Nel pomeriggio del 9 maggio, presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara si è svolto l’ultimo incontro del ciclo dedicato a “La Buona Economia Europea” organizzato dalla sezione MFE di Ferrara e coordinato dal Prof. Francesco Badia. Ha condotto il seminario il dott. Andrea Gandini che oltre a trattare dell’argomento relativo al “Mercato Comune Europeo” ha parlato anche del “sovranismo” e delle proposte per riformare l’Europa.
“Il mercato unico”
La partecipazione ad un mercato unico più grande, senza barriere tariffarie ed amministrative, caratterizzato da migliori standard di qualità ed ambientali, ha sempre favorito la crescita dei singoli Paesi. Ciò è avvenuto negli Usa ma anche in Europa dove, proprio la creazione nel 1957, del primo mercato unico del carbone e dell’acciaio ha dato un’enorme impulso alla eccezionale crescita avutasi nei singoli Paesi Europei nei primi 30 anni del secondo dopoguerra. Crescita che si è coniugata con maggiore eguaglianza e creazione del welfare e tutele sociali ancora oggi sconosciute fuori Europa. Con la creazione del Mercato Unico e l’euro dal 2001 è stato ancor più rafforzata la crescita economica e la difesa dei risparmiatori. Ma ovunque è cresciuta anche l’occupazione, il Pil e il numero delle imprese (in Europa circa 10milioni). Quando si forma un mercato più grande la maggioranza delle imprese è favorita, ma si espongono le più deboli al rischio di concorrenti esterni più attrezzati. In generale però il saldo è positivo com’è avvenuto ovunque, usando, peraltro, tutele per i più deboli e proteggendo alcune produzioni (agricoltura,…). Le esperienze mostrano che un sistema federale (Usa, Svizzera, Germania) favorisce sviluppo, autonomie e libertà.
Nel mondo globalizzato di oggi è anacronistico ritornare alle monete nazionali. A parte i vantaggi prodotti dall’euro (l’Italia ha risparmiato in 18 anni 800 miliardi di minori oneri sul debito, milioni di cittadini si sono comprati casa con basse rate di mutuo, sconfitta l’inflazione,…), sono proprio le nuove sfide mondiali (clima, immigrazione, sicurezza, trattati internazionali, controllo dei capitali) che spiegano come uno “Stato” a scala Europea sia molto più efficace del potere d un piccolo Stato. Solo la voce (e il potere d’acquisto) di 500 milioni di cittadini può contrastare il Capitale (nella versione liberista), se si vogliono tutelare meglio i lavoratori, i poveri, difendere la gratuità di scuola, università, sanità, le pensioni, far pagare le imposte ai ricchi, ai giganti del web e multinazionali. Il ritorno alle Nazioni (e alle singole monete) significherebbe indebolire il Lavoro a vantaggio del Capitale e diventare succubi del capitalismo liberista.
Con l’Unione doganale del 1957, l’abolizione delle barriere tariffarie in Europa, con l’introduzione dell’euro in un mercato interno di 500 milioni di consumatori, le economie dei Paesi europei hanno beneficiato di una maggiore crescita di quella che avrebbero avuto senza Mercato Interno (anche per via della pace). L’incremento pro-capite aggiuntivo del Pil pro-capite è stimato nel 12%.
Ma se consideriamo anche l’occupazione si nota che ben 12 paesi su 28 hanno avuto una crescita dell’occupazione dal 2001 al 2018 maggiore anche di quella (pure eccezionale) degli Usa. Prima di tutti Lussemburgo e Irlanda (anche per il regime fiscale agevolato per le imprese), seguiti da Spagna, Belgio, Olanda, Ungheria, Regno Unito, Germania ecc. L’Italia non ha beneficiato in misura altrettanto significativa del Mercato Unico Europeo, ma lo deve solo a propri limiti: non ha infatti specializzato le proprie migliori produzioni (là dove avevamo dei punti di forza), come hanno invece fatto quasi tutti gli altri Paesi, cogliendo le maggiori opportunità offerte dall’avvento dell’euro; né ha saputo sfruttare a pieno i fondi strutturali messi a disposizione dall’Europa nelle aree più deboli. Come l’Italia, anche la Grecia non ha sfruttato al massimo le opportunità dell’Europa. Ma le cause di questi errori sono interne ai singoli Paesi, alle Istituzioni e a Politiche basate, più che sul perseguimento del Bene comune, sul consenso elettorale a breve termine. Pur tuttavia, nell’insieme del mercato unico, e proprio perché all’interno di un contesto di mercato forte, indirettamente anche l’Italia ne ha tratto beneficio. Oggi infatti conta circa un milione di occupati in più del 2001 e può beneficiare nel solo mercato unico europeo di circa 44 miliardi all’anno in più di merci esportate dalle proprie imprese che controbilanciano i circa 3,4 miliardi di maggiori oneri che paghiamo come Paese all’Europa. Del resto in passato quando eravamo più poveri abbiamo noi beneficiato di saldi netti, come si conviene in un condominio dove vige una regola di “fratellanza” verso i più deboli (oggi i Paesi dell’Est).
L’Europa ha oggi competenze sulle politiche monetarie (euro) e l’agricoltura, erasmus e fondi di coesione. Poche materie con un bilancio misero dell’1% del Pil (in Usa lo Stato federale gestisce il 30% del Pil). Ma là dove l’Europa è intervenuta (euro, libero scambio, circolazione di merci e persone) i vantaggi sono stati notevoli. Per tutte le altre materie oggi c’è solo l’Europa delle Nazioni, che ha prodotto ciò che non funziona. Ma, paradossalmente, è proprio questa Europa che non conta e non funziona che i sovranisti-nazionalisti vogliono. Proprio la crisi del 2008 ha mostrato che abbiamo bisogno non di un’Europa delle Nazioni ma di un’Europa Politica. Se l’Europa non aveva potere di intervenire come hanno fatto gli Usa è perché era ancora in mano alle singole Nazioni. Solo infatti dopo 5 anni dalla crisi (nel 2014) la UE si è dotata di strumenti di difesa idonei rispetto agli attacchi finanziari speculativi e rimane da completare l’unione bancaria, non c’è ancora piena applicazione della direttiva Bolkestein (libera circolazione dei servizi). Manca la riforma per il mercato dei capitali. Ma soprattutto, anche se ora l’Europa appare in uno stato di maggiore sicurezza economica e del terrorismo, mancano i passi in avanti verso un’Europa del welfare, di maggiori tutele sociali che solo l’integrazione politico-economica-fiscale può garantire.
A questo proposito Gandini ricorda l’economista Martin Wolf, secondo il quale è la qualità delle istituzioni la causa primaria che determina sviluppo ed eguaglianza. Solo con “più Europa” si potranno affrontare i prossimi problemi su scala mondiale: cambiamento climatico, sicurezza, immigrazione, trattati con Cina e Usa, lotta ai giganti del web e ai paradisi fiscali, armonizzazione fiscale. Ma così è anche per le politiche di protezione dei cittadini europei garantendo tutele minime (su povertà, disoccupazione, pensioni, salute e scuola a scala europea) su cui poi le singole Nazioni potranno arricchire i Diritti in base alle loro Risorse. Chi pensa di distribuire più Diritti senza avere Risorse è un populista che porta il proprio Paese al disastro e al debito. Infine non dimentichiamo che il modello di sviluppo Europeo è l’unico al mondo che garantisce insieme sviluppo, libertà democratiche, scuola e sanità gratuite, tutele sindacali, indipendenza di stampa e magistratura e rispetto dei diritti umani.
La questione del sovranismo-nazionalismo
Il sovranismo è cresciuto dopo la crisi 2008. Aumento della disuguaglianza, crescita di povertà e disoccupazione hanno generato paura. Chi cavalca la paura ha oggi il vento in poppa, ma le vere risposte per avere più lavoro e prosperità possono venire non dal ritorno al passato ma da una nuova Unione Europea con reale capacità politica. I programmi di austerità fino al 2014 erano ispirati dai Governi di centro-destra che controllavano la Commissione Europea ed è il Consiglio (formato dai 27 Governi) che prende le reali decisioni. Se sul fisco non si cambia è perché ci vuole l’unanimità. Tutto ciò ha favorito l’insorgere di forze politiche che fanno del richiamo alla difesa dei poteri e dei valori nazionali il loro slogan: un paradosso perché è stata proprio l’Europa delle Nazioni (inefficiente e incapace) a creare molti dei problemi sociali nel dopo crisi 2008.
I cosiddetti “sovranisti”, sfruttano oggi lo scontento della popolazione più impoverita ed arrabbiata. Dobbiamo però rammentare che dal 2014 in poi è cambiata la Commissione Europea (anche per una presenza maggiore dei partiti laburisti) e sono così cambiate (in parte) le politiche europee con gradi maggiori di flessibilità a quei Paesi (come l’Italia) che la chiedevano. Per esempio l’Italia ha potuto aumentare il proprio debito pubblico di circa 50 miliardi all’anno…ma oggi trovandosi con 250 miliardi di debito in più non possiamo certo dire di stare meglio, anzi (paghiamo 64 miliardi di oneri annui sul debito nel 2018 che diventeranno 70 nel 2019; per memoria il budget dell’intera Scuola-Università è 64 miliardi).
L’assenza di un punto di riferimento statuale sovranazionale in grado di dare sicurezza e speranza a quelle parti delle popolazioni più penalizzate, e per contro la presenza di incombenti autorità, percepite come “straniere” e non democratiche e pertanto lontane dalle necessità delle realtà locali, “armano” i sovranisti che puntano la loro leva antieuropea su tematiche particolarmente sensibili come la paura del nuovo e dell’immigrazione, contando soprattutto sulla reazione emotiva della gente. Così, l’aspetto dell’elemento identitario nazionale sembra avere il sopravvento persino rispetto all’importanza delle questioni economiche. I punti principali sui quali i sovranisti presentano la loro strategia sono:
– la difesa della sicurezza dello Stato nazionale e della cultura cristiana;
– un modello di famiglia tradizionale, cancellando i diritti conquistati ultimamente da nuclei familiari “diversi”;
– maggiore protezione per i settori deboli dell’economia messi già in crisi o minacciati dal mercato globale, ed in particolare difesa dell’agricoltura e dei suoi derivati che costituiscono le tipicità locali (su questo tema non si differenziano peraltro da altre forze politiche non-sovraniste);
– limiti alla giurisdizione europea a favore di quella nazionale;
– lotta totale all’immigrazione.
Si tratta di una enfatizzazione di aspetti che hanno una larga “presa” sull’elettorato, ma su cui (se ci fosse un confronto serio e civile) ci sarebbero spazi di convergenza. Nessuno infatti mette in discussione le radici cristiane dell’Europa, ma non si può pensare per questo di evitare di avere tra chi immigra legalmente una piccola quota di musulmani (attualmente il 4%). Si può (e si deve) difendere la famiglia tradizionale, ma non si possono negare altre forme di convivenza. Si deve evitare l’immigrazione illegale ma allora si deve organizzare una immigrazione legale, in ragione del declino demografico europeo. Il fabbisogno di immigrati, in Europa, viene calcolato in 2-3 milioni l’anno per i prossimi 20 anni. Quasi tutti ne hanno bisogno, anche Polonia e Ungheria. Per esempio Orban in Ungheria, bloccando l’immigrazione, ha dovuto ordinare un aumento delle ore di lavoro straordinario, suscitando naturalmente forti proteste tra i lavoratori ungheresi. In prospettiva una chiusura totale all’immigrazione porterà solo declino nei singoli Paesi. Si tenga presente che oggi le politiche di Immigrazione sono gestite non dall’Europa ma dalle singole Nazioni.
I sovranisti affermano di lottare per l’Europa delle Nazioni che, come sappiamo perché siamo già in una situazione europea di stampo “nazionale/confederale”, non può intervenire in politica estera, di difesa, di armonizzazione fiscale tra le imprese, sull’immigrazione, nelle trattive internazionali su clima, dazi,…
Senza Europa tutte le sue singole Nazioni sarebbero più deboli come hanno capito gli stessi inglesi e, ora, gran parte degli stessi “sovranisti” che non vogliono più uscire dall’Europa. Uscire significa alimentare nuovi conflitti e non contare più nulla nel mondo. Paradossalmente sono proprio Kurz e Orban che vogliono un esercito europeo, la Polonia invece vuole la Nato e gli Usa in funzione anti Russia. L’Europa delle “Nazioni” è, in sostanza un caos e un groviglio di contraddizioni e non potrà certo fare passi avanti nelle tutele del welfare degli Europei se si pensa che Kurz ha tagliato del 50% i sussidi ai figli dei lavoratori ungheresi che vivono in patria. Così i Paesi di Visegrad non vogliono accogliere la loro quota di rifugiati quando dovessero essere accolti dai Paesi di frontiera come Italia, Grecia e Spagna. L’Europa attuale (e delle Nazioni) sarebbe il caos…forse quello che desiderano Russia, Cina e Usa. Di certo gli interessi dei singoli “ducetti” nazionali non corrispondono con quello dei propri cittadini e lavoratori e il tempo (che è galantuomo) lo dimostrerà.
Tutto ciò chiama in causa la grande questione del Welfare che ha contraddistinto il nostro continente dal suo nascere, come unione di Stati improntata ai valori ed ai diritti della persona e all’individualizzazione, contrariamente a quanto presentato dai modelli americano e cinese. Un Welfare nell’Unione ultimamente oscurato dall’attenzione sull’economia finanziaria e sulla difesa dell’euro, mentre si è fatta largo la convinzione che la caduta del benessere in Occidente sia frutto della globalizzazione, anziché di un liberismo con poche regole, proprio poco contrastato dall’Europa attuale (delle Nazioni).
In tutta questa questione, la tradizionale contrapposizione sinistra/destra si connette a quella tra apertura/chiusura, federalismo/centralizzazione, più Europa/ritorno alle Nazioni e stabilisce i temi sui quali l’Unione Europea dovrà misurarsi per definire il suo futuro. L’Europa è, oggi, il modello di sviluppo civile migliore al mondo, una sua disgregazione porterebbe vantaggi al modello USA/Cina e potenziali conflitti (anche armati) tra i suoi stessi Paesi. L’Europa quindi non solo va difesa come Mercato Unico ma migliorata facendola diventare una vera Unione Europea Federale (quindi con ampie sfere di autonomia alle Nazioni) nell’interesse non solo dei suoi 500 milioni di abitanti ma come modello sociale per gli altri popoli. L’identità può essere “multipla”, non solo locale e nazionale ma anche europea di cui essere orgogliosi proprio per le conquiste non solo economiche ma sociali e di civiltà (diritti individuali e indipendenza di stampa e magistratura) conquistate in questi Paesi in 200 anni di lotte sociali e sindacali che devono semmai proseguire nei prossimi anni, dando una speranza a tutti gli altri popoli che vivono spesso non solo nella miseria ma nella non libertà e senza diritti umani al loro interno.