Ho cominciato a pensare che la malattia mentale e il male di vivere non fossero proprio la stessa cosa quando ho perso un amico che si è suicidato diversi anni fa. Cosi, senza annunci, senza sintomi, senza particolari problemi che non fossero risolvibili, ha deciso di andarsene. Mi sono chiesta tante volte se, l’ultima volta che l’ho visto, avessi potuto cogliere in lui i segni premonitori del gesto che da lì ad un mese avrebbe fatto. No, non me ne sono accorta.
Ho pensato a chissà quante volte accade che qualcuno di noi sia sfiorato anche solo per un attimo dal pensiero che non valga la pena proseguire oltre, nella vita, e che abbia poi, fortunatamente, trovato qualcuno che gli ha teso una mano e fatto cambiare idea.
Oppure ecco, che se anche la vita fosse finita lì, sarebbe poi stato lo stesso. Non essendo né una psicologa né una psichiatra, ho cercato una risposta sociale a quello che era accaduto e mi sono chiesta quale sarebbe potuto essere l’aiuto reciproco che ognuno di noi avrebbe potuto dare per evitare che accadesse l’irrecuperabile.
Credo ci siano persone che non riescono a chiedere aiuto, altre che lo chiedono e non lo trovano e altre ancora che non vedono alternative alla decisione di andarsene dalla vita o di cadere in uno stato di eterno isolamento.
Cercando di rispondere alle domande ho conosciuto l’attività terapeutica popolare e ho deciso di scriverne perché a me piace condividere le cose, c’è sempre qualcuno che può trarne beneficio.
Cosi anni fa pensai di organizzare un pomeriggio alla Libreria Libraccio Ibs di Ferrara con l’approvazione e l’amore per le sfide di Agnese Balestra.
Sabato 18 maggio 2019 la giornalista Camilla Ghedini (si, sono stata fortunata ad avere lei, ci speravo) accettò di presentare “La vita quotidiana come storia (senza paura e senza psichiatria)” una antologia di scritti di Antonietta Bernardoni. La presentazione si alternò alle letture (sempre dell’antologia) dell’Associazione “Vuoto Cronico” e alle testimonianze di alcuni componenti del Collettivo Bernardoni.
Antonietta Bernardoni (1919 – 2008) era laureata in medicina e in lettere, fu partigiana, medico condotto, insegnante, terapeuta, ricercatrice. Criticò, per tutta la vita, la tendenza a medicalizzare problematiche personali e sociali non di natura medica.
I presenti del Collettivo Bernardoni avevano avuto la fortuna di conoscerla e di partecipare alle assemblee alle quali aveva dato vita lei.
Cito nella premessa alla sua raccolta di scritti per cercare di capire meglio di cosa sto scrivendo: “In questa indagine relativa ad alcuni aspetti della vita quotidiana e della personalità del singolo ci siamo proposti esclusivamente di cominciare a sgombrare il campo da una parte dei pregiudizi più diffusi volti al mantenimento dello stato di cose esistente.
Si tratta molto spesso di errori e pregiudizi connessi con le falsificazioni della psicologia, della psicanalisi, della psichiatria “scienze che non posseggono in alcun modo il segreto dei fatti umani”.
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I grandi strumenti d’indagine non sono di solito usati per penetrare a livello del quotidiano, a livello dei rapporti interpersonali che danno significato alla vita del singolo in quanto tale, poiché a tale livello sono più forti i condizionamenti e più tenaci le sopravvivenze del passato, in modo che non è raro incontrare compagni che, pur essendo in grado di analizzare i grandi avvenimenti della politica internazionale, non sono in grado di identificare a di analizzare i termini reali di un conflitto familiare e di uno stato di sofferenza non organica, di scontentezza, di angoscia propria o altrui, essendo incapaci a quel livello di promuovere una trasformazione concreta di situazioni concrete.”
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“siamo tutti operatori sociali a tempo pieno perché in ogni momento, sia che lo vogliamo consapevolmente, sia che ci accada a nostra insaputa, esercitiamo un effetto negativo o positivo con chiunque entri in rapporto con noi”.
Su Youtube un video del 1978 mostra come si svolgeva una assemblea di Attività Terapeutica Popolare. Mostra come le persone possono trovare aiuto in uno scambio reciproco tra lavoratori, tra vicini o tra componenti di una comunità. Imparare a mettere a disposizione la propria energia, che solitamente è inutilizzata, e allo stesso tempo beneficiare dell’energia degli altri.
Antonietta aveva capito che molti malesseri avevano origini sociali, dettati dalla quotidianità del lavoro, della famiglia (o proprio dal fatto di non avere una famiglia), dalla convivenza di vicinato. La psichiatria si prendeva una buona fetta dei disagi, anche quelli che avrebbero meritato semplicemente la solidarietà delle persone.
Già dal 1969 nascono le prime forme delle Assemblee di Autoeducazione Ininterrotta e nel 1972, nel Movimento di Cooperazione Educativa, incontri per il superamento delle paure irragionevoli dei bambini e degli adulti e per la gestione sociale della salute mentale. Nel 1973 nascono le prime assemblee di “Rapporti umani di quartiere” nel quartiere San Faustino di Modena, che diventeranno, poi, nel 1975 assemblee di Attività Terapeutica Popolare.
Tali assemblee erano gratuite, continuative, collettive e concrete, proiettate alla reciproca soluzione dei conflitti e allo smascheramento delle false diagnosi. Vengono organizzate in diverse città: Modena, Parma, Torino, Verona, Como, Pescara, Firenze fino all’inizio degli anni 2000.
Successivamente hanno preso il via le assemblee di Educazione Reciproca Permanente, per la crescita umana di tutti i partecipanti e di prevenzione alla solitudine e al disagio della vita contemporanea, tenendo conto che educarsi insieme significa trasformare prima il mondo esterno per trasformare, poi, se stessi.
Antonietta Bernardoni propone l’uscita dalla solitudine per valorizzare le biografie personali e capire da cosa sia nato il disagio. A questi incontri (vorrei sottolineare a gran forza gratuiti e, in una società dove tutto viene monetizzato, il fatto provoca meraviglia) possono partecipare tutti: pensionati, casalinghe, giovani lavoratori mettendo assieme la propria energia, la fiducia profonda nella capacità di aiuto reciproco, pensando che non necessariamente si debba delegare ad uno specialista la risoluzione dei problemi, ma è importante credere nelle proprie capacità.
Sono in tanti disponibili ad insegnarci ad essere autonomi nella gestione della nostra quotidianità (scarica il green pass, collegati con l’app dell’Inps, prenotati la visita con il fascicolo sanitario elettronico, non andare in banca, ma usa il conto online, etc…), ma non nella gestione della nostra interiorità.
Nel nostro isolamento sempre più e sempre in di più, abbiamo la necessità di affidarci ad uno specialista della “psiche”. Io credo che nella vita non ci sia nessuno di noi che non lasci traccia di se stesso, anche se non sempre se ne ha consapevolezza. Ecco perché credo nell’aiuto reciproco.
Chi desidera approfondire l’argomento troverà materiale su www.antoniettabernardoni.it o può recarsi al Centro Studi Movimenti di Parma dove è depositato l’archivio cartaceo di Antonietta Bernardoni.