Organizzato dal Movimento Federalista Europeo al Dipartimento di Economia dell’Università di Ferrara e coordinato dal prof. Francesco Badia, il giorno 17 aprile 2019 è proseguito il ciclo di seminari “La Buona economia europea” con Aurelio Bruzzo, Professore ordinario di Politica economica, già Direttore del Centro di documentazione e studi sulle Comunità europee dello stesso Ateneo e che da oltre dieci anni si occupa della politica comunitaria di coesione.
Il tema trattato ha avuto come titolo: “LE POLITICHE DI COESIONE DELLA UE. 30 ANNI DI INVESTIMENTI NEL FUTURO DELLE REGIONI EUROPEE.”
Aurelio Bruzzo ripercorre la storia della politica di coesione europea che afferma essere, se non la più conosciuta, sicuramente la più importante ai fini del raggiungimento di una reale unità europea . Lo fa, partendo dal significato originario della sua istituzione, “la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni“ e mira a garantire la massima diffusione dei benefici del processo di integrazione, fino a favorire un alto livello di competitività mondiale dell’Unione stessa.
Afferma testualmente: Le politiche di coesione risultano fondamentali ai fini di un’effettiva unità europea sul piano socio-economico. Tutte le politiche economiche commerciali europee devono essere accompagnate da politiche finalizzate a garantire che tutti gli stati membri, tutte le regioni e tutti i cittadini dell’Unione europea possano beneficiare di tale integrazione. Le politiche di coesione sono collegate alle altri principali politiche dell’UE, compresa la governance macroeconomica cioè quella politica finalizzata al coordinamento delle politiche nazionali.
La sua esposizione descrive cinque periodi di programmazione nell’arco di 30 anni (1988-2018), per ciascuno dei quali evidenzia l’ambito in cui si sono concentrati gli interventi della politica europea ed i più importanti impatti sull’occupazione e sulla crescita, ricordando come le prime operazioni avessero carattere prettamente nazionale con finanziamento di progetti predefiniti negli Stati membri e scarsa influenza europea. Se negli anni ‘70, prende forma l’idea di un aiuto strutturale per le regioni svantaggiate, mentre con gli anni ‘80, con l’ingresso di Grecia, Spagna e Portogallo matura l’esigenza di una politica di coesione più “europea”. Viene adottato il programma del Mercato unico, l’adesione di nuovi paesi accentua le disparità regionali e gli aiuti diventano strumenti chiave per allineare il livello di prosperità alla media europea, gettando le basi per una vera politica di coesione volta a compensare l’onere del Mercato unico nelle regioni più svantaggiate della Comunità, introducendo anche il concetto di partnerariato cioè della partecipazione di partner regionali e locali, della programmazione pluriennale e dell’addizionalità, secondo la quale la spesa UE non doveva sostituire quella nazionale.
All’inizio di questo secolo, con “Agenda 2000” si apre il più vasto processo di allargamento dell’UE con l’ adesione di 10 nuovi Stati membri. La popolazione dell’UE cresce del 20%, ma il PIL soltanto del 5% .
Nella sua narrazione il docente fa notare che, mentre alcune regioni meno sviluppate, come quelle della penisola Iberica, sono via via uscite dai programmi di investimento avendo raggiunto gli obiettivi di crescita macroeconomica, altre aree come appunto il nostro Mezzogiorno, si ripropongono in ogni periodo e non sempre riescono ad utilizzare i fondi messi a disposizione, almeno per quanto riguarda i progetti approvati. In controtendenza l’Emilia-Romagna che, pur non rientrando nelle aree bisognose e quindi avendo a disposizione meno risorse dall’UE, per merito dei suoi funzionari esperti nell’interpretazione ed applicazione delle impegnative regole dettate dalla burocrazia europea, è risultata essere la regione italiana più efficiente.
Attualmente il programma della politica di coesione si è evoluto ed ha assunto come principali scopi la crescita e l’occupazione puntando su obiettivi avanzati, ad esempio rafforzando la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione; migliorando l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; promuovendo la competitività delle piccole e medie imprese, l’adattamento al cambiamento climatico; tutelando l’ambiente; promuovendo occupazione sostenibile e di qualità; sostenendo la mobilità dei lavoratori e l’inclusione sociale; combattendo la povertà e ogni forma di discriminazione. Tutto ciò attraverso una maggiore concentrazione sui risultati, con la definizione di obiettivi chiari e misurabili e con l’introduzione di prerequisiti specifici da soddisfare prima della canalizzazione dei fondi.
Alla politica di coesione per il periodo 2014-2020 sono stati destinati 351,8 miliardi di euro, oltre un terzo del bilancio complessivo UE.
La storia delle politiche di coesione delineata dal Prof. Bruzzo parla quindi di alterne vicende dell’Unione, inevitabilmente influenzate dal suo ampliamento a Paesi di storia e condizioni economico sociali molto disomogenee rispetto a quelle del nucleo iniziale ed anche tra loro stesse. I giorni nostri, in cui si sono persi via via l’entusiasmo e la volontà di raggiungere in tempi certi l’obiettivo dell’Unione politica europea, in cui gli interessi nazionali prevalgono su quelli comuni, ci consegnano un risultato per molti versi opposto a quello iniziale – l’incremento dell’omogeneità che avrebbe visto l’Europa come CASA COMUNE EUROPEA , l’originaria denominazione che il Prof. Bruzzo ha tenuto a ricordare – con il risultato di vedere allargato il divario esistente tra i vari Paesi a tutti i livelli, compreso quello economico sociale.