Il lungo titolo del mio intervento forse risulta complicato e poco comprensibile. In realtà il suo obiettivo è abbastanza semplice, in quanto l’intervento si incentra su due aspetti, vale a dire su due questioni:
– la prima è approfondire le principali differenze che si possono cogliere fra le quattro aree interne dell’Emilia-Romagna che sono state individuate ai fini della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI);
– la seconda questione riguarda invece le presunte differenze – che si potrebbero denominare socio-economiche – che esistono e che si possono individuare all’interno della stessa area del Basso Ferrarese, cioè tra i 12 comuni che ne fanno parte.
Per chi non la conoscesse già, si può fare riferimento alla cartina dell’Emilia-Romagna con l’indicazione delle quattro aree interne[1]: tre di esse sono collocate sull’Appennino (quelle dell’Appennino Piacentino-Parmense e di quello Emiliano, nonché l’Alta Valmarecchia, ex area Marchigiana che da alcuni anni fa parte dell’Emilia-Romagna; poi c’è l’area del Basso Ferrarese.
Pertanto, ci si può innanzi tutto domandare: il Basso Ferrarese può essere considerato un’area effettivamente “interna” dal punto di vista geografico?
In effetti, si possono individuare due differenze fondamentali fra le tre aree appenniniche e il Basso Ferrarese: la prima è quella orografica, nel senso che le prime tre aree sono prevalentemente montane e, pertanto, presentano un fattore oggettivo di penalizzazione; la seconda differenza consiste nel fatto che esse sono aree effettivamente interne, non tanto alla regione[2], quanto al Paese, perché gli Appennini rappresentano una specie di “colonna vertebrale” del territorio nazionale.
Il Basso Ferrarese, invece, è un’area “periferica” o marginale rispetto al territorio dell’Emilia-Romagna. Per contrapporla alle aree realmente interne la si potrebbe definirla “esterna” perché è un’area che propende verso il mare Adriatico. Pertanto, essa si differenzia nettamente da questo punto di vista, cioè quello geografico, rispetto alle altre tre. Ciò nonostante è anch’essa un’area profondamente svantaggiata, come le tre aree montane. Evidentemente esiste ed opera qualche altro fattore, al di là di quello che è l’elemento comune a tutte le quattro aree e cioè le difficoltà demografiche che si incontrano all’interno di queste porzioni dell’Emilia-Romagna che – come noto – è una delle regioni più sviluppate non solo d’Italia ma anche dell’Unione Europea.
Per concludere su questo primo punto si potrebbe trovare una sorta di soluzione di compromesso, denominando il Basso Ferrarese non come un’area interna bensì periferica.
La seconda questione che s’intende affrontare concerne le presunte differenze che esisterebbero all’interno del Basso Ferrarese. In un convegno che si è svolto all’inizio di ottobre, organizzato dalla Regione Emilia-Romagna, sul tema delle aree interne[3], il Basso Ferrarese è stato indicato come un’area non del tutto omogenea al suo interno, anche se non è stato chiaramente specificato da quale punto di vista. Pertanto, ci si può porre l’obiettivo di verificare la fondatezza di una simile considerazione dai vari punti di vista possibili, giungendo a fornire le risposte che seguono.
Innanzi tutto, non c’è alcuna disomogeneità per quanto riguarda l’andamento demografico: più precisamente, anche se nei comuni maggiori a suo tempo si poteva registrare un qualche fenomeno di crescita della popolazione in essi residente, da alcuni anni di questo decennio – se non addirittura prima – si registra un generalizzato calo demografico. Per la precisione, in base ai dati anagrafici più recenti, gli unici saldi demografici positivi erano quelli di Comacchio (per qualche decina di abitanti) e di Tresigallo (per un solo abitante in più), ma questi dati risalgono al 2014 e ormai sono passati cinque anni durante i quali i saldi demografici di tutti i 12 Comuni sono negativi. Quindi, da questo punto di vista c’è una perfetta omogeneità; tutt’al più si può rilevare che tra questi comuni cambia solo l’intensità della loro diminuzione demografica e questo perché alcuni comuni godono di quelli che vengono chiamati gli “afflussi di prossimità”, cioè degli spostamenti di popolazione dai comuni confinanti di più piccola dimensione demografica verso quelli maggiori, come possono essere Comacchio, Codigoro e Copparo, per cui, di fatto, questi possono essere considerati come dei piccoli “poli di attrazione” in quanto svolgono delle funzioni di tipo superiore[4].
Ci si può chiedere poi se i comuni che fanno parte di quest’area differiscono per la loro dimensione demografica, e qui la risposta da fornire è logicamente positiva perché – come già detto – in effetti ci sono alcuni comuni di maggiore dimensione rispetto agli altri, come succede però in qualsiasi altra regione italiana.
Se passiamo agli aspetti più strettamente economico-finanziari, ci si potrebbe chiedere se c’è una rilevante disomogeneità dal punto di vista del livello di reddito. In questo caso risulta che tutti i comuni dell’area, tranne Copparo, appartengono alla classe inferiore di reddito pro capite, cioè quella che va da 9.000 a 17.000 euro, e ciò anche per quelle che si potrebbero denominare “distorsioni fiscali” a favore di alcune categorie produttive (come quelle degli agricoltori e dei pescatori), che sono particolarmente presenti in quest’area. Copparo, invece rientra nella classe immediatamente superiore la quale arriva però a 19.000 euro, per cui per questo comune non sembra rilevarsi una differenza sostanziale nel suo livello di reddito pro capite, per quanto sia superiore a quello degli altri comuni; ne consegue che anche da questo punto di vista non c’è una particolare differenza. Piuttosto, si potrebbe sostenere che Copparo rappresenta un comune più simile, dal punto di vista della sua struttura reddituale e fiscale, a quelli del resto della provincia.
Ci si può domandare ancora se questi comuni sono diversi per la tipologia e la specializzazione dei vari sistemi produttivi a livello comunale. In effetti, in questo caso la risposta può essere in gran parte positiva, perché alcuni comuni – come Comacchio e Goro – sono fortemente specializzati nel settore ittico; Comacchio è anche un comune turistico, sia per il centro urbano che per i lidi sulla costa. Altri comuni, invece, hanno specializzazione diverse, come Jolanda di Savoia per quanto riguarda la produzione agricola o Copparo per quanto riguarda invece la produzione industriale[5]. Tale differenziazione, però, non andrebbe assolutamente considerata come un aspetto negativo; anzi, potrebbe costituire un vantaggio competitivo se questa differenziazione venisse valorizzata al fine di dare vita a un sistema produttivo di tipo “strutturato”, in quanto formato da attività produttive tra loro complementari e, tendenzialmente, integrate. In tal modo, infatti, si potrebbe creare un’area che tende a disporre di un sistema e di un processo di sviluppo in un certo senso autosostenuto, come un piccolo polo o distretto industriale.
Invece i settori produttivi maggiormente favoriti dalle azioni previste dalla SNAI per il Basso Ferrarese sono solo quelli dell’agricoltura e del turismo, quest’ultimo inteso ovviamente nell’accezione di turismo che guarda soprattutto al fiume Po e al suo Delta, cioè attività in cui i posti di lavoro attualmente creati risultano pochi e si ottiene un basso livello di valore aggiunto rispetto ad altre attività produttive.
In conclusione, riprendendo la domanda iniziale circa la presunta omogeneità interna del Basso Ferrarese, si può senza dubbio sostenere che gli aspetti comuni presenti all’interno di questa area sono l’ambiente agricolo e quello idrico e pertanto si condivide la posizione di coloro che sostengono che quelli vadano difesi e, possibilmente, anche valorizzati. Inoltre, un altro elemento dell’area da valorizzare in misura decisamente maggiore rispetto a quanto avviene ora, è quello del patrimonio storico-culturale, anche se in questo caso bisogna disporre di adeguate competenze. Ai fini della SNAI la decisione condivisibile che è stata assunta è quella di puntare proprio su tali componenti del territorio, in quanto considerate in modo molto opportuno fattori locali di sviluppo.
A mio parere, però, non vanno assolutamente trascurati altri possibili fattori di sviluppo, quali i settori dell’artigianato e dell’industria manifatturiera, in particolare l’agro-industria, così come anche il settore terziario. Certamente, il settore attualmente prevalente nell’area è quello primario, il quale sulla terraferma è di tipo estensivo e, pertanto, a bassa produttività. Probabilmente, potrebbe essere opportuna una sua ristrutturazione della quale però non c’è traccia nella strategia nazionale, per cui il suggerimento che si potrebbe fornire è quello di sostenere l’aumento anche del numero di aziende extra agricole che operano attualmente nel Basso Ferrarese e anche del numero di posti di lavoro che esse dovrebbero creare. Infatti, si è convinti che senza la creazione di adeguati posti di lavoro, per favorire una maggiore occupazione nel prossimo futuro, sarà praticamente impossibile sconfiggere il grave declino demografico, tenendo conto però che questo fenomeno rappresenta una criticità comune a buona parte della provincia di Ferrara. Infatti, anche il comune capoluogo soffre da tempo di questo problema e di quelli connessi, come l’invecchiamento della popolazione, la pressione sui servizi assistenziali e sanitari, le connesse difficoltà finanziarie, ecc., ma soprattutto la mancanza di una solida e convinta visione di prospettive socio-economiche per il futuro dei giovani, successivamente al periodo destinato alla formazione scolastica ed universitaria.
[1] Si vedano le slide allegate.
[2] Queste tre aree infatti sono poste ai confini meridionali della regione.
[3] Ci si riferisce al convegno “Fare comunità al cuore delle politiche di coesione: le aree interne”, svoltosi a Bologna il 2 ottobre 2019. Si è trattato di un primo incontro con le quattro Aree interne regionali beneficiarie della SNAI, in cui riflettere sugli indirizzi di sviluppo proposti per le aree in questione ed illustrare lo stato di avanzamento del negoziato sulla programmazione dei Fondi strutturali europei per il prossimo periodo, 2021-2027, nel momento in cui sta per concludersi il processo di elaborazione delle misure e l’individuazione degli specifici interventi da attuare.
[4] Si pensi, per esempio, al comune di Lagosanto, dove è stato realizzato il nuovo Ospedale del Delta.
[5] In particolare per la localizzazione in tale comune di una grande industria metalmeccanica.
Guarda il VIDEO e le SLIDE dell’intervento al convegno di Berra-Riva del Po del 29 novembre 2019