Non sappiamo com’è arrivato dalla Cina il virus. Dalla Cina si arriva nel 99% dei casi in aereo. I più importanti scali sono: Francoforte, Monaco, Heathrow (UK), Parigi, Schipol (NL) Copenaghen (DK) e poi vengono gli aeroporti italiani. Difficile pensare che il Covid-19 sia nato a Codogno (Lodi), anche se due esperti italiani hanno messo in luce il collegamento tra velocità di diffusione del virus (che dà gravi problemi respiratori) e livelli di inquinamento di PM10. Sappiamo che il virus muta (come del resto quelli dell’influenza) e quello “italiano” è diverso da quello “cinese” e da quello “tedesco” (probabilmente perché sta cercando una sua “stabilità”). Le ipotesi su come sia nato sono ormai moltissime (dai complotti al salto di specie dall’animale all’uomo), ma nessuno (tra noi) sa la verità. Non è azzardato ritenere che la crescente distruzione della natura, l’urbanizzazione, la crescita insostenibile (specie a Wuhan cresciuta in 30 anni di 100 volte) sia l’ipotesi più attendibile. Poi è probabile che singoli Paesi cercheranno di approfittarne (o ne ha già approfittato come i Cinesi che hanno ricomprato 2 miliardi di azioni di aziende cinesi o miste estero-cinesi svendute (incautamente) da finanziarie americane ed europee dopo il crollo del 40% degli indici azionari).
Si sa inoltre che nell’80% dei contagiati è asintomatico (non dà alcun sintomo), come del resto avviene per moltissimi altri virus che vivono tranquillamente in noi (l’erpes è presente nel 95% delle persone). Per questo potrebbe essere che il virus, scoperto in Cina a novembre fosse già presente in Italia a dicembre.
In questo momento l’Italia ha superato come morti la Cina e, a breve, seguiranno anche gli altri Paesi (dove ora si fanno i test) che vedono giorno dopo giorno salire i contagiati. L’Italia ha un tasso di mortalità che è il doppio dei Cinesi e della media mondiale, otto volte quello di Corea e Svizzera e 28 volte quello tedesco. Le ragioni sono per ora ignote. Una prima ipotesi è che abbiamo molti anziani (ma anche gli altri Paesi europei o Usa hanno tassi di vecchiaia simili) e ciò non giustifica queste differenze. Una seconda ragione (molto più attendibile) è la classificazione diversa che avviene nei Paesi sulle morti. Mancando una classificazione standard europea, ciascun Paese usa il suo metodo e può essere che in Italia ci sia un metodo di classificazione che aumenta gli anziani che muoiono per Covid-19, mentre altrove sono classificati per morti per varie patologie (con anche il Covid-19). Per memoria (vedi tabella) in Germania il tasso di mortalità da Covid-19 è 0,3%, in Svizzera e Corea del Sud è del 1%; in Italia dell’8,6%. Come dice il dott. Pierfranceschi che dirige la medicina interna di Cremona (ormai un Covid-Hospital) “la gran parte sono anziani con polipatologie che richiedono uno sguardo d’insieme”. Per alcuni l’infezione è l’evento finale di una situazione compromessa, ma per quasi tutti la morte è data dalla polmonite”. Poiché non c’è tempo di fare le autopsie non si può sapere se questi anziani sono morti “con” Covid-19 o “per” Covid-19.
Una terza ipotesi (che può pesare ma meno significativa) è che in Italia si fa un uso eccessivo di antibiotici, aspirine ed altri farmaci che contengono ibuprofene (froben, spiridol,…) ingeriti spesso alla prima comparsa di raffreddore o banale influenza (tanto più ora che sono farmaci “fai da te” -a banco- acquistabili senza ricetta medica) che è dimostrato favoriscono l’attecchimento del virus Covid-19 e diminuiscono le difese immunitarie, le quali notoriamente crescono se si mangia bene (frutta e verdura, biologico,…) se si fa moto, se si prende il sole (che fissa la vitamina d), se si fanno cose piacevoli e soprattutto se si evitano conflitti e depressioni. Paura, isolamento, non prendere il sole, non muoversi, etc. genera un abbassamento delle difese immunitarie, depressione anticamera di malattie come dicono l’OMS e i medici.
Altre cose che si sanno sul Covid-19 è che il 50% della popolazione infettata non presenta alcun sintomo e che la mortalità reale (da Covid-19) è circa 4% (nel mondo). Nel caso della Sars, un altro coronavirus del 2003, la mortalità era invece molto più alta: 10% sui pazienti sui solo sintomatici, cioè 5 volte maggiore. Sulla base dei dati cinesi l’81% dei contagiati non ha avuto sintomi (o pochi sintomi), il 14% ha sintomi e viene (quasi sempre) ricoverato in ospedale, infine il 5% ha sintomi gravi e finisce in terapia intensiva. I morti sono il 4%.
Come abbiamo visto in Italia abbiamo dei dati di mortalità doppi e ciò appare inspiegabile. Oltre alle spiegazioni già fornite il fenomeno di tanti anziani che muoiono si può capire meglio vedendo chi sono i soggetti a rischio che sono gli anziani over 70 e soprattutto over 80 e over 90, c’è infatti una correlazione al crescere dell’età dopo i 70 anni e col numero e gravità delle patologie pregresse. Sotto invece i 50-60 anni la mortalità è bassissima e i casi di giovani morti sono probabilmente dovuti (se ci fosse il tempo di fare una autopsia) alle polipatologie croniche pregresse a cui il virus ha dato la “spinta finale”, come fa soprattutto con gli anziani. Non è un caso che i morti siano persone anziane che avevano già patologie (2,7 la media). In sostanza è come se in una botte di acqua si aggiungesse un dito di acqua; se è piena (anziani con polipatologie croniche pre-esistenti) l’acqua esce (si muore), se si è giovani (botte vuota) o anziani senza patologie (botte mezza piena) non succede nulla. Le maggiori patologie sono quelle cardio-respiratorie o renali. Secondo Samuele Ceruti (medico ospedaliero di Medicina intensiva svizzero) i pazienti più a rischio sono quelli con cardiopatia ischemica, ipertensiva e diabete melito. L’influenza ha un tasso di mortalità inferiore a Covid-19 ma è molto più aggressiva nei soggetti sani. Il Covid-19 sembra quindi avere l’effetto (soprattutto negli anziani con polipatologie pregresse croniche) di “accelerare” la morte. Infatti se si confronta l’età media dei morti uomini per Covid-19 in Italia (79,9 anni) si nota che è prossima alla vita media attesa (80,5); per le donne l’età media di morte (ammesso che sia “per” Covid-19 e non anche “con”) è 83,4 anni a fronte di una vita attesa media di 84,8.
Se così stanno le cose sono stati fatti inizialmente alcuni errori gravi come per esempio lasciare che i parenti di malati anziani con polipatologie presso le RSA (case di riposo) continuassero a frequentare i loro cari che sono stati così infettati da parenti asintomatici creando “picchi” di malati e focolai nelle Rsa e negli ospedali. Errori che si potevano risparmiare se si fosse analizzata l’esperienza di Wuhan.
L’Italia sta viaggiando verso 8mila morti attesi (anche se non è azzardato ritenere che molti possano essere morti “con” Covid-19 e non “per” Covid-19). Se ciò fosse vero, cambierebbe moltissimo l’atmosfera in cui siamo caduti, per questo sarebbe di interesse pubblico sapere nei primi 3 mesi di quest’anno quanti sono stati i morti di influenza e di polmoniti (rispetto all’anno scorso), anche per capire la sovrapponibilità o meno di questo virus a quello dell’influenza che per molti cittadini (i giovani e sani) è molto più virulento e aggressivo di Covid-19 che colpisce invece gli anziani con polipatologie.
Le strutture sanitarie sono entrate in crisi da saturazione di posti letto in quanto siamo in presenza di un effetto di rapida crescita della malattia (una sorta di “onda”) che supera il “muro” (posti letto in terapia intensiva) eretto per questa “onda” (che in genere con l’influenza e le polmoniti si distribuisce durante più mesi). Il “muro” per fermare l’”onda” è determinato dai posti letto in terapia intensiva che in Italia sono 3,5 ogni mille abitanti a fronte degli 8 in Germania, 7 in Francia, 6,5 in Svizzera. Poiché la mortalità negli altri Paesi è molto minore di quella italiana (a mio avviso è anche un fatto di classificazione) e il “muro” dei posti letto è più alto (circa il doppio) è probabile che negli altri Paesi la capacità di cura nei reparti di terapia intensiva sia sufficiente. In Italia inoltre i posti letto di terapia intensiva si sono saturati in quanto erano già in gran parte saturati da altre patologie tipiche della stagione invernale. Si consideri infatti che in Italia muoiono ogni giorno 1.780 persone (650mila decessi annuali, di cui 8mila per influenza, 13mila per polmoniti, 49mila per infezioni contratte in ospedale, 15mila per reazioni avverse agli antibiotici per citare le cause più prossime al Covid-19; poi ci sono 170mila per tumore, 220mila per cardiopatie,…).
Il problema è che quest’anno l”onda” di malati che necessitano di cure in terapia intensiva è più alta del “muro” dei posti letto a disposizione, anche perché in passato influenza e polmoniti si distribuivano su un arco di mesi più ampio. La situazione è quindi grave ma i dati andrebbero contestualizzati in modo oggettivo anche per mitigare le paure e l’isteria collettiva che si va determinando con cittadini che diventano sceriffi in proprio.
L’Italia ha scelto la strategia del “lockdown” (chiusura totale) ma arriverà un momento (metà aprile?) in cui i contagi dovrebbero essere quasi a zero e si potrà (o meglio sarà) necessario “riaprire” se non vogliamo far fallire tutte le nostre imprese. E qui si pone un problema: quando dobbiamo “riaprire”? Quando i contagi giornalieri sono scesi a 500, a 100 o a zero? Su questo punto non c’é chiarezza.
Arrivare infatti a “zero contagi giornalieri” sarà lunga e dura e certo più che a Wuhan dove essendo intervenuto l’esercito ci sono voluti 2 mesi; in Italia ci vorranno almeno tre mesi se pensiamo agli assembramenti ancora presenti nella metropolitana di Milano. Ma se ciò fosse vero e se da un lato appare giusto vincolare a misure di distanziamento, dall’altro occorre progettare modalità per cui dai piccoli comuni, alle aree vaste e nelle stesse città (ma con regolamenti più vigilati), sia possibile condurre un minimo di vita all’aperto, al sole onde evitare che l’isolamento produca depressioni e poi malattie. E così pensare da subito a come non fermare le nostre manifatture strategiche perché quando dovessimo arrivare a zero contagi in Italia, il contagio non sarà certo a zero nel resto dell’Europa e del mondo (partiti dopo di noi) e, peraltro, non sappiamo se il virus è stagionale o no. In tal senso è positiva la scelta dell’Europa di annullare la regola del Patto di Stabilità immettendo nell’economia tutta la liquidità che si reputa necessaria e nelle prossime settimane sarà centrale una strategia di difesa della nostra manifattura (siamo in una sorta di “guerra” e come disse Von Clausewitz non si possono escludere comportamenti opportunistici dei vari paesi intenti a scalare posizioni nel mondo in quanto la “guerra” non è altro che la prosecuzione della “politica” con altri mezzi).
Oppure dovremo chiudere tutti i confini perché qualsiasi turista o scambio di persone con altri Paesi rischia di far ripartire il contagio?
Ragionando sono arrivato a queste conclusioni, ma senz’altro ci sarà qualcuno che ne sa di più di me.
Ci sono alternative alla chiusura protratta? Cosa faremo a metà aprile? Alcuni Paesi (Svizzera, Olanda, Regno Unito, Corea del Sud) stanno seguendo una via diversa, quella di permettere che la malattia si diffonda gradualmente governandone però la propagazione in modo da mettere al sicuro gli anziani (over 70) o chi, più giovane, ha polipatologie, riducendo infine gli assembramenti. Questa strategia punta a diffondere il contagio lentamente onde evitare che i posti letto delle terapie intensive non siano saturati, poiché si sa che l’80% della popolazione non ha sintomi (che sale al 99% per chi ha meno di 50 anni). Inoltre ciò creerebbe quella immunità di comunità che debella il virus. Se la malattia si diffonde quindi con lentezza e solo tra le persone giovani o sane si crea quella immunità di comunità che dopo una prima fase di protezione eviterà al virus di “appiciccarsi” e quindi scomparire. In Corea (che è l’unico Paese di quelli citati dove il contagio è partito prima che in Italia) i contagiati al 19 marzo sono solo il 18% di quelli italiani e la curva di crescita è in fase di forte rientro (mentre quella italiana è ancora in forte espansione); il dato non può essere sottostimato dai tamponi perché in Corea ne sono stati fatti 3,3 volte quelli dell’Italia (256mila a fronte di 86mila) su una popolazione minore (50 milioni), quindi sembra che la strategia di contenimento coreana abbia successo, per non dire dei morti il cui tasso di mortalità è solo 1,1% rispetto all’8,6% italiano. E quindi mentre si procede a chiusure sempre più stringenti, varrebbe la pena capire come si stanno muovendo quei Paesi che puntano a diluire l’impatto pensando di poter governarne le conseguenze nel tempo e in particolare la Corea del Sud che sta avendo successo ed è partita ben prima di noi.
Forse tra un mese capiremo meglio, ma mi pare corretto evidenziare che ci sono anche altre strategie che al momento appaiono ragionevoli. Senz’altro è prioritario bloccare il contagio e supportare l’azione dei sanitari, ma è anche opportuno avviare subito una discussione su come difendere la nostra manifattura, capire se la classificazione dei morti italiana per Covid-19 è corretta (siamo “fuori scala” tra tutti i Paesi del mondo), il che dovrebbe mitigare una sorta di isteria in corso e di gara a chi fa più lo sceriffo che non solo nuoce alla salute dei reclusi a casa, ma è foriera del radicamento di comportamenti antisociali.