È di grande interesse l’appello sottoscritto l’8 aprile scorso dai sindacati confederali nazionali CGIL CISL UIL insieme a Confindustria, rivolto agli elettori in vista delle prossime elezioni europee, per esortali ad andare a votare “per sostenere la propria idea di futuro e difendere la democrazia, i valori europei, la crescita economica sostenibile e la giustizia sociale” (Appello per l’Europa, cit.).
L’appello parte da poche, fondamentali premesse (una pace duratura, lo stile di vita europeo, la dimensione continentale degli interessi economici nazionali, le sfide globali che richiedono il recupero degli ideali federalisti originari), per richiamare l’attenzione sulla necessità di rilanciare il progetto europeo, perché l’Europa è “ancora uno dei posti migliori al mondo per vivere, lavorare e fare impresa” (Appello, cit.).
Oggi, infatti, il pensiero dominante di chi critica il progetto europeo non è orientato a migliorarlo ma a distruggerlo, per tornare agli Stati nazionali e a quelli che giustamente l’Appello considera “gli inquietanti fantasmi del novecento”: le barriere commerciali, i dumping fiscali, le guerre valutarie.
Ma l’Appello è di grande interesse anche perché non si limita ad una supina accettazione dell’Europa così come è oggi, ma chiede a gran voce di “accelerare il processo di integrazione europea” attraverso un processo costituente non dissimile a quello del 1957, in cui i sei paesi fondatori – fra cui l’Italia – hanno iniziato il processo tuttora in corso di svolgimento dell’unificazione europea, che ha avuto un solo grande momento di trasformazione ulteriore, la creazione dell’euro nel 1998, evidentemente insufficiente tanto che l’Appello chiede ora a gran voce “il colpo d’ala europeo”, che è oggi storicamente maturo, ma nel contempo necessario e anche possibile.
Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sono consapevoli che l’Europa di oggi va cambiata, ma sono anche consapevoli che la strada del cambiamento non è quella indicata dai sovranisti, che auspicano il ritorno alle sovranità nazionali, a partire da quella monetarie. I firmatari dell’Appello sono consapevoli che l’architettura europea deve essere migliorata, anche radicalmente, e nell’Appello espongono quello che è a tutti gli effetti un grande programma di riforme, a partire dal “potenziamento delle politiche di coesione” che sono quelle decisive per favorire la reale integrazione economica fra aree e paesi con gradi molto diversi di sviluppo (o di arretratezza), quelle politiche di coesione che sono state al centro di recente anche di una interessante iniziativa al Dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara da parte della sezione locale del Movimento Federalista Europeo.
Ma l’Appello propone una molteplicità di temi di cui gli eletti al Parlamento Europeo devono, secondo i firmatari, occuparsi in via prioritaria: oltre al citato potenziamento delle politiche di coesione, occorre “un Piano straordinario per gli investimenti in infrastrutture ed in reti” che deve essere finanziato con l’emissione di titoli di debito europei, gli Eurobond che – finalmente – tornano al centro del dibattito dopo essere stati letteralmente cancellati dall’ideologia sovranista, interessata al ritorno alle valute nazionali anziché alla creazione di un unico debito pubblico europeo che è, invece, una delle precondizioni fondamentali per poter procedere sulla strada del federalismo europeo; inoltre la spesa nazionale di cofinanziamento dei progetti europei andrebbe esclusa dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita. Il mercato unico, secondo i firmatari, andrebbe completato a partire dal mercato digitale e dal mercato dell’energia; servono altresì meccanismi di stabilizzazione del ciclo economico e “una politica industriale europea” che stimoli ricerca ed innovazione, ed insieme consenta alle imprese europee di raggiungere le dimensioni di scala che consentano loro di confrontarsi efficacemente con i grandi competitors americani e cinesi.
L’Appello non si esaurisce nella sola sfera economica, ma propone una serie di temi ulteriori che gli eletti al Parlamento Europeo dovranno fare loro: dal potenziamento delle possibilità di studio e lavoro all’estero, fino all’ “Erasmus in azienda”, una politica estera comune che sia effettiva e non la semplice sommatoria di politiche nazionali di Stati che conteranno sempre meno in futuro, la riforma del modello di governance che porti al centro dell’iniziativa politica europea il Parlamento e non più gli Stati come ora, il potenziamento della “rete di solidarietà sociale europea”, una politica veramente comune che governi i processi migratori, l’armonizzazione dei sistemi fiscali e di protezione del lavoro che oggi permangono differenti da Paese a Paese. Un intero capitolo, per i firmatari, va dedicato al dialogo sociale e alla contrattazione, attraverso politiche attive del lavoro, il rafforzamento delle relazioni industriali, il contrasto alle politiche di dumping e la realizzazione di “un quadro normativo europeo certo di sostegno alle relazioni sindacali e alla contrattazione collettiva” anche in vista dei passaggi epocali che si renderanno sempre più inevitabili, dallo sviluppo delle fonti rinnovabili alla transizione energetica, dall’economia digitale ai problemi connessi con l’invecchiamento della popolazione.
L’Appello per l’Europa va letto, e con attenzione. È un passaggio fondamentale per riuscire a conseguire gli obiettivi che i firmatari pongono a conclusione del loro appello: “gli ideali di progresso economico, giustizia sociale, democrazia, pace”.