Il coronavirus, come una invisibile guerra, getta nella recessione mondiale quasi tutti i Paesi ricchi (e forse non solo). Segnerà un discrimine tra “prima” e “dopo” in molti campi dall’economia alla società ai comportamenti individuali. L’Oms aveva pubblicato un report allarmante anche 6 mesi fa ma i leader mondiali non erano molto interessati impegnati nel “business as usual”. Ora lo “stop” senza precedenti ha gettato in confusione e messo in “stress test” tutte le leadership e ci ritroviamo chiusi in casa come bambini che l’hanno “fatta grossa”. Senza difese di fronte ad una Natura che ci manda un avviso (chissà se vero ma è plausibile) che o collaboriamo col pianeta Terra o soffriremo non poco; di sicuro c’è che dobbiamo cambiare qualcosa prima che arrivi una catastrofe maggiore (segnali evidenti erano arrivati anche prima per la verità). Un fenomeno, peraltro, preannunciato (Bill Gates nel 2015, OMS, report governativi) a causa di una crescita economica eccessiva, peraltro divisiva e degenerativa (insostenibile) che degradava con una velocità enorme l’equilibrio costruitosi in migliaia di anni tra il mondo minerale, vegetale, animale, umano.
Il virus colpisce i polmoni (la parte ritmica, insieme al cuore, dell’essere umano), cioè il “sentire”, l’anima e colpisce più gli uomini (70%) che hanno un apparato respiratorio maggiore delle donne e quindi più esposto al virus, come se la “grande” dimensione diventasse ora un pericolo. Come non vedere i numerosi “messaggi”? Tra essi ci si chiede di rafforzare le nostre difese immunitarie riprendendo in modo moderno un antico equilibrio spezzato dalla velocità. Siamo diventati fragili curando una sola dimensione: “i subiti guadagni” di cui parlava Dante 700 anni fa. Anche l’alimentazione –sempre più carnivora, industriale, da allevamenti intensivi di animali- ha creato in noi e fuori di noi un ambiente acidificato, grasso, sedentario… ideale per questo virus. E’ anche significativo che il virus colpisca le aree ricche del pianeta e urbanizzate.
Le spese per la sanità (finita l’emergenza) dovrebbero riprendere la via (dimenticata) della prevenzione, ma in modo anche da responsabilizzare i cittadini: per esempio in Germania c’è una prevenzione fino a 14 anni gratuita dei denti ma chi non la fa, in caso di necessità paga. Così dovrebbe essere anche per la prevenzione degli adulti/anziani (maggiore) ma chi poi non la fa e ha necessità di cure (poiché è un maggiore costo pubblico) deve pagare un ticket. Si sa che il mangiar sano e bio è la maggior prevenzione (insieme al movimento) e che l’acquisto dei prodotti locali è un aiuto formidabile alla nostra agricoltura e all’equilibrio città-campagna-colline-monti che, venendo meno, ha dato luogo allo spopolamento in atto e alle monocolture, minando la biodiversità che è un vanto dell’Italia.
La crisi darà uno slancio ad uno sviluppo più sostenibile e produrrà un forte rallentamento della globalizzazione (mal governata). La mobilitazione dei giovani (il fenomeno “Greta”) sull’ambiente appare ora “profetico” e richiama l’allarme che per primo lanciò il Club di Roma nel 1960 per un diverso modello di sviluppo che sia appunto sostenibile, oggi rilanciato dall’Agenda 2030 (era il sommario del nostro Annuario CDS 2020 ora rinviato all’autunno). Poco si è fatto in tal senso e così il mondo oggi non sta bene e come dice la poetessa Gualtieri “…ci dovevamo fermare./Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti/ch’era troppo furioso/il nostro fare …” in una corsa alla crescita infinita che ci ha reso “senza fiato”.
Tutti dicono che dovremmo uscire cambiati da questa crisi (speriamo in meglio).
Vorrei qui brevemente analizzare come il virus sta mettendo alla prova innanzitutto i vari sistemi sanitari e le strategie (sanitarie ma anche le politiche sottese) dei singoli Stati che sono ancora i veri sovrani di questa materia. Anche in Usa infatti il Governo federale ha solo funzioni di coordinamento e ciò spiega come mai i 50 Stati americani stiano andando in ordine sparso, come avviene, peraltro, in Europa che nella sanità ha solo funzioni di coordinamento e pochissime risorse (300 milioni stanziati per accelerare le ricerche sul vaccino), per il resto può fare raccomandazioni, come chiedere ai Governi di coordinarsi e non chiudere le frontiere interne delle merci (il virus circola ormai in tutta Europa) e poco altro. Poteva l’Europa fare di più? Si ma, come dice la virologa Ilaria Capua, in un campo ristretto come quello di indicare un unico standard per classificare i contagi. Se siamo ancora a questo stadio è perché però i singoli Stati non vogliono cedere risorse e pezzi di sovranità (ricordiamo per memoria che il bilancio UE è pari al1% del Pil dei singoli Stati europei, mentre in Usa il Governo federale amministra il 30% del Pil). Speriamo che questa esperienza rilanci l’Europa federale che possa disporre in futuro di un budget tra il 10 e 20% del Pil europeo.
Di fronte all’emergenza molti Paesi hanno chiuso i confini (Austria, Usa e molti altri) e c’è già chi raccomanda di non comprare i nostri prodotti (Polonia). Ma anche noi Italiani non siamo stati da meno coi Cinesi. Servirebbe un’azione collegiale (che non c’é) e si apprezza l’aiuto della Cina che forse ha strategie geopolitiche sull’Italia in un’Europa in fibrillazione. Vista dai Paesi Poveri, dal Kashmir (chiuso a chiave dagli Indiani) o dai Siriani che entrano nel decimo anno da rifugiati (5,5 milioni fuori dalla Siria più altri 6 milioni di rifugiati al suo interno) o dagli Africani la nostra sventura appare poco più di un inciampo, ma per noi, disabituati da 70 anni alle guerre e ai veri problemi della vita, si profila come la più grande tragedia del dopoguerra. “Sovrana” è stata anche regna la confusione che ha preceduto la chiusura totale. I nostri partiti sia di governo che di opposizione hanno detto in poche settimane tre cose diverse: chiudere, aprire, richiudere tutto: il 27 febbraio tutti dicevano che bisognava stare “aperti”, il 6 marzo tutti dicevano tutto “chiuso” (in rete ci sono i video).
Il virus inedito ha molti lati oscuri; la mortalità è elevata però solo per gli anziani con altre patologie, i dati italiani sono i seguenti: over 70 (9,6%), over 80 (16,6%), over 90 (19,6%), ma bassa negli adulti 60-69 (2,7%), 50-59 (0,6%) e praticamente quasi nulla nei giovani adulti 30-49 (0,1%) per azzerarsi fino a 29 anni.
La strategia dell’Italia di chiudere tutto pare sia il “modello” che va imponendosi ovunque; è seguita per ora da Spagna e Francia (con titubanze iniziali che, peraltro, anche noi abbiamo avuto), ma non dagli Inglesi che hanno una diversa strategia (in Italia sono considerati “pazzi”, ma sarei più cauto). Cerchiamo di capire (prima di giudicare) ragioni e strategia della scelta inglese che, al momento pare l’unica alternativa alla chiusura totale. E’ anche un aspetto importante perché determinerà (non poco) del successo o meno della Brexit. Il responsabile scientifico sir Patrick Vallance dice che il contagio potrebbe durare a lungo (un anno), e i posti letto in terapia intensiva nella sanità inglese (che è a finanziamento pubblico come l’Italia) sono 6mila (minori di quelli italiani 9mila, cresciuti a 10.850 con le ultime misure), per cui si stanno attrezzando ad un “contagio controllato e graduale di lungo periodo” che, portando ad una immunità di comunità, possa ridurre i danni, diluire nel tempo i casi gravi da terapia intensiva e infine sconfiggerlo anche senza vaccino. Il Governo inglese non vuole “chiudere tutto” dunque (come ha fatto l’Italia), ma vuole mantenere aperte il più possibile le aziende e i servizi, seppure con forti restrizioni che riguardano la quarantena di 4 mesi degli over 70, delle donne incinte e di chi ha meno di 70 anni ma con patologie serie (circa 12-15 milioni). Inoltre obbliga a 14 giorni di isolamento per coloro che hanno dei sintomi da Covid-19 (e i loro famigliari), infine raccomandazioni per usare (chi può) il telelavoro ed evitare tutti i luoghi di assembramento. Si lasciano però liberi di scegliere gli altri inglesi (chiamati ad una responsabilità individuale, tipica della loro cultura, in cui chi vuole può non mandare figli a scuola, chiudere pub, uffici,…. Ciò potrebbe portare a contagiare circa 30 milioni di inglesi (ma non la popolazione più a rischio e gli over 70 che vanno in quarantena). Poiché ci si aspetta una mortalità zero fino a 29 anni e si stima che il contagio si fermi quando c’è un’immunità di comunità dei 2/3, ci si aspetta che siano contagiati circa 24 milioni di adulti dai 30 ai 69 anni. Applicando a queste fasce di età i tassi di mortalità italiani, il numero dei morti atteso è 21.600 (mie stime). Non sono quindi veri i 250mila morti attesi perché si fa l’errore di applicare un tasso di mortalità scorretto (che include gli over 70). Si tratta in ogni caso di un numero imponente di morti ma non dobbiamo trascurare che in UK e Italia muoiono ogni anno 650mila persone (618mila nel 2016 in Italia) e che l’influenza in Italia l’anno scorso ha fatto 8mila morti, 46mila decessi sono stati per polmoniti e sistema respiratorio, 15mila da infezioni (molte contratte in ospedale), 11mila per reazioni avverse agli antibiotici, 10mila per incidenti stradali, 178mila per tumore, 240mila per patologie circolatorie.
Se avremo 100mila contagiati per fine aprile avremo circa 6mila morti per Covid-19 (il doppio della Cina), presumibilmente quasi tutti anziani -età media 80 anni- che avevano in media 2,7 patologie in corso (cancro, ipertensione, malattie cardiovascolari,…) e, peraltro, non si sa ancora se morti “per” o “con” Covid-19 in quanto non c’è uniformità nella classificazione.
Ho riportato per esteso il caso inglese perché è l’unico con una sanità pubblica a deviare in modo vistoso dal nostro modello di “lockdown”. Un Paese democratico deve tutelare tutti i suoi cittadini (specie gli anziani “alla sera si vedono cose che al mattino non si notano”) e quindi la strategia della chiusura (lochdown) sembra (per ora) la più corretta. Essa comporta anche però un ingente danno economico e un impoverimento che se non avviene anche negli altri Paesi (mal comune mezzo gaudio), potrebbe (ceteris paribus) far arretrare alcune economie rispetto ad altre, per cui la strategia inglese potrebbe avere anche questa intenzione. Non siamo così ingenui da pensare che le élite politiche-finanziarie non valutino anche questi aspetti quando prendono delle decisioni strategiche, anche se poi la narrazione che viene raccontata è un’altra. L’esempio è proprio la Brexit la cui narrazione dei Conservatori e di Farange è quella di sottrarsi ad un’Europa dominata dalla Germania (che loro avevano sconfitto nella IIGM) e di riprendere il “controllo” di UK, di ritornare ai fasti dell’Impero e meglio tutelare i propri cittadini e le fasce deboli marginali degli operai delle periferie. Staremo a vedere quanto un partito che ha sempre difeso gli interessi delle super élite finanziarie, immobiliari e dei ceti medio-alti (e che ha spinto per Brexit) sia realmente interessato alla tutela delle fasce deboli ed operaie inglesi.
La Germania sta seguendo una strategia sanitaria che non è ancora quella della chiusura totale all’Italiana, ma potrebbe diventarla nei prossimi giorni; appare per ora un caso “intermedio” tra quello inglese e italiano. Essa intende tutelare la sua formidabile manifattura con una linea di prestito “fuori scala” di 550 miliardi (un terzo del Pil italiano), ma non sono da meno gli altri Paesi (UK 330 miliardi di sterline, Spagna 200 miliardi di euro, Italia 350 miliardi, Usa mille miliardi di dollari,..) per sostenere con prestiti le proprie imprese e lavoratori.
La strategia della Cina è stata quella di una chiusura totale con militari che presidiavano tutti e consegnavano il cibo (controllavano a casa la febbre e fucilato chi non ha rispettato la quarantena) seppure con un ritardo iniziale, tentando di occultare il fenomeno (che si può permettere solo un Paese che ha un Presidente a vita). Il modello cinese non è però quello italiano perché in Cina la chiusura totale è stata possibile perché interessava comunque il 4,3% della popolazione (la città di Wuhan e le 13 di Hubei fanno 60 milioni su 1,38 miliardi). Una cosa molto diversa dalla chiusura del 100% di Paesi come Italia (domani Spagna, Francia,…) che hanno dovuto scontare, per arrivare a decisioni di tale portata, le tipiche gradualità democratiche (consultazioni, accordi e non ultimo che ci sono libertà individuali tutelate dalla Costituzione (in UK per esempio la tutela dell’istruzione), che costringono le chiusure a tempi determinati.
Trump pare muoversi in modo ancora non chiaro. Diversamente dal Regno Unito, Trump non ha una sanità pubblica ma privata (tramite assicurazione) da cui sono esclusi 90 milioni di cittadini (40 perché troppo poveri e altri 47 che non intendono pagare l’assicurazione e pagano quando si ammalano). Nelle stesse condizioni è il Brasile come metà di cittadini non assicurati. In Usa ci sono 45mila posti di terapia intensiva rispetto ai nostri 10.850 e il sistema sanitario privato Usa potrebbe reggere solo se i malati fossero in proporzione a quelli che si annunciano per l’Italia (100mila), quindi 500mila circa. Sembra, pertanto, più difficile per Trump seguire la strategia inglese perché non dispone di una sanità pubblica che appare di fronte a questa emergenza più attrezzata di quella americana. Un altro problema è che il 30% dei lavoratori Usa non hanno permessi retribuiti (come in Europa) in caso di malattia, compresi il 70% dei lavoratori a basso reddito che prendono meno di 10,5 dollari orari (ma potrebbero essere compensati come si fa in Italia). Anche la chiusura delle scuole comporta più problemi che in Europa in quanto la quota di poveri in Usa è molto più alta e sono moltissimi i figli di poveri che a scuola hanno merenda e pranzo ma a casa non l’avrebbero (a Los Angeles si stima siano l’80%). Trump ha tagliato inoltre negli ultimi 2 anni ulteriormente i Centri di prevenzione sanitari pubblici e la fragilità della sanità Usa è cresciuta, per cui, di fronte al Covid-19 potrebbe far vincere Biden alle prossime elezioni americane di novembre (quando era già dato per perso). Anche se è abbastanza “stucchevole” la dichiarazione di Biden che il “sistema italiano pubblico ha fallito”, fatto (a mio avviso) a meri fini elettorali (anche lui sa che non è vero) per contrastare Sanders che da anni reclama un sistema sanitario completamente pubblico a differenza di quello proposto da Obama e Biden che, seppure molto meglio dell’attuale ed esteso ai poveri, continuerebbe ad essere basato sulle assicurazioni private.