriella Sansalone insegna Lettere in una scuola secondaria di primo grado in provincia di Bologna. Ama la musica classica e lirica, la lettura, gli animali e trascorre l’estate al mare ai Lidi ferraresi con la famiglia e le sue due adorate cagnoline).