Il venticinque novembre prossimo, come ogni anno, si celebrerà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Ogni governo, organizzazione internazionale, ONG, è sollecitato ad organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica.
Il 25 novembre di ogni anno. Proprio in quel giorno.
E diligentemente, ogni governo, ONG, organizzazione internazionale, oltre alle migliaia delle associazioni che si impegnano nel contrasto alla violenza, celebrano con iniziative, testimonianze e memorie, questa giornata.
Ma quest’anno il sentimento collettivo prevalente che accompagna l’angosciante elencazione dei femminicidi avvenuti e delle violenze perpetrate, che, assieme al perché e al come, costituisce l’elemento centrale della celebrazione, è di angoscia.
Aleggia un pervasivo clima di odio, mai così feroce.
Alla lettura dei nomi delle vittime a cui spesso segue la modalità dell’uccisione, emerge, mai come questa volta, una disumanità che atterrisce: brutale, efferata, barbara.
E la ferocia è dilagata ovunque: nel linguaggio, nelle relazioni, nei media.
Come si fosse sturato un vaso di ferinità represse: adesso è aperto e vomita crudeltà.
Senza remore, né verso religioni diverse, generi diversi, menomazioni fisiche, etnie diverse: tutto si può violare, violentare, stuprare. Sfiducia, deumanizzazione, discriminazione, violenza e odio sono diventati cronaca quotidiana.
Il “politicamente corretto“ è diventato una stravaganza ad uso di pochi nostalgici ed è stata sdoganata la più inumana delle violenze: quella contro la dignità della persona.
E’ urgente, molto urgente invertire questo senso di marcia che ci sta portando ad un punto di non ritorno. Quali gli strumenti, quali le ricette possibili? Nessuna ricetta e nessuno strumento può essere efficace singolarmente e nell’immediato.
E, fatta salva l’importanza di riconoscere a livello mondiale, la necessità di condividere la gravità del problema, non può essere risolutorio far convergere celebrazioni, ricordo e programmi di contrasto, in una sola giornata, come questo 25 novembre, senza interrogarci su cos’è oggi “violenza” e senza riflettere sulle cause, sugli effetti e sulle azioni di contrasto da pianificare in un’azione di lungo respiro.
E’ necessario un cambiamento “culturale”, perché culturali sono le radici della violenza, è necessario un cambiamento “culturale”, per capirne le cause e agire sugli effetti.
Questo percorso deve avere il traino della decisa volontà di un cambio di passo in cui gli strumenti del linguaggio, della gentilezza come reciprocità, dell’educazione al rispetto delle differenze, non siano parole vuote, ma azioni concrete e percorsi formativi mirati, di cui sarebbe importante prendere impegni precisi già da oggi, 13 novembre, giornata mondiale della GENTILEZZA.
Pur nella consapevolezza che a questa situazione non ci si sia arrivati per caso, ma sia la conseguenza di una lunga gestazione nata con la crisi economica e politica che ha acuito diseguaglianze e forti criticità sociali, è anche vero che si è come sdoganata una generalizzata indifferenza verso l’”altro da sé” e il “bene comune” (temi sui quali non mancano analisi approfondite di molti studiosi e studiose), queste riflessioni vogliono invece lasciare spazio e promuovere ipotesi circa il “che fare?”.
Accantonando per un momento i fondamentali elementi normativi che la politica ha al riguardo emanato e che sono indispensabili strumenti in mano ad istituzioni, terzo settore, associazioni e sindacati, (una per tutte: la legge quadro regionale del 2014), in queste righe si ragiona sui tre ambiti citati, linguaggio, gentilezza, rispetto, ambiti che potrebbero costituire per ognuno e ognuna di noi, a titolo personale, il volano di azioni concrete, base per un impegno di una nuova modalità relazionale che poggia sulla reciprocità della gentilezza, perché “se ho un approccio gentile, ti invito a ricambiarlo…” come ricorda il Prof. Stefano Caracciolo, psichiatra, Professore Ordinario di Psicologia Clinica all’Università di Ferrara, nelle sue dotte lezioni accademiche.
Ragioniamo assieme per impostare azioni su come invertire la marcia.
Per il bene di tutti e di tutte.
Per approfondire:
http://www.vita.it/it/interview/2019/08/29/le-radici-psicologiche-del-cattivismo/268/
http://www.nuovomaschile.org/risorse-ed-eventi/articoli/cose-la-violenza/
https://asvis.it/goal5/home/390-4645/violenza-di-genere-serve-un-cambiamento-culturale
https://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/articolo?urn=er:assemblealegislativa:legge:2014;6
(l’immagine è tratta da: http://www.cittadarte.emilia-romagna.it/luoghi/rimini/i-luoghi-dellanima)