Questa è una breve storia di Eugenio Rabar, nato il 18 febbraio 1917 a St.Polten (Austria), città vicino a Vienna, dove i genitori, abitanti a Fiume, furono costretti a trasferirsi a seguito del trasferimento del Silurificio di Fiume, dove suo padre lavorava. Tale destinazione, lontana dal mare fu dovuta alla necessità di proteggere lo stabilimento in tempo di guerra.
Dopo la fine della prima guerra mondiale il ritorno a Fiume, le scuole elementari, il diploma di licenza complementare, diversi corsi per falegnami e il 16 febbraio 1937 viene assunto dalla fabbrica di compensati Pietro Rivolta. Il 10 luglio 1937 effettua il servizio militare in Marina, dove rimarrà ininterrottamente sino al 10 luglio 1945. Il 20 settembre 1941 si unisce in matrimonio con Stranich Irene di Pola e il 29 gennaio 1943 nasce il primogenito Flavio, che vedrà solamente dopo il congedo. Ritrova il suo posto alla fabbrica di compensati che, dopo due anni, cessa l’attività.
Con la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il contesto politico della città è profondamente cambiato a seguito dell’occupazione da parte delle truppe jugoslave. Con il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 Fiume e tutta l’Istria vennero cedute alla Jugoslavia. Le famiglie dovettero decidere se rimanere nelle loro terre o se raggiungere la madrepatria Italia. Eugenio con moglie, figlio e genitori della moglie, nel febbraio del 1947, lasciarono Fiume, mentre il fratello ed i genitori di Eugenio rimasero a Fiume: uno dei tanti dolorosi esempi di separazione delle famiglie.
All’arrivo in Italia la destinazione fu il centro raccolta profughi di Ferrara (uno dei 109 presenti in Italia). A tale scopo venne adibito il Palazzo Pendaglia, in Via Romei n. 12 (allora sede dell’Istituto Magistrale, ora dell’Istituto Alberghiero) ove la famiglia visse in un’aula scolastica con altre due famiglie, divise fra di loro da coperte stese verticalmente. Il 14 agosto 1947 nacque la figlia Neda. Con la chiusura del centro raccolta profughi, il 12 agosto 1949, la nuova destinazione furono le baracche di legno a Pontelagoscuro, località Boschino, ove erano già presenti famiglie ferraresi che, a seguito dei bombardamenti aerei, avevano avuto distrutte le loro case.
Periodo assai difficile, il lavoro non c’era e la disoccupazione colpiva insieme profughi e ferraresi. Dal 27 luglio 1949 al 23 ottobre 1951 sei periodi di breve occupazione (circa tre mesi ciascuno) per la campagna saccarifera, poi piccoli lavori saltuari, grazie anche alla sua abilità di falegname (come il restauro dei confessionali della Chiesa dei frati Cappuccini di Corso porta Po), con grandi sacrifici per tutta la famiglia. Una svolta il 28 novembre 1951 con l’assunzione alla Ditta Guffanti Cementi Armati, lavoro faticoso ma utile alla famiglia.
Un’ulteriore svolta il 13 giugno 1953 con l’assunzione alla Montecatini a tempo indeterminato. Finalmente una certezza per lui e tutta la famiglia. La destinazione al reparto UREA, lavoro a turni, in alcuni periodi anche per 12 ore al giorno. Il suo inserimento nella fabbrica non trovò difficoltà, visto il suo carattere tenace e la predisposizione ai contatti umani. Ogni giorno si recava al lavoro in bicicletta, lungo l’argine del canale Boicelli, stesso percorso per il ritorno. Saltuariamente, quando non era impegnato alla Montecatini, svolgeva alcuni piccoli lavoretti di falegname per arrotondare lo stipendio a favore della famiglia. Buoni i rapporti con i colleghi, ferraresi e veneti ed una particolare affinità con i marchigiani, trasferiti a Ferrara in seguito alla chiusura della miniera di Cabernardi (AN).
La strada Statale n. 16 divideva le baracche di legno del Boschino dalle case – costruite dalla Montecatini – dei marchigiani, con i quali Eugenio aveva amichevoli contatti. Io e mia sorella Neda ricordiamo che una sera vennero nella baracca un paio di loro con un capiente tegame di lumache in umido, fu la prima volta che assaggiammo tale pietanza e con soddisfazione.
Finalmente, nell’autunno del 1956, ci venne assegnato un appartamento INA-CASA a Ferrara, quartiere Arianuova e veramente incominciò una nuova vita. Il 30 maggio 1961 mio padre ottenne la patente di abilitazione all’impiego di gas tossici. Due avvenimenti significativi nella sua vita lavorativa: nel 1963 venne inviato in missione, per 4 mesi, in Iran a Shiraz, in una fabbrica di Urea, per coadiuvare il personale locale nella, per loro, nuova attività lavorativa e nel 1967 in missione per 6 mesi a Cairo Montenotte, in provincia di Savona, sempre in una fabbrica di concimi chimici.
Del suo permanere alla Montecatini ricordava, con piacere, l’iniziativa del regalo ai dipendenti di azioni della società. Pur nella limitatezza della donazione lo ritenne un pensiero valido e per diversi anni riscosse pure un piccolo dividendo. Un altro avvenimento ricordava volentieri: durante un ricovero all’ospedale ed una lunga convalescenza, con conseguente restringimento del salario, ricevette una consistente spesa alimentare a supporto della famiglia. Poi con i cambiamenti dei vertici aziendali le azioni persero ogni valore e si sentì dire “le tenga per ricordo”.
Pur nella piena integrazione nella società ferrarese non dimenticò mai i luoghi nativi e chi dei Rabar era rimasto a Fiume. Nel 1947 morì il fratello Ludwig, lasciando moglie e figlio, poi nel 1952 la morte del padre. Grazie all’attività del dopolavoro, in occasione di una gita organizzata in Istria e Fiume, rivide per nemmeno un’ora, la mamma Jelka, con grande commozione per entrambi. Rivide poi la mamma a Ferrara nel 1960, avendo la stessa ottennuto un visto turistico di 3 mesi. Anche noi conoscemmo nonna Jelka per la prima volta. Successivamente tutta la famiglia la rivide a Fiume, per l’allentarsi delle tensioni fra Italia e Jugoslavia.
Nel frattempo cessò pure il marchio Montecatini e le vicende aziendali portarono alla chiusura del reparto Urea con abbattimento della caratteristica alta torre che lo contraddistingueva. Gli addetti vennero trasferiti ad altri reparti ed Eugenio passò gli ultimi anni al reparto Azoto. Ricordiamo che quando faceva il turno pomeridiano, dalle 14,00 alle 22,00, spesso lo si andava a prendere in macchina: si aspettava, fuori dai cancelli, che arrivasse in trenino interno con i lavoratori a fine turno. Nei nostri ricordi anche l’attività del dopolavoro, con cinema e spettacoli per i bambini e pure le prime stecche di plastica , materia appena ideata dal Prof. Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, che destavano molta curiosità.
Il 28 febbraio 1977 ultimo giorno di lavoro e la sospirata pensione. Con i compagni di lavoro una bella cena al ristorante con lettura finale di una deliziosa e toccante poesia, scritta da uno di loro, che così si concludeva: In questa sala c’è molta allegria, Viva Eugenio e compagnia.
Poi per prima cosa un bel soggiorno, insieme alla moglie Irene, a Fiume ed il ritorno a Ferrara per un meritato riposo. Purtroppo a soli 64 anni, l’11 dicembre 1981, a seguito di una inesorabile malattia, Eugenio ci lasciava, nel nostro grande dolore e nel suo bel ricordo.
Flavio e Neda Rabar