Il 60% del territorio italiano è rappresentato da centri minori, spesso piccolissimi. Le ragioni sono principalmente dovute alla peculiare conformazione orografica territoriale ma anche alla storia, che ha determinato – nel corso del tempo – complesse dinamiche di insediamento. C’è una grande difficoltà dei Comuni nel gestire i servizi ed il territorio: le Unioni dei Comuni, le convenzioni, le ipotesi di fusioni; ma queste hanno sempre riguardato i servizi alla persona, i servizi essenziali e sociali.
Queste forme di Unioni ancora non si sono soffermate su un tema che emerge in maniera forte, ed è lo sviluppo rurale ed agricolo, in particolare nel Basso Ferrarese e nelle Aree Interne. Tutto questo, però, oggi è cambiato ed è iniziata una nuova fase. E’ maturata una nuova consapevolezza rispetto al rapporto con la terra. Nelle aree rurali e nei borghi sparsi per l’Italia, si sono riaccesi i riflettori e le speranze. Si è ricominciato a guardare a questi luoghi come a ideali bastioni che hanno custodito la nostra storia, rappresentando di fatto – con gli attrattori ambientali, culturali e sociali unici di cui dispongono – una parte importante del nostro Patrimonio.
Molte Regioni italiane hanno cominciato a legiferare sulla cosiddetta “Banca delle Terre”. La Regione Emilia-Romagna, al momento, non ha ancora legiferato su questo tema. Sulla Banca delle Terre, il legislatore nazionale è intervenuto due volte: una prima volta, nel 2016, per cercare una definizione, e una seconda volta, nel 2017, per le Regioni del Mezzogiorno. All’interno di questi interventi nazionali si sono inserite le Regioni a disciplinare cosa si intende e come vada gestito il concetto di Banca delle Terre.
La Banca delle Terre, molto semplicemente, è un grande inventario di terreni pubblici. Ad esempio, dei Comuni o delle vecchie Province, ma riguarda anche le infrastrutture, quali sono i fabbricati rurali abbandonati, in disuso, pericolanti, alcuni dei quali hanno anche un pregio artistico, culturale, storico, per la loro collocazione in contesti che hanno una cultura e una storia di rilievo, e che, a causa del passare del tempo, dell’abbandono dei territori e del ruolo sempre meno incisivo dell’agricoltura, hanno visto una fase di decadimento.
La prima Regione in Italia, e anche in Europa, che ha capito la potenzialità di questo progetto è stata la Toscana. Altro esempio è la Regione Veneto. Il ruolo dei Comuni è fondamentale, ma non è possibile scaricare sui Comuni tutte le aspettative dei cittadini. C’è bisogno di un servizio di supporto, di stimolo e di promozione da parte delle Regioni.
Il Progetto, che sta alla base, è quello di creare nuova occupazione, soprattutto per l’imprenditoria giovanile, di predisporre uno sviluppo dei territori con un’economia agricola sostenibile, una nuova forma di green economy. Per fare qualche esempio, i fabbricati rurali in disuso possono essere recuperati anche per attività di tipo ricettivo, come gli agriturismi, oppure per costituire musei agricoli e/o luoghi di associazione.
Se pensiamo al Basso ferrarese c’è il tema del Delta e, quindi, del turismo; in particolare il turismo lento si sta diffondendo, perché vivere nelle città è complicato, per cui si cercano momenti di benessere fisico, psicofisico e sociale, ritagliandosi periodi di soggiorno in queste zone, con ritmi completamente diversi.
La parola d’ordine è rigenerazione del territorio attraverso un processo di cambiamento che favorisca crescita sociale, culturale ed economica. Vanno promossi i processi partecipativi, i ruoli e le competenze del terzo settore, adottando approcci intersettoriali e sviluppando interazioni proficue tra aree interne e aree urbane. Vanno riutilizzati i manufatti esistenti, i quali non comportino ulteriore consumo di suolo.
Nell’epoca della grave crisi economico e sanitaria del Covid, occorre ripartire dalle Aree interne, perché sono territori ricchi di risorse culturali, naturali, sociali, di capitale umano di idee e di esperienze, la cui centralità produttiva degli anni del Primo dopoguerra ha lasciato il posto alla subalternità verso i centri urbani. Hanno subito un progressivo abbandono per l’imporsi di modelli culturali alternativi e, più recentemente, per una difficoltà crescente di accesso ai servizi. Intervenire a supporto delle aree interne significa alzare il volume rispetto ai bisogni di questi territori e accendere i riflettori su quanto avviene – anche in modo spontaneo – in queste aree. Significa puntare su uno sviluppo locale sostenibile come motore di rilancio per tutto il Paese. In questo senso le aree più “marginali” diventano un luogo di sperimentazione innovativa. Inoltre, si rileva un’interessante convergenza tra le politiche nazionali, in primis la Strategia Nazionale per le Aree Interne (Snai), e i fenomeni individuali, e spontanei, di ritorno all’agricoltura.
Queste esperienze vanno inserite nella grande categoria degli strumenti di “cattura del valore”; ossia come recuperare valore dai territori. Su questo tema, l’ANCI si sta interrogando da ormai una decina d’anni. Sono studi che partono dall’Europa del Nord, ma che, sempre più, si stanno affermando anche in Italia.
Come recuperiamo il valore dei territori? E’ vero che i Comuni hanno un grande bisogno di risorse, ma le risorse dei Comuni non possono venire unicamente dalle imposizioni fiscali e dalle forme di tassazione, che sono temi delicatissimi e molto impopolari. Inserire la Banca della Terra nelle nuove politiche di sviluppo fondiario porta valore al territorio, perché si crea nuova occupazione. Vengono recuperati, con nuovi strumenti tecnologici, strutture che erano in disuso, si creano percorsi culturali, anche per le scuole, di formazione sociale e di inserimento lavorativo con forme di apprendistato e alternanza scuola-lavoro. Gli strumenti sono moltissimi e sono quelli che l’economia circolare e la Green economy possono mettere a disposizione.
La sfida dei prossimi anni è quella di fornire strumenti, idee e percorsi per incrementare questo settore, soprattutto nel Basso ferrarese, che si caratterizza per la grande estensione terriera e per la presenza di fabbricati che possono essere recuperati in un nuovo percorso culturale e di sviluppo economico.
La ratio di fondo di questo progetto è quello della frammentazione del territorio: abbiamo territori troppo frammentati, anche dal punto di vista amministrativo. Le Unioni dei Comuni, anche nel territorio ferrarese, fanno fatica a funzionare; ci sono difficoltà politiche ma anche di gestione tecnico-amministrative, specialmente per contesti a prevalente vocazione agricola che necessitano di nuove forme di sviluppo. Le Unioni di Comuni, che sono pensate soprattutto per i servizi alla persona, devono essere reimpostate e rivisitate proprio dal punto di vista dello sviluppo economico. Quindi, non solo servizi ma sviluppo delle potenzialità agricole; una nuova politica fondiaria. Se pensiamo al Basso ferrarese occorre rivedere la valorizzazione del patrimonio e dell’identità culturale; la prevenzione del rischio idrogeologico; la promozione di attività di educazione/formazione e di contenuti innovativi di carattere scientifico e tecnologico; l’accoglienza e l’inserimento sociale/lavorativo dei migranti e dei nuovi residenti; la comunicazione delle risorse e delle potenzialità del territorio.
Collegata a questa visione, per il Basso ferrarese, è l’idea di aprire la comunità locale a giovani e migranti e di sviluppare nuovi servizi che favoriscano il ripopolamento rurale e la conciliazione lavoro-famiglie e, quindi, una maggiore occupazione femminile, nonché la riattivazione di luoghi che rafforzi il processo di identità culturale collettiva. Da un lato, servizi di prossimità agli abitanti gestiti in rete attraverso cooperative sociali e azioni di valorizzazione di prodotti locali, dall’altro, efficienza amministrativa per attrarre nuovi investitori o accoglienza specializzata per target sociali fragili provenienti anche da altri territori.
Per leggere lo sviluppo locale non possiamo guardare solo ad aspetti come il PIL pro capite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma bisogna guardare a complessi aspetti sociali e politici che si sviluppano sul territorio e determinano vantaggi competitivi che il solo mercato non potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione tra attori e la creazione di reti di attori stabili nel tempo, va aumentata la capacità di visione e di azione dei fini da perseguire. E se la città è stata sempre il luogo delle opportunità, della ricchezza, degli incontri, e del progresso, la comunità è, invece, il luogo del comunitario, ossia dello stare insieme, del riconoscersi a vicenda nella dimensione dell’appartenenza comune, del rapporto di reciproca assistenza, solidarietà e affidabilità. Alcuni tratti comunitari, come identità, fiducia, reciprocità, solidarietà spontanea, sono facilmente declinabili in senso territoriale.
La rivalutazione del locale è un campo di studi e di ricerche molto nutrito. La prospettiva territorialista tende a riportare in equilibrio il rapporto uomo-risorse, e a trasformare in coscienza politica e sociale la conoscenza delle risorse endogene e dei patrimoni territoriali, in direzione di una coscienza di luogo e di “un nuovo sentire dei luoghi”.
A partire dalle loro specificità, assunte come risorse, le aree interne non vanno più considerate come zone svantaggiate geograficamente, economicamente e socialmente, ma come aree dotate di un proprio potenziale rispetto alle politiche di sviluppo economico e coesione sociale. Il territorio costituisce una condizione di produzione e riproduzione della vita che è valore e patrimonio, che implica elementi materiali e immateriali, che è rappresentato da un cuore pulsante, ossia la polis.
I piccoli borghi devono costituire una scelta strategica dell’Italia, e vanno considerati come obiettivi di rilancio socio-economico, valido contributo alla ripresa del Paese nel suo complesso. In un’ottica tesa alla “territorializzazione” delle politiche, verso una politica meno astratta e più rivolta ai “luoghi”, vanno indicati alcuni passaggi ineludibili sui quali appare possibile muoversi per una rinascita delle Aree interne, come, ad esempio, la tutela del territorio e la sicurezza degli abitanti; la diversità naturale e culturale, e il policentrismo, aprendo all’esterno; il rilancio del lavoro attraverso l’uso di risorse potenziali finora male utilizzate.
Bisogna affidarsi al protagonismo dei cittadini e della politica locale, fucina di risposte, dimostrazione che gli abitanti delle zone interne possiedono, oltre ad un patrimonio straordinario di spazio, tempo, aria pulita, acque limpide, anche un quid in più, una virtuosità capace di trasformare la minaccia dell’abbandono in una straordinaria opportunità di rinascita territoriale.
( Guglielmo Bernabei è Docente a contratto Unife e socio CDS)