Venerdì 3 maggio si è tenuta a Casa Cini a Ferrara la conferenza sul tema “L’Europa che vogliamo”, promossa dalle associazioni locali che, a livello nazionale, fanno parte di Retinopera, rete di venti organizzazioni del mondo cattolico che si riconoscono nella Dottrina Sociale della Chiesa; fra queste, l’Azione Cattolica, le Acli, Agesci e Confcooperative. Nata nel 2002, la Rete di associazioni ha elaborato nel gennaio scorso un documento per promuovere lo sviluppo positivo degli ideali dell’Europa unita, che ha denominato appunto “I 6 PUNTI DELL’EUROPA CHE VOGLIAMO”. In estrema sintesi, la proposta di Retinopera prevede un’Europa che sia democratica e partecipativa, ma anche solidale e accogliente, che valorizzi il lavoro (valore umano del lavoro e lavoro per tutti), che promuova cultura, scienza e arte, che sia orientata ad uno sviluppo sostenibile e ad un’economia integrale per favorire l’uso responsabile delle risorse e, infine, un’Europa dell’associazionismo, della gratuità e del Terzo Settore. Fra i progetti di Retinopera è di particolare interesse l’ Osservatorio Bene Comune, che si propone di stabilire parametri di benessere che vadano al di là dei soli indici economici.
La conferenza di Ferrara è stata moderata da Guglielmo Bernabei, dell’associazione Ferrara Bene Comune, che ha sottolineato l’esigenza che i Comuni abbiano voce in Europa, in quanto oggi abbiamo solo un Comitato delle Regioni che non è sufficiente per avvicinare i cittadini alle istituzioni europee, ed ha sottolineato la fondamentale importanza dei temi della sussidiarietà (che richiede livelli di governo il più possibile vicini ai cittadini) e della perequazione tra livelli territoriali, sociali, economici, affinché nessuno rimanga indietro.
Il primo intervento, sul modello domande-risposte, è stato di Giorgio Anselmi, presidente nazionale del Movimento Federalista Europeo, il quale ha osservato come storicamente sia stata la guerra a cambiare l’ordine mondiale, in particolare quelle che alcuni studiosi di relazioni internazionali definiscono guerre costituenti (usando un tipo ideale, come direbbe Max Weber). Nella storia dell’Occidente tali guerre sono state due: quella dei Trent’anni, che ha dato origine al sistema che ancora oggi chiamiamo vestfaliano degli Stati sovrani ( Rex in regno suo est imperator); e quella seconda guerra dei trent’anni (in realtà 31) che va dal 1914 al 1945, con tutto quello che è compreso in tali date (Prima guerra mondiale, Rivoluzione bolscevica, vittoria del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, Seconda guerra mondiale). Questa seconda guerra costituente segna il passaggio dal sistema europeo degli Stati al sistema mondiale degli Stati, con la nascita del governo bipolare USA – URSS del mondo. Il progetto di unificazione europea, a partire dal Manifesto di Ventotene del 1941, si afferma proprio durante la Resistenza come alternativa radicale all’unificazione europea tentata dalla Germania “con la spada di Satana” (Luigi Einaudi). L’Europa è dunque nata come risposta alla crisi della civiltà europea. Il diritto senza la forza è impotente, osservava già Pascal, e la forza senza il diritto è tirannica. L’Unione europea è il tentativo di mettere insieme la forza e il diritto attraverso un modello, quello federale, che permette di conciliare l’unità, e quindi la pace, con il pluralismo, e quindi la libertà. Il principio cardine del federalismo è infatti la sussidiarietà, con la divisione dei poteri non solo su base funzionale (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma anche su base territoriale (livello federale e livello statale). Come ha scritto il filosofo Dario Antiseri, collegandosi alla grande tradizione liberale, chi ha tutti i mezzi determina tutti i fini, come avviene nei sistemi totalitari. La sovranità assoluta, che Hobbes metteva a fondamento dello Stato moderno, deve essere limitata da un potere superiore per ottenere la pace e per sottoporre al diritto e non alla forza anche i rapporti tra gli Stati, secondo la felice intuizione di Kant (Per la pace perpetua, 1795).
Oggi si può dire che i federalisti europei sono i veri sovranisti, mentre i cosiddetti sovranisti, chiedendo che la sovranità resti ai singoli Stati, si rivelano alla fine servili sia nei confronti delle grandi potenze sia nei confronti del potere delle grandi società multinazionali, molte delle quali hanno bilanci più grandi di quelli dei singoli Stati. Le sfide che dobbiamo affrontare, sfide di natura economica, ambientale, demografica, ecc., sono infatti globali e non possono essere affrontate efficacemente dai singoli Stati. Per fare un esempio storico, l’Italia perse la prima grande globalizzazione, quella provocata dalle scoperte geografiche, perché era divisa in tanti piccoli staterelli, e infatti con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559 e la fine dell’indipendenza italiana siamo usciti dalla grande storia e siamo diventati periferia. Con l’unificazione nazionale del Risorgimento abbiamo potuto cogliere i frutti della seconda globalizzazione, generata dalla rivoluzione industriale. Oggi siamo alla terza globalizzazione, che solo entità di dimensione continentale possono governare. Senza unione politica l’Europa si ridurrebbe perciò ad una mera espressione geografica, come lo era l’Italia ante unificazione. Oggi, dopo la fine dell’equilibrio bipolare ed il fallimento del monopolarismo americano, siamo di fronte ad una terza guerra costituente, che Papa Francesco ha definito efficacemente “terza guerra mondiale a pezzi“. L’alternativa è infatti tra un nuovo ordine mondiale fondato sulla collaborazione tra le grandi potenze ed un modello invece competitivo fondato sul nazionalismo, con rischi gravissimi per la stessa sopravvivenza dell’umanità. Saprà l’Europa completare la propria unificazione federale e contribuire così alla soluzione dei problemi mondiali?
Basti pensare che oggi l’UE rappresenta il 7% della popolazione mondiale, produce circa il 20% del Pil e spende il 50% dell’intera spesa mondiale per il welfare: solo l’Unione europea è infatti riuscita a mettere insieme efficacia economica, libertà politica e solidarietà sociale. Nessun altro paese o area economica è riuscito a realizzare una simile quadratura del cerchio (Ralf Dahrendorf) e ciò grazie anche alle grandi correnti di pensiero del Cristianesimo e del Socialismo (e spesso, aggiungiamo noi, combinando in modo virtuoso il Cristianesimo sociale col Socialismo democratico). Ma, per renderci conto dei problemi che ci stanno di fronte, teniamo presente che gli europei sotto i 30 anni sono appena il 4 % a livello mondiale.
Matteo Bracciali, responsabile Affari Internazionali delle Acli, si è soffermato sul diritto al lavoro, sancito dalla nostra Costituzione ma che vede oggi le merci correre più veloci del lavoro e i singoli Paesi ricattati dai grandi conglomerati economici. Anche per questo non è più sufficiente il solo racconto della Storia per giustificare l’unità europea: è necessario che il welfare state diventi welfare europeo, e questo non si potrà mai fare finché il bilancio dell’Unione resterà limitato all’1% del Pil dei suoi Paesi membri. Occorre invece sviluppare il pilastro sociale europeo, magari finanziandolo con misure come la Tobin Tax ed altre che possono essere veramente efficaci solo in una dimensione europea.
Tra l’altro, l’evoluzione tecnologica, col recente sviluppo dell’Industria 4.0, richiede maggiori competenze ma anche maggiore protezione: il lavoro è necessario, perché sviluppa le relazioni sociali ed è alla base della libertà individuale, mentre l’ozio – supportato da sussidi – in realtà ci rende sudditi. L’Economia Circolare è un esempio fondamentale per il futuro e anche per creare lavoro buono. L’Unione Europea potrebbe prevedere, otre alle misure di sostegno già previste, anche fondi per finanziare il welfare aziendale delle Pmi (per un ambiente di lavoro dignitoso, per coniugare i tempi di vita e i tempi famiglia-lavoro), con risorse che potrebbero arrivare dalla tassazione delle grandi corporation. L’Unione Europea dovrebbe altresì incentivare il diritto alla formazione professionale continua, per tutta la vita, anche perché l’attuale rivoluzione digitale non sarà certo l’ultima rivoluzione tecnologica, anche nel breve periodo.
Nicolò Pranzini, del Comitato Europeo organizzazione mondiale Scoutismo, ha evidenziato come siano i governi nazionali, in Europa, a decidere l’allocazione delle risorse e le priorità di spesa: non è vero che tutto quello che non va è colpa dell’UE, è vero invece che stiamo vivendo una crisi senza precedenti dei corpi intermedi che sono a fondamento della democrazia costituzionale e che sono anche quelli che impediscono la dittatura della maggioranza; l’attuale crisi democratica richiede la collaborazione fra le generazioni, i giovani non sono solo il futuro, sono anche il presente e talune scelte fatte, come quella di Brexit, rivelano quanto siano controproducenti certe decisioni per l’interesse collettivo, perché non danno nulla di più a chi le ha scelte e invece tolgono opportunità a tutti gli altri, e in particolare la possibilità di costruire una casa comune. Non ci rendiamo infatti conto a sufficienza dei vantaggi che l’Europa ci offre, primo fra tutti il diritto alla mobilità come mai si era avuto in passato; i Corpi europei di solidarietà sono poco noti, occorre educare al pensiero critico e potenziare tutte le misure che nascono dal basso, come il welfare generativo, misure di inclusione sociale come Erasmus Plus e iniziative come My Europe My Say: misure concrete come è l’esempio di Erasmus contano infatti di più di ogni nuovo Trattato. Perché nulla va dato per scontato, perché ogni conquista può essere facilmente persa.