Ancora oggi conserviamo un’idea della PRODUZIONE come di un qualcosa costituito da un insieme di operazioni unitarie collegate tra loro in una vera e propria catena di montaggio ante litteram: inizialmente c’è l’ IDEA di quello che si vuole realizzare, subito dopo la MATERIA con la quale intendiamo realizzarla, dopo di che si passa al momento in cui il materiale assume quella data forma e al controllo della qualità di quanto si discosti il prodotto dal pensato. Qui il senso di processo è di tipo trasversale: idea e materia, materiale e forma, informazione e formazione, numero e qualità si fronteggiano in una raccolta di fermo immagini lungo la “catena di montaggio”.
Al termine della produzione diciamo di avere il nostro PRODOTTO: una pietra è diventata un’ascia, l’argilla un vaso, il metallo fuso una spada, il petrolio plastica. L’ (IN) FORMAZIONE il lavoratore.
L’ascia, il vaso, la spada, la plastica, il “lavoratore” sono esempi di quello che gli studiosi chiamano cultura materiale, una espressione che inquadra perfettamente una concezione della produzione come unificazione di una materia prima naturale con una tradizione culturale. Per usare le parole dell’archeologo Julian Thomas: «la cultura materiale rappresenta allo stesso tempo una idea che è stata resa materiale e una sostanza naturale che è stata resa culturale».
La plastica è un esempio paradigmatico di cultura materiale così intesa. Ma lo è anche, strano ma vero, il lavoratore, estremizzando (ce ne scusiamo) i concetti di materia prima umana e cultura aziendale.
E da un po’ però che si è fatto strada un altro modo di intendere la PRODUZIONE come vero e proprio PROCESSO DI CRESCITA.
In questo caso rispetto alla concezione precedente il lavoratore non resta in disparte ma può intervenire nei processi materiali che sono già in atto e che danno vita alle forme della realtà intorno a lui unendo la propria spinta alle forze ed energie già in gioco.
Con le parole dell’antropologo Tim Ingold potremmo esemplificare meglio questo aspetto: «…la differenza tra una statua di marmo e una formazione rocciosa come una stalagmite , non è che l’una è un ARTEFATTO E L’ALTRA NO. La differenza sta solo in questo: a un certo punto nel processo formativo di questo pezzo di marmo, dapprima un cavatore è comparso sulla scena e lo ha strappato dalla parete rocciosa con molta forza e con l’ausilio di certi strumenti (che a loro volta si sono raffinati nel tempo); in seguito uno scultore si è messo a lavorare con uno scalpello al fine di far emergere una forma che, lo scultore direbbe, si celava all’interno. Ma così come ogni colpo di scalpello contribuisce alla forma emergente della statua, allo stesso modo ogni goccia di soluzione ipersatura che cade dal soffitto della grotta contribuisce alla forma della stalagmite…». Continuando il ragionamento quando la statua, mettiamo il David di Michelangelo, comincerà ad essere erosa dalla pioggia e dall’inquinamento, il processo di generazione della forma continuerà e stavolta l’intervento del restauratore varrà a frenare il processo di degenerazione e, addirittura, l’intervento di architetti , scienziati e installatori predisporranno un’area espositiva per preservare più a lungo l’opera per quelli che verranno dopo di noi.
Riferendoci ancora all’esempio paradigmatico della plastica, se continuiamo a interpretarla come il prodotto di un processo trasversale allora, ineluttabilmente, quel materiale oggi degradato a scarto ci fronteggerà ( e ci schiaccerà) come un emblematico problema ambientale in un fermo immagine drammatico. Se però la plastica e le sue forme fanno parte di un processo di crescita continuo allora, anche in questo caso, il “restauratore” interverrà come materiale attivo tra organismi attivi, con nuove idee, interventi adeguati e strategie responsabili.
Il processo produttivo così concepito è definito da Ingold LONGITUDINALE e di fatto è una corrispondenza tra forze e materiali anziché una trasposizione trasversale tra idea e prodotto.
Questo modo di pensare-produrre si consegna automaticamente all’ idea di circolarità e, più sottilmente, di responsabilità perché se (e come) gli organismi crescono, altrettanto faranno gli artefatti e viceversa.
In questa nuova prospettiva anche se l’artefice ha in mente una forma , non è questa forma a creare l’opera finale ma è il coinvolgimento con i materiali a farlo: la plastica dipende dalle cose che dipendono da lei, l’uomo dipende dalle cose che dipendono da lui.
Questo nuovo punto di vista non solo permetterebbe di inquadrare meglio la “produzione” di un virus come COVID- 19, evitando quegli oziosi discorsi tra naturale e artificiale, ma potrebbe addirittura rivoluzionare lo stesso rapporto tra pensiero e produzione. Di sicuro riposiziona il rapporto tra informazione e formazione che, in una sua intrinseca dimensione circolare e continua, potremmo fondere in una parola-formula evocativa: IN+FORM+AZIONE.
Linee guida per il rilancio di un Centro Ricerche all’interno del Polo Chimico Industriale di Ferrara
Il mese scorso con il numero delle Scienze è stata allegata la traduzione del Manifesto per la rinascita di una nazione di Vannevar Bush che fu il consulente scientifico del Presidente Roosvelt.
Bush, per intenderci, è stato il padre del progetto Manhattan ma, per certi versi, anche l’ideatore del new deal roosveltiano.
In sole 70 pagine Bush sottolinea i vantaggi economici e le ricadute positive della ricerca scientifica, chiedendo di finanziare la ricerca fondamentale, di selezionare le future generazioni di ricercatori e di diversificare la ricerca il più possibile. Diciamo che se oggi abbiamo plastica, microelettronica, digitale, telecomunicazione e aerospazio lo dobbiamo a questa lungimirante idea (in assoluto una prima per lo Stato americano) di finanziare pubblicamente la ricerca (libera) e di sostenerla con una informazione continua: un virtuosissimo rapporto tra accademia e industria.
Quando pochi giorni fa è partita la Crew Dragon di Space X, l’azienda di Elon Musk (inizialmente foraggiata da Obama, quindi dallo Stato americano), abbiamo avuto ancora un esempio e una ricaduta di questa impostazione: una lezione straordinariamente attuale soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo. Vorrei far notare quanta leggerezza c’era in tanta potenza: le tute degli astronauti erano di materiali sintetici, le Tesla che li hanno avvicinati alla rampa erano alleggerite da plastiche più o meno pregiate; di sicuro i tessuti non tessuti all’interno della capsula erano di materiali più o meno caricati con pacchetti di additivi autoestinguenti, e i futuri Collaborative Robot (Cobot) che parteciperanno alle prossime spedizioni su stazioni, alberghi e avamposti spaziali saranno costruiti con materiali adatti, sicuramente leggeri e funzionali. Potrei continuare con gli esempi citando , ad esempio, le macchine a guida autonoma, alimentate da celle a combustibile, etc… che intendo dire:
se oggi la plastica può recuperare un minimo di credibilità rispetto alla demonizzazione degli ultimi anni lo potrà fare solo in questo nuovo contesto circolare e futuribile (le macchine, gli strumenti e le attività del futuro avranno sempre più bisogno di una cosa: riciclaggio e leggerezza!).
Per farla breve la lettura del Manifesto di uno dei più grandi Manager della Ricerca ha ispirato una serie di considerazioni (forse troppo teoriche ma abbastanza esportabili nella pratica) e una specie di decalogo riguardante UN ipotetico e ideale Centro Ricerche all’interno del Polo Ind.le di Ferrara.
1 – Le Aziende hanno bisogno di innovazione e dunque di IN+FORM+AZIONE costante.
L’innovazione è necessaria in alcuni settori strategici: culturale; sanitario; economico.
È del tutto evidente che la politica ( le sue scelte e strategie) è un epifenomeno culturale e dunque l’ambito sul quale radicare le future scelte per l’ambiente e per il turismo dovrà essere eminentemente culturale. L’innovazione stessa delle aziende si gioverà del rilancio di attività scolastiche e accademiche votate alla In-Forma-Azione: Formare Persone in grado di Informarsi e Agire. Esperienze pioneristiche in tale direzione sono state in passato già sperimentate (p.es. CAT, MasteM learning by doing). In questa ottica pensare ad una ‘area espositiva- museale nella quale ospitare i materiali che hanno, per così dire, scandito la Civiltà umana,(p.es. pietra, bronzo, rame,…) non potrebbe che convergere verso le sale con oggetti di plastica per i più svariati usi ( da quelli più quotidiani a quelli industriali e artistici, per es. paraurti, sedie Kartell, lampade Philip Stark,…)
2 – Dobbiamo renderci capaci di (ri)modulare le specializzazione produttive delle Aziende o , per lo meno, diversificarle nell’ambito di una idea di produzione longitudinale.
In una idea di produzione longitudinale l’In-Forma- Azione continua garantisce la sedimentazione di conoscenza, la tenuta della curiosità e la formazione di competenze trasversali alle produzioni aziendali (p.es. un centro di eccellenza sulla caratterizzazione dei materiali sintetici prodotti nel Polo industriale , ma anche laboratori dove effettuare stress testing sui manufatti: se questo fosse stato già approntato qui a Ferrara si sarebbero potute proto-tipizzare ed effettuare tests su mascherine in PP tristrato, per esempio).
Le aziende hanno un loro core business che inevitabilmente produce materiali di scarto solitamente conferiti all’esterno con evidenti costi di smaltimento. La produzione longitudinale impone non soltanto il design adatto del prodotto onde diminuire il suo impatto ambientale e il suo eventuale riuso e riciclo (meccanico e/o chimico) ma anche di organizzare filiere alternative sugli scarti (p.es. scarti dell’impianto catalizzatori, i cosiddetti fanghi, per la possibile produzione di biossido di Titanio).
3 – La Scienza, la Tecnologia e l’IN+FORM+AZIONE sono le leve necessarie per il cambiamento (la diversificazione) della specializzazione produttiva.
Questo tipo di strategia consentirebbe di accogliere e seguire (anche se solo da un punto di vista analitico e di controllo qualità) nuove e possibili produzioni che non hanno mai trovato spazio nell’area industriale di Ferrara perché considerate troppo alternative o disomogenee al “proprio saper fare” trasversale.
4 – La storia meno recente ha dimostrato che un Centro Ricerche basato sulla Scienza assolve meglio questo compito.
5 – Per lo sviluppo delle Aziende occorre un flusso costante e sostanziale di nuova conoscenza scientifica all’interno di un gioco di squadra e relazioni industriali-accademiche.
È obbligatorio in un contesto circolare ridefinire e ridisegnare corsi di laurea breve e magistrale all’insegna degli interessi territoriali e delle insediate all’interno del Polo Industriale. L’esempio del Corso di laurea breve in Chimica della ceramica di Faenza è emblematico.
6 – L’importanza, decisiva, della scienza di base e del contesto.
La nanotecnologia, la automazione e il trattamento dei dati saranno i binari sui quali si muoveranno i vagoni della ricerca futura.
7 – Un’Azienda leader ha il dovere di intrecciare rapporti con le Università e il Mercato e rappresentare il perno di questi rapporti.
In Himont, la crescita del PP in termini di applicazioni e di trasformazione è avvenuta grazie alla crescita dei propri clienti in un rapporto di sviluppo applicativo e di lungimirante azione di intelligence relativa all’ intermaterial replacement: la conoscenza dei materiali e del loro comportamento in trasformazione e post produzione è di per se una produzione di tipo longitudinale. Siamo stati “accecati” da tempo nelle nostre competenze e non siamo stati in grado di studiare i nuovi materiali che si sono affacciati sul mercato né per tentare di integrarli ai nostri, né per evidenziarne i reali limiti di utilizzo e problematiche di smaltimento.
8 – L’industria privata deve poter accedere a un finanziamento pubblico rivolto alla scienza e alla IN+FORM +AZIONE.
Ai cosiddetti Fondi Impresa dovrebbero affiancarsi dei veri e propri cospicui fondi statali per la ricerca Accademico-Industriale favorendo la creazione di partnerhips miste e di significativo spessore tecnico-scientifico. In-Forma-Azione prevedrebbe il finanziamento di Borse e Contratti in campo accademico e Indiustriale e scambio continuo di Docenze/Esperienze Formative di personale transitante da Accademia a Industria e viceversa.
9 – Lo sviluppo tecnologico deve essere tutto a carico dell’Azienda.
10 – Aumentare le “risorse” scientifiche e tecniche attraverso quelle umane.
Nell’ambito di un approccio di produzione longitudinale: lo studente, il tecnico, il lavoratore non sarebbero visti come prodotti finiti interfacciati secondo la logica tradizionale ma i veri e propri incubatori e catalizzatori della circolarità e della innovazione.
Articolo di Giuseppe Ferrara, NP-UO (Nuovi Processi e Operazioni Unitarie), Centro Ricerche “G.Natta” Basell Poliolefine Italia-Ferrara.