Ora che il contagio rallenta e sono altri Paesi (Usa, Spagna,…) a crescere con percentuali giornaliere (che sono quelle indicative) maggiori dell’Italia, possiamo iniziare a fare qualche prima considerazione su come la sanità italiana ha fatto fronte a questo “tsunami”. Iniziamo a dire che la nostra sanità pubblica è una delle migliori al mondo; non solo la spesa pubblica sanitaria sul PIL (6,7%) è allineata alla media UE (a differenza della Scuola-Università dove spendiamo molto meno o delle Pensioni, dove spendiamo molto di più). Certo i piccoli Paesi del Nord Europa e la Germania spendono di più ma sono anche Paesi più ricchi di noi. E poi in termini di performance (Risultati su Risorse) è allineata ai migliori. Non è un caso che molti americani anziani qui residenti non rientrano in Usa soprattutto per la nostra sanità pubblica gratuita. E’ vero che negli ultimi anni sono diminuiti i posti letto a favore di una medicina più territoriale (oggi in ospedale si va solo per malattie gravi) ed è anche vero che si sono chiusi i piccoli ospedali, in quanto è dimostrato che, a parità di spesa, c’è più inefficienza e più rischio per i malati. Sono però cresciuti dal 2010 al 2018 i posti letto di terapia intensiva. Si è inoltre dimostrato che in un mese si possono aumentare del 50% (+2.300) i posti letto in terapia intensiva con azioni di emergenza.
Posti in terapia intensiva per 100mila abitanti, 2018
Liguria 11,5. Friuli V.G. 10,5. Emilia-Romagna 10. Veneto 9,9. Toscana 9,8. Molise 9,8. Lazio 9,7. Basilicata 8,8. Lombardia 8,7. Campania 8,5. Abruzzo 8,5. Val d’Aosta 8. Umbria 7,9. Sicilia 7,8. Puglia 7,3. Calabria 7,3. Marche 7,3. Sardegna 7,3. Piemonte 6,9. Trentino 6,8
Ed è anche per questo che il nostro sistema sanitario sta reggendo a questo “stress test” che ora gli altri Paesi ci invidiano. Ma ci sono anche medici “al fronte” (13 dell’ospedale di Bergamo) che sostengono che la strategia di accogliere tutti i pazienti Covid-19 in ospedale è stata sbagliata, in quanto ciò ha portato a troppi contagi tra i sanitari (10% del totale). In effetti i contagiati ricoverati in ospedale in Lombardia sono stati il 60%, mentre solo il 20% in Veneto e il 15% nella media mondo. L’ospedale di Bergamo è diventato, proprio per la situazione di “onda/tsunami” dei contagiati, un luogo dove la carenza di protezioni (e la evidente mancanza di preparazione per un evento così eccezionale) si è trasformata in un luogo vettore di contagio. Le figure che mancano –dicono i 13 medici in un documento- non sono quindi sanitarie in senso stretto ma “esperti di salute pubblica ed epidemie”. Col senno di poi sarebbe stato meglio (più che una rapida ospedalizzazione) “un ampio sistema di sorveglianza con adeguato isolamento”. Il che evidenzia i rischi di quando le organizzazioni (incluse quelle sanitarie) sono ridotte all’osso come personale. Ci deve sempre essere nelle organizzazioni una certa “ridondanza” di personale (che ovviamente lavora anche duramente su certi fronti di innovazione) se si vuole essere efficaci-efficienti e far fronte alle varianze. Un tema che sarà (speriamo) preso in carico dai Governi potenziando la spesa della sanità pubblica, ma anche altri servizi di welfare (il problema sarà dove reperire le risorse e cosa altro tagliare).
La sanità è messa sotto stress dall’emergenza Covid-19 in regioni (Lombardia ed Emilia) che meglio sono attrezzate ed organizzate (seppure con approcci diversi: la prima con un sistema privato più esteso, la seconda a prevalenza pubblico). Anche se proprio la Lombardia presenta nella terapia intensiva posti letto sotto la media (e ancor più il Piemonte che sta diventando la seconda regione a rischio). In Lombardia c’è il problema più grave per un massimo di contagi (“onda”) e un muretto basso (posti letto): anche considerando le strutture private accreditate (molto diffuse) ci sono 4 ambulatori/laboratori pubblici ogni 100mila abitanti (il dato più basso in Italia) rispetto ad media nazionale di 5,8 ogni 100mila abitanti. La Lombardia avendo subito un’”onda-tsunami” di malati superiore al suo “muro” ha rischiato di essere travolta. Ovviamente ci sono stati errori al di fuori della sanità come per esempio la partita di calcio proprio a Milano tra Atalanta/Bergamo e Valencia il 19 febbraio (il vero paziente 1). I ricoveri medi mensili in terapia intensiva in Lombardia erano stati tra il 2013 e il 2017 circa 680 (fonte: Opendata Lombardia), mentre al 22 marzo, solo per Covid-19, erano ricoverati in totale 1.350 pazienti: significa che l’afflusso dei malati si è triplicato in questi reparti.
Dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro è proprio nei momenti critici e di “stress” che le organizzazioni apprendono nuove più efficaci ed efficienti procedure, in quanto si pongono in atto azioni nuove, procedure inedite e sfidanti il cui obiettivo è arrivare al risultato (salvare vite umane) prima possibile, a volte anche “saltando” (o semplificando) le procedure standard consuete che, peraltro, in medicina sono molto importanti (e a cui ci si richiama quando ci sono casi –conflittuali- di morti “sospette”). In questo momento la prima linea del “fronte” è combattuta proprio da questi medici e infermieri che stanno imparando sul campo e facendo un “mare di micro scoperte” di cui sarebbe importante fare tesoro (e capirne la dinamica) finita l’emergenza.
Ha cominciato per prima l’anestesista Annamaria Malara che “ha pensato l’impossibile” (cioè al virus) scoprendo il primo caso di Covid-19 in Italia al manager 38enne di Codogno e “violando il protocollo”, così come l’ha violato il medico Francesco Mojoli quando ha corso il rischio di trasferirlo in autoambulanza quando tutti dicevano che “era intrasportabile”. Ci sono medici e anestesisti che hanno ideato un doppio respiratore a Bologna che raddoppia le possibilità di cura, a Brescia un ex primario Renato Favero ha contattato Cristina Fracassi (ingegnere 38enne) e insieme hanno ideato una maschera riconvertita (ora brevettata ma open source on line per chiunque voglia copiarla senza fini di lucro) che ha salvato molti pazienti. Al S.Orsola (Bo) hanno attrezzato un nuovo padiglione di cura in sei giorni e ideato il rilevamento con tamponi per strada. Ma sono soprattutto i reparti di terapia intensiva (e chi ci lavora) che stanno scoprendo nuovi modi di lavoro e nuove procedure (che i protocolli non prevedevano), forieri domani di un modo di lavorare nuovo, diverso in cui ovviamente c’è il rispetto dei protocolli e della qualità, sapendo però che se viene troppo rispettata la qualità (rispetto al risultato) diventa un modo di “fare bene cose inutili”. Alcuni reparti si stanno dunque trasformando, sotto l’urgenza drammatica della situazione, in una sorta di “avanguardie” di una nuova organizzazione che bypassa (sotto l’urgenza di ottenere meno morti) alcune procedure consolidate che possono ostacolare o ritardare i risultati (salvare più vite possibile, attrezzare nuovi posti letto,…). Così anche gli altri reparti che seguono la “cavalleria/terapia intensiva”, cioè l’”intendenza”, sono costretti a seguire e modificare comportamenti consolidati: l’esame di stato per i medici viene così abrogato (per velocizzare le assunzioni, ora lo chiedono anche i biologi), medici specializzati degli ultimi anni sono assunti senza diplomarsi, neo laureati vengono assunti con contratti a termine per aiutare colleghi con esperienza nei punti critici. Lombardia ed Emilia diventano così i luoghi di maggior apprendimento in quanto sotto “stress”.
Si deve inoltre far fronte per esempio al problema di non trascurare gli altri malati gravi (non Covid-19) che rischiano di morire, proprio per l’attenzione ai soli Covid-19. Ciò sta portando ad una rapida immissione nel sistema sanitario di circa 10mila medici e infermieri con modalità più rapide che consentono di bypassare (come si è fatto col ponte Morandi) le procedure tradizionali come l’esame di stato. Inoltre alcune università hanno anticipato di un mese la sessione di laurea e “curvato” il percorso di studi al fine di accelerare l’assunzione al lavoro con contratti a termine di neolaureati.
Essi avranno così la possibilità di avere una formazione “accelerata” sul campo basata sulla “sperimentazione” (che integra la formazione accademica). Queste modalità richiamano il “Pil-Percorso di inserimento Lavorativo”, che da 20 anni svolge Unife (con Cds) che abbina a didattica di specializzazione, attività lavorativa presso aziende, coinvolte attivamente grazie ad un’originale ed efficace sistema fatto di seminari, colloqui aziendali per la scelta reciproca “studente-lavoratore” nell’allocazione dei giovani presso le aziende. Percorso valutato dalla Regione E.-R., Anpal, Ministero del lavoro, UE, singoli esperti di grande efficacia e di cui si potrebbe ora fare tesoro sfruttandone alcuni “principi” e le urgenze tipiche dei tempi di “guerra”.
Il primo principio riguarda la capacità dell’organizzazione sanitaria di scegliere ma anche “farsi scegliere” dai medici novizi. Una volta che le aziende sanitarie hanno individuato i neolaureati idonei per essere inseriti in certe funzioni (call centre, terapia intensiva, medicina di base, etc.) si tratta di chiedere anche ai giovani dove vorrebbero andare in modo che la scelta sia reciproca e quindi capace di sfruttare i talenti dei giovani medici ed infermieri da parte di una organizzazione che sa “adattarsi e impara ad adattarsi” anche al nuovo che avanza. In questo modo l’organizzazione sanitaria diventa più competitiva e potrebbe fare un ulteriore salto in avanti acquisendo un’ottica di “sistema nazionale”, da cui può derivare la sua massima efficacia (ed efficienza), in quanto produce “economie di scala” ed “economie di scopo” là dove si concentrano le specializzazioni. La sanità è un settore ad “asimmetria informativa” che, a differenza di altri, mette il paziente in una situazione di grande difficoltà in quanto quasi mai ha le corrette informazioni per sapere qual’è il luogo migliore dove recarsi quando ha una grave malattia. Se dunque la dimensione “locale-territoriale” può far fronte ai bisogni di base o di media gravità, per le patologie gravi ci dovrebbe essere da parte della stessa organizzazione sanitaria l’indicazione al malato dove recarsi. In assenza di ciò sono i singoli cittadini che ricorrono al “fai da te” (dalle reti di relazioni ai consigli di singoli medici). I ricchi possono essere operati nelle migliori cliniche del mondo, ma così non è per gli altri cittadini i quali dovrebbero essere indirizzati dalle stesse aziende sanitarie evitando un pericoloso “fai da te”.
L’inserimento di novizi consente inoltre ai colleghi di potersi spostare su mansioni più qualificate (lasciando ai giovani le mansioni più “povere”) e consentendo così numerosi vantaggi sia per i tutti i lavoratori che per l’azienda: aumentare di colpo la quantità di servizi, la stessa produttività individuale (in quanto ciascuno viene messo in condizioni “sfidanti”), forma sul campo i “vecchi” dipendenti che vanno ad occupare mansioni più qualificate, forma in modo accelerato gli stessi novizi di cui non possono non fare a meno i “vecchi esperti”, aumenta la flessibilità organizzativa (che è quella oggi necessaria).
La neo laureata Giulia Dreon di 25 anni, “abilitata” per decreto è una delle novizie che parteciperà al bando della regione Lombardia che cerca specialisti e medici abilitati per guardie mediche e sostituzioni (o affiancamento) di medici di base, presidio dei centralini di emergenza. Ciò vale anche per specializzandi che sono stati assunti con contratto a termine e che non hanno ancora concluso il ciclo di specializzazione. I quali potrebbero ricevere dalle loro Università dei “crediti” formativi per il lavoro svolto sul campo, in tal modo accelerando la stessa specializzazione. Si tratta infatti di inserire questi novizi nelle posizioni più “basse” della scala gerarchica e spostare in alto gli altri, secondo un modello organizzativo sperimentato in imprese industriali con ottimi risultati.
Se oggi c’è grande attenzione, sappiamo (dalla storia) quanto rapidamente si dimentica, quando si ritorna ai tempi ordinari. Facciamo tesoro delle micro scoperte verso una nuova e più efficace organizzazione e di percorsi di studi più qualificati (che usano il lavoro come acceleratore dell’apprendimento), semplifichiamo le procedure, eliminano antiche “bardature” e aumentiamo così quella produttività, che è per l’Italia il problema n. 1 degli ultimi 30 anni.
Niccolo Machiavelli (cap. VI de Il Principe) scrisse nel 1513: “Debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, nè più dubbia a riuscire, nè più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perchè l’introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene; la qual tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno le leggi in beneficio loro, parte dalla incredulità degli uomini, i quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata esperienza ferma… Di qui nacque che tutti li Profeti armati vinsono, e li disarmati rovinarono; perchè, oltre le cose dette, la natura de’ popoli è varia, ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli in quella persuasione. E però conviene essere ordinato in modo, che, quando non credono più, si possa far lor credere per forza”.